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18 maggio 2021

Cosa potrebbe ancora succedere? Potrebbe tornare l’inquisizione spagnola - di Marco Siragusa




Il titolo di questo contributo è liberamente ispirato alla battuta/tormentone di un celebre film (“nessuno teme il ritorno dell’inquisizione spagnola”) per interrogare tutti noi, ancora una volta, sui rischi, per il cittadino, del cortocircuito tra giustizia e informazione giudiziaria.

Il caso, ormai noto e del quale ci occupiamo frigido pacatoque animo, è quello del GUP di Catania, dott. Sarpietro, che ha pronunciato la sentenza di non luogo a procedere nei confronti di Matteo Salvini.

Dopo aver letto il dispositivo di sentenza, e prima di spiegare le ragioni della sua decisione (la motivazione) “in nome del popolo italiano”, il Gup ha motivato le sue scelte in un’intervista al Corriere della Sera (link) “in nome dell’editore”.

Ciascuno comprende la irritualità della forma senza che sia necessario aggiungere alcun commento. Con ironia potremmo dire che, almeno, l’intervista non è stata resa nella tromba delle scale...

Prima di occuparci delle due riflessioni che la vicenda ci consegna, ricordiamo che ci eravamo già interessati del singolare rapporto con la stampa del Gup di Catania (link).

La prima riflessione, che prescinde dalla decisione assunta, attiene alla spiegazione anticipata alla stampa sulla sua designazione da parte del dott. Sarpietro (era il più esperto del suo ufficio e capace di reggere la pressione mediatica). Non ci vuole molto, anche in questo caso, a fare della facile ironia: se egli era il più capace nel “trattare” la mediaticità del caso e questi sono i risultati, cosa sarebbe accaduto nel caso contrario? Avremmo avuto i giornalisti in camera di consiglio?

Fuori di battuta, l’affermazione del giudice catanese contiene una grave inesattezza: i criteri di assegnazione degli affari sono prefissati in ogni ufficio, a tutela del principio di naturalezza del giudice precostituito per legge. Non dovesse essere così, ci saremmo attesi dal dott. Sarpietro una denuncia a mezzo stampa di una grave violazione (i maliziosi penseranno che sia stata una denuncia inconsapevole?).

La seconda riflessione - anch’essa  prescinde dalla decisione assunta - deve interrogarci sulla palese violazione dei (minimi) doveri di riservatezza, che il giudice catanese aveva già sperimentato all’indomani dell’uscita da Palazzo Chigi, quando aveva divulgato a mezzo stampa il contenuto di un atto riservato (la testimonianza del premier Conte).

Ora come allora la domanda è: ma è mai possibile che un giudice esperto - al punto da ritenersi il migliore del suo ufficio per la trattazione del delicato caso - non abbia la consapevolezza della enorme abnormità delle proprie condotte nel rapporto con la stampa? 

Vi lasciamo con questa domanda, nella speranza che tale manifesta inconsapevolezza non debba subirla, domani, un comune cittadino.