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22 dicembre 2021

ALLA RICERCA DEL LEGISLATORE PERDUTO. IL TRAMONTO DELLA DEMOCRAZIA PENALE. Le Corti interpretano ed il legislatore si adegua - di Domenico Battista

Siamo particolarmente lieti di ospitare la relazione dell'avvocato Domenico Battista, del Foro di Roma, all'annuale convegno "Giornate tridentine della difesa penale".

Il tema affrontato da Battista è particolarmente caro all'azione politica della nostra Camera Penale e fa parte del programma dell'Unione delle Camere Penali per il biennio 2021-2023: l'art. 101 della Costituzione. A conferma conferma che esistono le "affinità elettive" (video al link da min. 2:37 a 12:44).

Buona lettura





GIORNATE TRIDENTINE DELLA DIFESA PENALE 

"ALLA RICERCA DEL LEGISLATORE PERDUTO. IL TRAMONTO DELLA DEMOCRAZIA PENALE" 

Trento 27 NOVEMBRE 2021


Relazione dell'Avv. Domenico BATTISTA 


"LE CORTI INTERPRETANO ED IL LEGISLATORE SI ADEGUA"  


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Non vi nascondo in questo momento di essere al tempo stesso intimorito ed emozionato: intimorito perché ho avuto modo di ascoltare relazioni di altissimo livello ed intervenire dopo chi mi ha brillantemente preceduto è sempre un motivo di preoccupazione; prevale però l’emozione, perché finalmente (e ringrazio per questo il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Trento e l'Avv. Maria Anita Pisani)  è la prima volta che ritorno a parlare "in presenza" dopo l'inizio della pandemia.

E  è tutta un’altra cosa!  E' veramente tutta un’altra cosa!

Vi devo esporre nella mia relazione quanto scritto nel titolo: "Le Corti interpretano e il legislatore si adegua". E’ un titolo collegato all’argomento centrale del nostro convegno di oggi: "Alla ricerca del legislatore perduto".

Una prima riflessione:  se avessi dovuto dare qualche anno fa un titolo ad una relazione sugli stessi argomenti che devo oggi affrontare avrei scritto qualcosa di completamente diverso; in particolare avrei scritto "Il Parlamento scrive le leggi, le Corti le interpretano secondo i propri orientamenti e i propri desiderata".

Un presidente dell’Unione delle Camere Penali ebbe l’intuito di affrontare questo tema mettendoci tutti in guardia: la giurisprudenza - sosteneva non a torto l'Avv. Ettore Randazzo - si è trasformata in  "una pratica di resistenza interpretativa". 

In effetti se vado a rileggere quello che ho avuto modo di scrivere, insieme a tanti altri Colleghi e amici nel 2009, sembra veramente passato un secolo;  ma in realtà sono passati pochi anni; nel documento che predisponemmo quale Osservatorio sulla Corte di Cassazione di UCPI (relazione che  successivamente fu fatta propria dal Congresso di Torino ed approvata all'unanimità)  evidenziammo che, a fronte di un problema di "interpretazione creativa", tramite la quale accade che si facciano prevalere i  propri valori  soggettivi correggendo, mediante interventi creativi, la portata innovativa di riforme legislative, viene sostituita la volontà del legislatore per far prevalere la volontà del singolo magistrato controllore. 

Sostenemmo che, con questa impostazione, la Corte di Cassazione  rischiava di trasformarsi da Giudice di legittimità a Giudice di sola apparente legittimità;  e  scrivemmo anche che, in questo modo, la Corte negava la propria funzione costituzionale e che, negando la propria funzione costituzionale,  finiva per negare la stessa Costituzione. 

In un intervento stamattina  è stato ricordato che  un tempo si parlava del Giudice come "bocca della legge".

Ovviamente nessuno di noi rimpiange quel meccanismo così chiuso,  anche perché il problema delle leggi è che comunque necessitano di un’interpretazione: anche quando si affermava che il giudice doveva essere solo "bocca della legge" comunque necessariamente la norma doveva essere oggetto di interpretazione. 

Questo principio è stato messo (positivamente) in crisi con l'emanazione della Costituzione e, successivamente, ancora di più con l'entrata in funzione della  Corte Costituzionale. Mi piace ricordare che la sentenza numero 1 in assoluto della Consulta fu quella che dovette decidere se erano sottoponibili all’attenzione della Corte soltanto le norme successive alla entrata in vigore della Costituzione od anche le norme precedenti.

La decisione fu una scelta estremamente positiva, perché si disse e si scrisse in questa sentenza numero 1 che, contrariamente a quanto veniva sostenuto da una parte più conservatrice, la Consulta si sarebbe viceversa dovuta  occupare anche della normativa precedente: questa impostazione diede luogo a tutta quella giurisprudenza, che io valuto oltremodo positiva sotto tanti profili, che mise in discussione tutta quella variegata normativa anteriore al 1946  che non era più oggettivamente compatibile con i nuovi valori espressi dalla Costituzione. 

Ricordo, in particolare,  le famose sentenze del Presidente Branca, rimaste nella storia del diritto costituzionale.

Il concetto di giudice "bocca della legge" è stato messo in crisi anche dal progressivo mutamento della "gerarchia delle  fonti":  fonti nazionali e fonti sovranazionali, tra le quali il Giudicante deve comunque barcamenarsi per trovare una soluzione al caso concreto. Non a caso Vittorio Manes denunziò, a  fronte di questa congerie di norme, spesso in contraddizione l'una con l'altra,  l’esistenza di un "labirinto normativo".

Altro elemento che spesso viene trascurato (e che comunque è stato sicuramente sottovalutato all’epoca della sottoscrizione dei Trattati sovranazionali) è la normativa conseguente ai Trattati dell’Unione Europea,  in alcune parti positiva, in altre parti negativa.

Il Trattato di Lisbona è diventato legge dello Stato: il fatto che il Trattato di Lisbona sia diventato legge dello Stato (io ritengo positivamente sotto tanti profili, anche se vi sono molte criticità) ha comportato, nell'ambito giudiziario e della cooperazione tra Stati membri, la necessità di rendere in qualche modo conciliabili i sistemi di civil law e di common law. In particolare per il processo penale ha determinato il tentativo di rendere conciliabile ciò che viceversa non è ontologicamente conciliabile: un processo di stampo accusatorio con un processo di tipo inquisitorio. 

Dopo la Costituzione, dopo la CEDU e dopo il Trattato di Lisbona il criterio interpretativo è dovuto necessariamente mutare; oggi l'interpretazione (ed è un dato positivo)  deve essere conforme ai principi costituzionali, ma deve essere conforme anche ai principi convenzionali. 

Questo è il quadro teorico di partenza; questi i necessari parametri di riferimento da adottare per un uso corretto delle modalità di interpretazione di una norma: conformità ai principi costituzionali e convenzionali. 

Ma nel concreto abbiamo visto accostare alla parola "interpretazione" una serie di "aggettivi": l'interpretazione adeguatrice, l’interpretazione flessibile, ed addirittura l'interpretazione creativa.

Il Presidente della Corte di Cassazione Carbone, nel corso di una inaugurazione dell'anno giudiziario, si spinse a rivendicare esplicitamente l’opportunità dell’interpretazione "creativa" (il ché vuol dire una giurisprudenza che "crea" una norma altrimenti inesistente).

Tutto questo che cosa ha determinato? 

Ha portato a quello che, con abile creazione lessicale, è stato definito "diritto vivente".

"Diritto vivente" che (attenzione!) ormai è diventato il parametro principale di riferimento nelle decisioni della Corte Costituzionale. Questo, a mio avviso,  è uno dei punti fondamentali che occorre sottolineare per capire che cosa è accaduto nel corso degli anni. 

Non è più, infatti, la norma ad essere sottoposta al controllo di legittimità costituzionale, ma è la norma come interpretata dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Dunque è "la norma come interpretata dal diritto vivente" ad essere sottoposta al vaglio della Consulta (che dovrà stabilire se la stessa non nel suo significato originale, ma nella sua applicazione concreta, viola o non viola la Costituzione). 

A mio avviso qualche cosa, nel contesto generale dell’ordinamento, comincia a scricchiolare. Non sto dicendo che è giusto o non è giusto: dico e sostengo che il sistema scricchiola.

E'  stato già sottolineato da altri e non mi voglio ripetere su questo punto. Ma è indubbio che un serio contributo al tema sul quale ci stiamo confrontando lo ha dato un legislatore che, solo usando un eufemismo, può essere definito "scadente"; al nostro legislatore manca finanche una corretta educazione lessicale; le parole hanno un loro significato e non posso essere usate a caso, tanto più quando devono essere inserite in norme di carattere precettivo. 

La democrazia parlamentare era in crisi già prima della pandemia.

Ma ora non possiamo sottacere una circostanza oggettiva: la pandemia ha determinato la scomparsa del Parlamento !

Si legifera solo tramite decreti legge, che sono palesemente in violazione dell’articolo 77 della Costituzione anche perché non di rado hanno un contenuto eterogeneo;  decreti legge che, proprio perché "giustificati" dalla pandemia e dalla emergenza, intervengono con norme variegate,  delle quali il cittadino destinatario neppure è in grado di accorgersene, se non, con fatica, nel momento in cui deve praticamente applicarle.

Un Parlamento incapace ed impreparato e sommerso dai decreti legge che deve sempre convertire ed approvare in fretta per evitarne la decadenza per decorso del termine o perché condizionato dall'abuso della richiesta di fiducia.

Ma lo stesso vale, in realtà, anche per i disegni di legge sottoposti dall'esecutivo al legislativo:  la riforma complessiva dell'intero  sistema penale del nostro ordinamento è stata approvata,  senza alcuna possibilità di seria discussione parlamentare, con due voti di fiducia in entrambi i rami del Parlamento. 

Personalmente qualche problema continuo a pormelo: forse  invecchiando si diventa nostalgici, ma io ancora mi  ricordo di determinate battaglie che abbiamo condotto sulle garanzie e sui diritti e penso che a quelle conquiste, anche se imperfette,  non si debba rinunciare.

Il Prof. Montanari ha chiarito benissimo, questa mattina, quali sono le conseguenze che derivano dalla presenza di un legislatore scadente anche nell'uso del linguaggio.

Non di rado ci confrontiamo  con  norme che violano il principio di legalità come regolato dall'art. 25 della Costituzione,  non soltanto per la loro indeterminatezza, ma anche e soprattutto perché introducono, anziché precise disposizioni, meri "concetti".

Concetti che non sono più norme di carattere precettivo (ed in sede penale la norma deve avere un chiaro contenuto precettivo !!!) ma sono disposizioni che introducono valori e concetti di tipo etico, a fronte dei quali, ovviamente e conseguenzialmente,  viene dato ampio spazio e discrezionalità senza limiti agli interpreti. 

Lo Stato di Diritto si trasforma in Stato Etico: a mio avviso se muore, come sta morendo, lo Stato di Diritto, vivrà  e si accrescerà lo Stato Etico. 

Si tratta di stabilire che cosa ci piace di più e che cosa ci piace di meno (e sappiamo bene, e non devo stare qui a spiegarlo, cosa significa lo Stato Etico!). 

Torno al  titolo della mia relazione. 

Si è completamente invertito il principio; oggi non è più l’interprete ad avere  l'esigenza, laddove la norma non sia da lui gradita, di ricorrere alla  "resistenza interpretativa";  è il legislatore che, preso atto dell’interpretazione creativa, la accetta e, più o meno supinamente, la trasforma in legge. 

Non è più la lepre che fugge dal cane che la insegue: è il cane che si adegua agli insegnamenti della lepre, con la conseguenza che ciascuno, inseguitore e inseguito, finisce per perdere la propria identità. 

Per uscire dalla metafora, il "potere legislativo" e "l’ordine giudiziario trasformatosi in potere" vengono meno in questa maniera al loro inquadramento costituzionale, con l’aggravante che il "potere giudiziario" (più correttamente l’ordine giudiziario trasformatosi in potere) è senza controllo e, in particolare, tramite i "fuori ruolo", si è stabilmente inserito all’interno di un "potere esecutivo",  che, a sua volta, si muove anch'esso senza controllo del "potere legislativo", utilizzando a dismisura  la previsione dei decreti legge e del voto di fiducia. 

Forse è poco parlare di crisi della democrazia parlamentare !!


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Mi limito, per non superare i limiti di tempo del mio intervento, a pochi esempi  su quello che accadeva prima e su quello che accade adesso.

Si è parlato della legge Pecorella  46/06: una legge che, durante la sua gestazione parlamentare,  fu preceduta da una serie di proclami sottoscritti  da parte di molti magistrati e da una mobilitazione senza precedenti della loro associazione. Il Presidente della Corte di Cassazione rilasciò  interviste, paventando un Palazzaccio sommerso dalle carte per effetto del mutamento ed allargamento del disposto della lettera e) del'art. 606 c.p.p..

Un minuto dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, partì la "resistenza interpretativa": proprio chi aveva firmato e sostenuto quei proclami politici,  un magistrato di sicuro valore e preparazione come Nello Rossi,  fu l'estensore il 15 marzo del 2006 della sentenza  che praticamente demolì la portata innovativa della lettera e) dell’articolo 606 cpp, con il famoso "decalogo" dei doveri dell'estensore del ricorso, che, sulla base di una interpretazione restrittiva e formalistica della novella legislativa, ne limitava grandemente gli effetti, ampliando le ipotesi di inammissibilità.   

In pochi giorni  la "resistenza interpretativa" raggiunse il suo scopo:  la legge non piaceva ad ANM e all'ordine giudiziario che aveva cercato di contrastarla politicamente prima che venisse approvata; appena emanata, venne demolita.

Altro esempio: la disciplina sul mandato d’arresto europeo. Ricorderete l'opposizione della magistratura, specie quella associata, alla legge 69/05 di attuazione della decisione quadro;  ma ricorderete anche la sentenza delle Sezioni unite del 30 gennaio 2007 che prospettò esplicitamente l’esigenza di una interpretazione adeguatrice per superare i limiti imposti dall’articolo 18 (che, secondo gli intenti del legislatore, sostenuto da autorevolissimi costituzionalisti,  doveva costituire una barriera per evitare che una norma sovranazionale vanificasse i principi della nostra Costituzione).  

La  menzionata sentenza delle Sezioni Unite iniziò, utilizzando espressamente e senza veli o giri di parole il metodo della "interpretazione adeguatrice", la demolizione di quella barriera (nella fattispecie, andando contro la lettera della legge di attuazione e facendo prevalere la previsione della decisione quadro,  si sostenne che,  se ex art. 18 per la custodia cautelare deve essere previsto un termine e  se negli altri sistemi processuali  sono previsti controlli di tipo diverso senza una indicazione di durata massima,  lo Stato richiesto dell'emissione era legittimato in qualche modo ad adattare, "adeguandola", la esplicita limitazione normativa). 

Non è un caso se pochi giorni fa la Corte Costituzionale, di fronte a problematiche nuove, sempre relative alle limitazioni imposte dall’articolo 18 della legge 69/05,  ha  "deciso di non decidere" e, proprio richiamandosi al diritto vivente, ha rinviato pregiudizialmente la questione all'esame della Corte di Giustizia  CGUE.

Uso un termine un po’ forte, ma temo che il rinvio costituisca un mezzo per prendere ordini e direttive dalla CGUE. Con la conseguenza che la costituzionalità della norma sottoposta al suo vaglio verrà accertata sulla base del "diritto vivente", in questo caso espresso da altra Corte sovranazionale. 

Un terzo esempio: l'articolo 525 c.p.p.  E' stato evocato e ho piacere di  ricordare quello che scrisse, come Giudice della Corte Costituzionale, e nella fattispecie anche come relatore,  il Prof. Giuseppe Frigo a proposito dell’art. 525 c.p.p.  in un’ordinanza di declaratoria di inammissibilità delle questioni che erano state sottoposte alla Consulta. 

Frigo richiamò l’esigenza dell’oralità, l’esigenza dell’ascolto del testimone da parte dell'effettivo giudicante, l'esigenza  finanche di vederlo nella sua gestualità, di constatare il suo eventuale imbarazzo, di ascoltare i suoi silenzi e le sue pause. 

Quella ordinanza è stata recentemente citata dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione:  il mio affetto per Giuseppe Frigo mi ha subito fatto pensare "meno male che non ha avuto modo di leggerle". 

La Corte Costituzionale, richiamando al suo interno i passi salienti dell'ordinanza del 2010,  ma - aggiungo polemicamente -  "interpretandola a modo suo", ha utilizzato proprio quelle stesse parole che ho prima sintetizzato per arrivare ad una conclusione opposta. 

Il giorno dopo la Corte di Cassazione ha di fatto reiscritto  il  525,  praticamente lasciando al giudice di discrezionalmente decidere se si deve procedere o meno alla rinnovazione del dibattimento in caso di mutamento del giudice.

Nella parte di legge delega della riforma Cartabia vi è proprio uno specifico punto diretto a rendere "norma" tale ultima interpretazione della Cassazione. 

Il legislatore si adegua.   

Ultimo breve esempio: il captatore informatico.

Altro che giurisprudenza "creativa" e legislatore che si adegua ! 

In questo caso  andiamo molto oltre e su un tema delicatissimo. 

La sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 2017  ha praticamente rivoluzionato il disposto normativo.

Ha spiegato cosa si deve intendere per "ambiente", trasformando, per adattarlo alle esigenze delle innovazioni tecnologiche,  il significato stesso della parola "ambiente".

Un i-phone viaggia dentro la tasca del captato, al di fuori della situazione logistica prevista dalla norma nel momento in cui è stata scritta e che, non a caso, utilizzava, per limitare gli effetti invasivi,  il termine "ambiente". 

Anziché attendere un adeguamento normativo da parte del legislatore, le Sezioni Unite hanno, tramite una ardita interpretazione,  rivoluzionato la norma per adattarla alle nuove esigenze. 

Credo di non esagerare affermando che è stato ampliato, tramite una creazione giurisprudenziale,  il concetto giuridico di ambiente. 

Nella stessa sentenza delle S.U. è stato letteralmente "creato" il concetto ed il significato giuridico di "criminalità organizzata",  che non era previsto esplicitamente da nessuna norma; tanto  per poter raggiungere lo scopo di estendere l'uso del  captatore informatico a tutte le ipotesi di iscrizioni ex art. 335 c.p.p. di ipotizzate violazione dell'art. 416 c.p.  (e, quindi, non soltanto ai reati di cui all’articolo 51 del codice di procedura penale). 

Nel giro di pochi mesi il legislatore anche in questo caso  si è adeguato. 

E' stata approvata, nella distrazione generale,  la legge Orlando che ha introdotto gli stessi concetti che pochi mesi prima erano stati elaborati dalla  Corte di Cassazione;  di questo argomento, delicatissimo per le implicazioni che si determinano nell'uso di uno strumento di massima incontrollabile invasività quale è il cd. "trojan di Stato", dovrà occuparsi il legislatore delegato per effetto dell'art.1 della legge delega Cartabia, approvata senza discussione parlamentare e con voto di fiducia ( anche se le indicazioni della legge delega su questo specifico punto sono estremamente estese, per cui i "fuori ruolo" del ministero di via Arenula potranno ampiamente decidere la strada che riterranno di percorrere).

Ma anche in questo caso è evidente che la legge delega prevede di  regolamentare ciò che la giurisprudenza ha già in qualche modo regolamentato. 


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E' stato già ricordato, e concludo veramente, quello che ha scritto pochi giorni fa Luciano Violante sulla circostanza della perdita del confine tra il soggetto regolante e il soggetto regolato:  "la determinazione del confine è un esercizio proprio della sovranità della politica; quando la politica non esercita questa funzione, come accade in Italia con alterne vicende a partire dai processi di Mani Pulite, il confine scompare".

Che succede se questo confine scompare?

E' la stessa domanda che hanno posto, sotto  profili diversi, il Prof. Montanari ed il Prof. Ferrua; domanda che si sono posti tutti coloro che sono intervenuti fino a questo momento e sulla quale aspettiamo di sentire il parere del carissimo amico Gaetano Pecorella.

Per capire, alla fine, che cosa fare per superare e/o evitare che ci sia uno sconfinamento non più recuperabile e non più superabile. 

"Che fare?"  è stato detto da molti. 

Il "che fare" in questo momento è un qualcosa di molto difficile, perché poi subentra il pessimismo.  Ma io dico sempre che deve prevalere l’ottimismo della ragione e l’ottimismo del combattimento.

Mi permetto soltanto di ricordare che io ho avuto modo di vivere in presa diretta l’esperienza della modifica dell'art.111 della Costituzione, proprio  quando venivamo insultati dal Presidente della Repubblica Scalfaro con l'accusa di essere "peggiori dei terroristi". 

Ebbene proprio in quei giorni nacque il "nuovo" 111, su pressione dell’avvocatura; una pressione fortissima su questo argomento vitale per la sopravvivenza del processo accusatorio, messo in crisi dalle sentenze della Corte Costituzionale del 1992 e del 1995 e, da ultimo, da quella sull'art. 513 c.p.p del 2 novembre 1998. 

Nessuno di noi, (vero Claudio Botti, me lo puoi confermare?) immaginava che  a distanza di appena un anno saremmo riusciti a vedere approvato l’articolo 111 della Costituzione nell'attuale formulazione. 

Ma è accaduto: perché poi in politica si verificano e si materializzano improvvisamente  dei "momenti magici", per cui quello che appare irrealizzabile invece si realizza.

Allora perché uso l'espressione "ottimismo della ragione"? 

Perché non possiamo rinunziare, perché siamo Avvocati !

Un Avvocato non può rinunziare ai principi del giusto processo, non può rinunziare che sia fatta giustizia , non può rinunziare al rispetto della legalità: abbiamo degli ideali e combattiamo per questi ideali, perché siamo legati ad essi e per tutelare coloro che assistiamo o che chiederanno la nostra assistenza.

Non possiamo abdicare e non possiamo rinunciare al nostro ruolo e alla nostra funzione !!


(*) Domenico Battista: Avvocato romano, già Segretario della Giunta dell'Unione delle Camere Penali Italiane presieduta da Giuseppe Frigo. Memoria storica dell'Unione delle Camere Penali Italiane. Ultras della Roma.