Sezioni

Sezioni

29 ottobre 2021

❌Novità Corte Costituzionale: L’abbreviato ostativo è legittimo (ma discutibile)


Avevamo anticipato che il 19 ottobre 2021 la Corte Costituzionale si sarebbe pronunciata sulla importante attesa questione (link).

Qui l'ordinanza di rimissione (link).

È stata ora pubblicata la sentenza 208/2021, il cui testo riproduciamo a seguire.


SENTENZA N. 208

ANNO 2021


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), promosso dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Rimini nel procedimento penale a carico di A. B., con ordinanza del 19 gennaio 2021, iscritta al n. 41 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 ottobre 2021 il Giudice relatore Francesco Viganò;

deliberato nella camera di consiglio del 7 ottobre 2021.


Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 19 gennaio 2021, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Rimini ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, dell’art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), «laddove non prevede che l’imputato infermo di mente, riconosciuto incapace di intendere e di volere al momento del fatto, con perizia accertata in sede di incidente probatorio, possa chiedere di definire il processo con giudizio abbreviato nel caso di reato astrattamente punibile con la pena dell’ergastolo».

1.1.– Il giudice a quo deve pronunciarsi sulla richiesta – formulata in apertura dell’udienza preliminare dal difensore di A. B., imputato di omicidio aggravato ai sensi degli artt. 575 e 577, primo comma, numero 1), del codice penale – di essere giudicato con rito abbreviato.

Rilevato che il giudizio abbreviato non è ammesso per i delitti puniti in astratto con la pena dell’ergastolo, in forza della disposizione di cui all’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge n. 33 del 2019, ed evidenziato come una perizia assunta in incidente probatorio abbia già riconosciuto l’imputato nel giudizio a quo come totalmente incapace di intendere e di volere al momento della commissione del fatto e socialmente pericoloso, ancorché in grado di partecipare al processo, il rimettente sottopone al vaglio di questa Corte, su conforme richiesta del pubblico ministero, la questione se la disposizione in parola sia compatibile con l’art. 111, secondo comma, Cost. anche in casi come quello all’esame.

1.2.– Dopo aver ricostruito le complesse vicende normative che, a partire dall’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale nel 1989, hanno interessato la questione dell’ammissibilità del giudizio abbreviato per i reati puniti con la pena dell’ergastolo, e dopo aver dato conto della recente sentenza n. 260 del 2020 di questa Corte, con la quale la disciplina in questa sede censurata è stata ritenuta non in contrasto con una pluralità di parametri costituzionali, il rimettente ritiene tuttavia che tale disciplina sia incompatibile con l’art. 111, secondo comma, Cost. in relazione alla specifica situazione di un imputato già riconosciuto, con le garanzie del contraddittorio, incapace di intendere e di volere.

In tale ipotesi, infatti, ad avviso del rimettente sarebbe del tutto superflua la celebrazione di un «processo dibattimentale e collegiale, che nulla potrebbe aggiungere al materiale probatorio già esistente, e non potrebbe rafforzare in alcun modo i diritti della difesa»: nel caso di specie, l’incapacità di intendere e di volere dell’imputato sarebbe già stata «incontrovertibilmente accertata», con conseguente inutilità del dibattimento, la prova essendo già «cristallizzata» e «non modificabile». Ed invero, l’art. 431, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. prevede l’inserimento nel fascicolo per il dibattimento dei verbali degli atti assunti nell’incidente probatorio, che saranno pertanto – unitamente alla stessa perizia – pienamente utilizzabili dalla corte d’assise per la decisione, in quanto assunti con tutte le garanzie del contraddittorio.

Né la celebrazione di un dibattimento innanzi alla corte d’assise potrebbe condurre, osserva il rimettente, ad un diverso esito sul piano sanzionatorio rispetto al giudizio abbreviato: in entrambi i casi, infatti, dovrà essere applicata soltanto una misura di sicurezza.

Conclude, pertanto, il giudice a quo che l’auspicata dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata «consentirebbe di definire il processo in tempi brevi senza inutile dispendio di preziose risorse organizzative, con l’applicazione, in via definitiva, di una misura di sicurezza e senza nessuna compressione del diritto di difesa».

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata.

Osserva anzitutto l’interveniente che, contrariamente a quanto affermato dal giudice a quo, il difetto di imputabilità ritenuto da una perizia assunta in incidente probatorio non può ritenersi un dato processualmente accertato sino a che sia intervenuto un vaglio da parte di un giudice, il quale ben potrebbe discostarsi dalle conclusioni peritali, che non assurgono mai alla valenza di prova legale.

In ogni caso, i profili di asserita illegittimità costituzionale della disposizione censurata sarebbero stati già esaminati ed esclusi da questa Corte con la sentenza n. 320 (recte: 260) del 2020, anche riguardo al parametro ora invocato dell’art. 111 Cost. L’allungamento dei tempi processuali inevitabilmente connesso alla necessaria celebrazione di un dibattimento innanzi alla corte d’assise non potrebbe dirsi irragionevole nemmeno nei casi in cui l’esito decisorio sia scontato, dal momento che il dibattimento sarebbe la sola forma di giudizio nella quale possono estrinsecarsi i diritti riconosciuti alle vittime del reato dalla direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI.


Considerato in diritto

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Rimini ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, dell’art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), «laddove non prevede che l’imputato infermo di mente, riconosciuto incapace di intendere e di volere al momento del fatto, con perizia accertata in sede di incidente probatorio, possa chiedere di definire il processo con giudizio abbreviato nel caso di reato astrattamente punibile con la pena dell’ergastolo».

2.– La questione è ammissibile, le eccezioni formulate dall’Avvocatura generale dello Stato attenendo, in realtà, ai profili di merito della decisione, come di seguito precisato.

3.– Essa, tuttavia, non è fondata.

3.1.– Anzitutto, occorre sottolineare che – come giustamente rilevato dalla difesa statale – le risultanze di una perizia assunta in incidente probatorio, relativa allo stato mentale dell’imputato al momento del fatto, attendono ancora di essere valutate dal giudice ai fini della decisione, e non assurgono certo al valore di prova “incontrovertibile” in giudizio, come assume invece il rimettente. Quale che sia il rito adottato – giudizio abbreviato o dibattimento –, le parti avranno infatti piena facoltà di porre in discussione le valutazioni peritali, eventualmente attraverso propri consulenti tecnici, e il giudice potrà sempre motivatamente discostarsi da quelle valutazioni, eventualmente previa nomina di un diverso perito. Così come sarà evidentemente possibile, per le parti, chiedere l’ammissione di prove e discutere su quelle acquisite in relazione a tutti gli altri elementi – positivi e negativi – del reato, a cominciare dalla sua effettiva commissione da parte dell’imputato.

La questione che questa Corte è chiamata a decidere è, piuttosto, se debba essere giudicata manifestamente irragionevole la scelta legislativa di imporre la celebrazione del rito ordinario di fronte a una corte di assise, anche laddove la prova dei fatti costitutivi del reato e delle circostanze che escludono la responsabilità dell’imputato – come, appunto, il vizio totale di mente – sia (non già incontrovertibile, ma) particolarmente agevole, sulla base delle risultanze di una perizia assunta mediante incidente probatorio.

3.2.– Il rimettente muove dall’assunto – reiterato nella recente sentenza di questa Corte n. 260 del 2020 (Considerato in diritto, punto 10.2.) – secondo cui «una violazione del principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. potrà essere ravvisata soltanto allorché l’effetto di dilatazione dei tempi processuali determinato da una specifica disciplina non sia sorretto da alcuna logica esigenza, e si riveli invece privo di qualsiasi legittima ratio giustificativa (ex plurimis, sentenze n. 12 del 2016, n. 159 del 2014, n. 63 e n. 56 del 2009)».

Il giudice a quo ritiene, per l’appunto, che in un caso come quello all’esame la regola della celebrazione di un dibattimento pubblico in corte d’assise non abbia alcuna ragione giustificativa, risolvendosi in un allungamento dei tempi processuali non funzionale ad alcuna esigenza della difesa dell’imputato nonché, dal punto di vista dell’intero ordinamento, in un «inutile dispendio di preziose risorse organizzative».

3.3.– La sentenza n. 260 del 2020 ha già affrontato, e risolto negativamente, la questione se la disposizione all’esame violi l’art. 111, secondo comma, Cost., confrontandosi specificamente con l’argomento dell’asserita inutilità di un dibattimento pubblico nell’ipotesi in cui i fatti siano di agevole accertamento, ad esempio per essere intervenuta la piena confessione dell’imputato.

L’ipotesi ora all’esame del giudice rimettente è parimenti caratterizzata da fatti agevolmente accertabili, sebbene il prevedibile esito del processo in questo caso sia l’assoluzione dell’imputato per vizio totale di mente, sulla base delle risultanze della perizia assunta in incidente probatorio. Ciò, ad avviso del rimettente, priverebbe di senso l’obbligo di celebrare il dibattimento anche sotto il profilo del quantum della sanzione, posto che all’imputato dovrebbe al più essere applicata una misura di sicurezza, la cui durata non dipende dalla tipologia del rito con il quale il processo sarà celebrato.

La sentenza n. 260 del 2020 (Considerato in diritto, punto 7.6.) ha peraltro già sottolineato come tra le finalità ispiratrici della legge n. 33 del 2019 non vi fosse solo quella (emersa nella proposta di legge C. 392 del 27 marzo 2018) di conseguire un generale inasprimento delle pene concretamente inflitte per reati punibili con l’ergastolo, ma anche quella (evidenziata nella parallela proposta di legge C. 460 del 3 aprile 2018, poi assorbita nella prima) che rispetto ai reati più gravi previsti dall’ordinamento sia celebrato un processo pubblico innanzi alla corte di assise e non a un giudice monocratico, «con le piene garanzie sia per l’imputato, sia per le vittime, di partecipare all’accertamento della verità».

Quest’ultima finalità non viene meno neppure a fronte di fatti di reato per i quali l’imputato non possa essere ritenuto personalmente responsabile – in particolare perché non imputabile –, ma rispetto ai quali l’ordinamento può comunque avere interesse a svolgere un processo pubblico avanti a una corte a composizione mista, con «partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia» (art. 102, terzo comma, Cost.).

Il perseguimento di tale finalità rientra nel novero delle scelte discrezionali del legislatore, rispetto alle quali non è consentito a questa Corte sovrapporre la propria autonoma valutazione.

Si deve pertanto ribadire, in questa sede, come «non possa qualificarsi in termini di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà la scelta legislativa – magari discutibile sotto vari profili, e certo foriera di aggravi processuali – di prevedere comunque la celebrazione di un pubblico dibattimento, nel quale trova piena garanzia il “diritto di difendersi provando”, per accertare il fatto e ascrivere le relative responsabilità » (sentenza n. 260 del 2021, Considerato in diritto, punto 7.6.), restando ferma la possibilità per la corte d’assise di celebrare e concludere il dibattimento in modo spedito, sulla base dell’eventuale consenso dell’imputato all’acquisizione degli atti di indagine al fascicolo del dibattimento.


Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), sollevata, in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Rimini con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 ottobre 2021.