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01 maggio 2021

L'irresistibile fascino del giudizio inquisitorio - di Daniele Caprara

Su questo blog ci eravamo già occupati dell’analisi del recovery plan del Governo Conte II (link e link). 

Quel piano, ora rivisto e corretto (?) dal governo Draghi, è stato presentato alla commissione europea dopo l’approvazione del Parlamento.

Siamo felici di ospitare un primo commento, a caldo, dell’amico e collega Daniele Caprara.

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L'irresistibile fascino del giudizio inquisitorio. Primi appunti sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza - di Daniele Caprara 

 

Frutto di un'elaborazione necessariamente frettolosa, per non perdere i fondi europei, il Governo ha presentato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Nella sezione dedicata alla giustizia, la versione finale del documento evoca, in larga parte e in modo inquietante, le misure già note, elaborate a cura dell'ex ministro Bonafede: e già questo non tranquillizza.

La preoccupazione trova riscontro nella lettura delle premesse del capitolo dedicato alla riforma del processo penale, laddove l'autore introduce una realtà del tutto inattuale, nella parte in cui proponcome criterio valutativo gli esiti il Rapporto CEPEJ 2020: in esso si evidenzierebbe che la durata del procedimento penale in Italia è di molto superiore alla media europea.

Omette, il testo, di chiarire che si tratta di una valutazione necessariamente approssimativa, in considerazione delle differenze tra i sistemi giudiziari degli Stati membri e dell'assenza di dati per alcuni Stati.

Omette inoltre di chiarire che il rapporto biennale 2020 riporta la valutazione operata dall'organismo europeo sui dati rilevati nel 2018, e quindi non tiene conto dell'incidenza delle riforme nel biennio 2018-2020 (ma anche quelle del 2017) sul sistema della giustizia. 

La premessa pare necessaria, perché non c'è niente di peggio che fare progetti su presupposti erronei; ma anche per evitare che  l'ansia efficientista prenda il sopravvento, e finisca per tradurre il principio di ragionevole durata del processo con la semplice, gretta, rapidità, così producendo, quale risultato, la indiscriminata abbreviazione dei tempi del processo: pratica che nei regimi autoritari raggiunge livelli di eccellenza. 

E' bene ribadire ciò che è ovvio, ciò che tutti sappiamo e che molti fingono di non sapere, troppo protesi al soddisfacimento di logiche demagogiche: la ragionevolezza della durata di un processo non può che essere il prodotto di un delicato bilanciamento tra esigenze diverse, nell'ambito del quale beni primari da preservare sono le garanzie fondamentali e la possibilità di un pieno ed effettivo esercizio dei diritti riconosciuti alla persona accusata.

Ogni diversa declinazione trasformerebbe l'esercizio della giurisdizione  in una insensata corsa contro il tempo, indegna di un paese civile.

Passando in rassegna le poche, ma assai insidiose, righe dedicate al processo penale, emergono – troppe – le proposte di riforma insensibili ai principi fondamentali.

Non è necessario uno sforzo esegetico raffinato per capire che l'autore del testo ha idee assai peculiari e caratterizzate dell'esercizio della giurisdizione, che ricordano temi identitari di alcune categorie di persone.

Certamente il documento contiene indicazioni preziose, che potrebbero risolversi in interventi legislativi positivi e innovatori: a titolo esemplificativo, l'estensione applicativa degli strumenti deflattivi già introdotti (131 bis, 162 ter), l'ampliamento dell'accesso ai riti alternativi e la rivisitazione delle procedibilità. Così come ancor più condivisibile è l’adozione di misure per promuovere organizzazione, trasparenza e responsabilizzazione dei soggetti coinvolti nell’attività d’indagine.

Avremo modo di parlare di “luci e ombre”: per ora, ab iratoannoto in termini schematici qualche  riflessione su ciò che ad una prima lettura rende ingravescente la preoccupazione dalla quale ho preso le mosse

 

Semplificazione e razionalizzazione del sistema degli atti processuali e delle notificazioni

Le modalità di attuazione prevedono, tra l'altro, l'adozione e diffusione di uno strumento telematico per il deposito atti e documenti, nonché per talune comunicazioni e notificazioni. 

Prevedono inoltre che la prima notificazione avvenga per il tramite di un contatto personale o ravvicinato con l'accusato, mentre tutte le notificazioni successive alla prima saranno eseguite presso il difensore, di fiducia o d'ufficio, anche con modalità telematiche.

Nel corso di un breve lasso di tempo la mutazione del sistema delle notifiche ha istituito un piano inclinato che ha trasformato la effettiva conoscenza del processo carico dell'accusato in una effimera percezione, deducibile anche attraverso presunzioni.

La progressiva erosione delle comunicazioni tra ufficio giudiziario e persona accusata offre oggi come risultato l'equivalenza tra attribuzione del difensore, sia esso di fiducia o di ufficio, ed elezione di domicilio.

In altri termini: fatta la prima notifica all'interessato, ogni ulteriore comunicazione sarà comunque destinata al difensore, in ragione di una elezione di domicilio imposta per legge.

Difficile comprendere come possa l'esplicazione di un potere di autonomia, una manifestazione di volontà, essere imposta manu iudicis.

Suna elezione di domicilio imposita può, al limite, essere accettata (ma mai condivisa) nell'ambito della difesa fiduciaria, a motivo del rapporto intuitu personae, non è possibile ragionare in tali termini per la difesa di ufficio, nell'ambito della quale spesso non vi è alcun contatto né conoscenza tra difensore e imputato.

Eppure proprio le Sezioni Unite (23948/2020) avevano precisato che ”La sola elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio da parte dell'indagato non è di per sé presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza di cui all'art. 420 bis c.p.p. dovendo il giudice in ogni caso verificare anche in presenza di altri elementi che vi sia stata un'effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l'indagato tale da fargli ritenere con certezza che quest'ultimo abbia conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento stesso” .

Ma evidentemente poco importa, perché l'interesse superiore è quello dell'efficienza.

Si dirà: ma tra le modalità di attuazione è prevista la necessità di assicurare l'effettiva conoscenza dell'atto introduttivo.

Tuttavia l'utilizzo di espressioni di scarsa chiarezza, quali “per il tramite di un contatto personale o ravvicinato” anziché il semplice avverbio “personalmente”, o l'utilizzo di locuzioni quali “effettiva conoscenza” (magari corredata dalla sospensione del processo nei casi di omessa notifica), rischiano di agevolare interpretazioni che rapidamente possono degradare verso la sulfurea presunzione di conoscenza.

A fortiori laddove si versi in una difesa di ufficio, nell'ambito della quale spesso il rapporto tra difensore e assistito, per i motivi più vari, è meno assiduo, o addirittura inesistente.

Per non parlare della schiera, forse nota solo agli avvocati, di stranieri, dei quali negli atti di polizia giudiziaria viene assicurata la “sufficiente comprensione della lingua italiana”.

E così lo Stato rende il sistema delle notifiche efficientissimo,  scaricando sul difensore ogni onere informativo, con evidente contrazione di garanzie per l'accusato e contestuale aumento del rischio di esposizione a responsabilità deontologiche per il difensore, correlate alla incompleta o inadeguata attività di ricerca.

 

Adozione di uno strumento telematico per il deposito degli atti

La disposizione evoca la prosecuzione dell'esperienza introdotta con il  D.L. 28 ottobre 2020 n. 137, integrata dalle previsioni del  D.M. 13 gennaio 2021.

L'auspicio è che l'introduzione del nuovo strumento avvenga con progressività in modo da garantire l'effettivo ed efficace funzionamento del sistema.

Costituisce ormai fatto notorio che nel corso del primo periodo di utilizzo del sistema sono emerse gravissime disfunzioni del portale del processo telematico che hanno reso e rendono particolarmente gravoso e talora impossibile l'accesso e l'utilizzo delle applicazioni.

A mero titolo esemplificativo, gli innumerevoli profili di criticità riguardano aspetti essenziali, quali il riconoscimento dell'utente quale difensore, pur in costanza di nomina già formalizzata, l'impossibilità di inserire nomine relative a persone giuridiche, l'impossibilità di utilizzare il portale per le nomine dei procedimenti iscritti a modello 21 bis.

Più in generale, la manifesta inadeguatezza, e comunque la estrema farraginosità del sistema attuale, impone lunghe e spesso infruttuose attese per l'espletamento di operazioni di per sé banali e, talora inutilmente ripetitive di atti già esistenti (ad esempio, il mancato riconoscimento del difensore impone il rilascio di ulteriore atto di nomina, o comunque il rinnovo del deposito del medesimo atto, già conosciuto dalla Procura della Repubblica).

Ad oggi la condizione è tale  che l'accesso al sistema comporta, quale correlato ineludibile e consustanziale, il superamento di ostacoli  di natura telematica, attraverso espedienti di natura estemporanea, sovente non risolutivi: nei fatti, l'attuale contingenza è del tutto incompatibile rispetto alla dichiarata volontà del legislatore di istituire strumenti agevolativi  per il deposito degli atti. 

Peraltro, l'inopinata istituzione di un criterio di esclusività con riferimento alle modalità di deposito di una particolare categoria di atti ha determinato, in concreto, una grave compressione nell'esercizio delle attività di difesa, irragionevolmente limitata dal rispetto di peculiari modalità derogatorie dei principi generali in materia dei deposito atti, ingiustificatamente affidate all'iniziativa e alle indicazioni del Dirigente Generale dei Servizi Informativi, dalle cui labbra saremmo costretti a dipendere.

Le sempre più frequenti iniziative del D.G.S.I.A., lungi dal risolversi in indicazioni di carattere tecnico, hanno, nel pur breve ultimo periodo, introdotto vere e proprie procedure comportamentali cogenti con previsioni – quali l'obbligo di deposito del cd. “atto abilitante” - che comprimono ingiustificatamente l'esercizio del diritto di difesa e impongono la trasmissione di informazioni per nulla funzionali all'efficienza del sistema.

Contestualmente, l'accrescimento di motivi di inammissibilità correlati al rispetto di singolari procedure operative digitali ha determinato, nel pur breve periodo, un florilegio di declaratorie di inammissibilità di atti analogicamente ammissibili.

 

Reintroduzione della relazione illustrativa delle parti 

Tema contrabbandato per “garantire al dibattimento in primo grado una maggiore scorrevolezza”, si ripropone la relazione illustrativa, abbandonata nel 1999 in ossequio ai principi enunciati nell’art. 111 della Costituzione.

Che l'iniziativa non abbia nulla a che fare con la “scorrevolezza” (termine comunemente utilizzato dalle forze di polizia per qualificare il traffico veicolare, forse fluidità sarebbe stato preferibile) pare di tutta evidenza, non foss'altro che la relazione introduce un passaggio supplementare, già noto e abrogato per altrettanto noti motivialle formalità di apertura del processo.

Gravido di nostalgie inquisitorie, la relazione preliminare è retaggio della logica di subalternità della difesa all’accusa, è uno spazio vuoto, un tableau blanc che il Pubblico Ministero potrà riempire anticipando al Giudice il contenuto degli atti raccolti nel corso delle indagini preliminari, eludendo così i limiti all’ostensione dei medesimi attraverso un agile riassunto, o peggio ancora, la lettura per estratto dei passi salienti delle attività investigative, destinato ineluttabilmente a formare un pre-giudizio e a contaminare quella verginità cognitiva tanto cara a chi ancora crede, come il sottoscritto, che il principio cardine del modello accusatorio sia la formazione della prova nel dibattimento.

magari costituire l'embrione per introdurre valutazioni di particolare rigore nell'ammissione dei testi.

 

Migliorare l'accesso, snellire le forme e ridurre la durata del giudizio in appello, che rappresenta una fase particolarmente critica, in specie per la prescrizione del reato.

Sulla medesima linea anche tale indicazione, di chiara matrice bonafediana: trasuda aneliti inquisitori e manifesta – attraverso il sintagma“accesso ragionevolmente selettivo al giudizio di appello” -  un chiaro fastidio per qualsiasi iniziativa difensiva che ardisca introdurre ostacoli alla rapida definizione del processo, ossequiosa solo ad un bieco e spregiudicato efficientismo.

Ne sia prova tangibile la previsione, quale requisito di ammissibilità dell'appello, di uno specifico mandato ad impugnare.

L'indicazione limita dunque sensibilmente le facoltà difensive, esercitabili solo in virtù di uno specifico mandato all'impugnazione. 

Ancor più limitata sarà la cornice operativa del difensore di ufficio.

Il timore, quasi una certezza, è che i rimedi previsti per lo “snellimento” dell'appello siano quelli orditi dal Governo precedente, che conosciamo bene: introduzione di barrages,  finalizzati a fare della strada verso l'appello una corsa a ostacoli, istituzione della corte di appello in composizione monocratica, a dispetto dei valori della collegialità (che semmai sarebbe da rafforzare proprio laddove il giudizio di primo grado sia monocratico), elisione del principio del favor impugnationis.

 

Sembra quindi di comprendere che il diritto di impugnare, con buona pace dell'insegnamento della Corte Costituzionale, ben possa essere sacrificato sull'altare delle esigenze deflattive, in nome di una giustizia innamorata dell'efficienza, e più veloce.

Come la Bugatti sulla quale salì per l'ultima volta Isadora Duncan, congedandosi con gli amici dicendo “Je vais à l’amour”, prima che la sua lunga sciarpa di seta si impigliasse al mozzo della ruota, strangolandola.



Daniele Caprara è Avvocato del Foro di La Spezia e componente del Coa. È stato presidente della Camera Penale di La Spezia. È autore di numerose pubblicazioni a contenuto scientifico e divulgativo