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03 novembre 2020

Note a Corte Europea dei Diritti dell’Uomo emessa nel caso Pasquini c. Repubblica S. Marino (n. 2) il 20 ottobre 2020, di Stefano Giordano (*)


Il ricorrente ha adìto la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sostenendo che la presunzione di innocenza di cui all’art. 6, par. 2, CEDU fosse stata violata nei suoi confronti, in quanto - in assenza di un accertamento di colpevolezza in ordine al reato di appropriazione indebita contestatogli, per il quale è stata dichiarata l’intervenuta prescrizione - egli è stato condannato dal Giudice d’Appello Penale al risarcimento dei danni a favore della parte lesa con una pronuncia che rifletteva comunque la convinzione da parte del Giudice circa la sua colpevolezza e che trovava titolo proprio in questa convinzione, senza che fosse intervenuta alcuna definitiva affermazione della sua responsabilità penale. La Corte EDU ha riconosciuto la sussistenza della violazione denunciata, sull’assunto che “le parole usate dal Giudice dell'Appello Penale nel decidere in materia di risarcimento, ritenendo che il comportamento del ricorrente fosse riconducibile ad atti di appropriazione indebita di fondi di cui era stato accusato, e che non vi fosse alcun dubbio sull'esistenza del dolo (dolo), si siano spinte troppo oltre e siano state dichiarazioni che imputano a lui una responsabilità penale”. 
La decisione esprime l’orientamento consolidato della Corte secondo cui la presunzione di innocenza è violata nei casi riguardanti le dichiarazioni dopo la cessazione del procedimento penale se, senza che l'imputato sia stato precedentemente dimostrato colpevole secondo la legge, una decisione giudiziaria che lo riguardi rifletta un'opinione di colpevolezza
Ad avviso di chi scrive, tuttavia, nel caso in esame l’analisi delle parole usate nella sentenza dal Giudice d’Appello Penale sembra mostrare che non ha mai dichiarato esplicitamente che il richiedente fosse colpevole del reato di appropriazione indebita, ma ha piuttosto affermato che il richiedente si era materialmente comportato nel modo asserito nell'atto d'accusa. Le dichiarazioni sono state rese dal Giudice nel suo esame dei fatti, al solo fine di determinare la responsabilità civile del ricorrente, che in quei fatti trova titolo, e non la sua responsabilità penale. Del resto, se il mero accertamento, peraltro doveroso da parte del Giudice dei presupposti penali della responsabilità per il risarcimento dei danni da atto illecito, nonostante l'assoluzione o comunque l’assenza di una pronuncia di condanna in sede penale, dovesse determinare ipso facto una violazione dell’art. 6, par. 2, si verrebbe a creare un vulnus di tutela per la persona offesa, che vedrebbe frustata in ogni caso dell’azione civile all’interno del processo penale. 
Diversa, ovviamente, l’ipotesi (cfr. C.Edu, Varvara c. Italia, 29 ottobre 2013, in tema di confisca urbanistica) in cui – pur in presenza della declaratoria di prescrizione del reato e, quindi, della mancanza di accertamento della responsabilità penale dell’interessato – venga irrogata non una condanna civile al risarcimento dei danni a favore della parte lesa, bensì una sanzione avente natura repressiva e, dunque, sostanzialmente penale in senso convenzionale secondo i noti crireri Engel (giacché essa “non tende alla riparazione pecuniaria di un danno, ma mira essenzialmente a punire al fine di impedire la reiterazione delle inosservanze previste dalla legge”). 
In tale evenienza, si è ritenuta illegittima e in contrasto con i princìpi convenzionali l’applicazione di una sanzione che non sia fondata sull’accertamento della responsabilità penale del destinatario (cfr., in senso parzialmente difforme, G.I.E.M. s.r.l contro Italia).
Viceversa, la decisione Pasquini c. Italia (qui la sentenza in lingua italiana su gentile concessione di canestriniLex), a parere di chi scrive, non appare persuasiva dal punto di vista del principio di diritto in essa affermato (non del tutto in linea con la precedente giurisprudenza della Corte), e da quello del percorso motivazionale adottato, a tratti involuto. La sensazione è che la Corte EDU abbia voluto ancorare il più possibile il principio di diritto affermato a questo singolo caso concreto, senza che da questa sentenza possa espungersi un principio in linea generale astratta e perciò stesso espandibile erga alios.

(*) responsabile della commissione Europa di CPTP. 
Con questa pubblicazione inauguriamo la sezione CEDU ed Europa delle "etichette" di ricerca