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21 gennaio 2022

❌ATTENZIONE NUOVA INCOSTITUZIONALITÀ DELL'ART. 34 c.p.p.❌ Ennesima pronuncia di incostituzionalità delll’art. 34 cod. proc. pen.

 


Come avevamo anticipato (link) era attesa la decisione (l’ennesima) della Corte costituzionale sulla norma più incostituzionale di tutto il codice di rito: l’articolo 34 cod. proc. pen. (l'ordinanza di remissione al link).

Con la sentenza n. 7/2022 (al link) la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono che il giudice dell’esecuzione deve essere diverso da quello che ha pronunciato l’ordinanza sulla richiesta di rideterminazione della pena, a seguito di declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, annullata con rinvio dalla Corte di cassazione.

Si osserva in sentenza:

<<La mancata previsione dell’incompatibilità del giudice dell’esecuzione, persona fisica, che abbia pronunciato l’ordinanza sulla richiesta di rideterminazione della pena proposta a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, poi annullata con rinvio dalla Corte di cassazione, confligge con entrambi i parametri evocati dal giudice rimettente (artt. 3, primo comma, e 111, secondo comma, Cost.).

6.– La regola generale di incompatibilità del giudice che abbia già compiuto atti nel procedimento è posta dall’art. 34 cod. proc. pen., che ne definisce termini e limiti, e che, in particolare, stabilisce al comma 1 che il giudice che ha pronunciato o ha concorso a pronunciare sentenza in un grado del procedimento non può partecipare al giudizio di rinvio dopo l’annullamento.

Questa regola poi è declinata più specificamente dall’art. 623 cod. proc. pen. che, con riferimento alla pronuncia di annullamento con rinvio a seguito del giudizio di cassazione, prevede – alle lettere b), c) e d) – i vari casi di annullamento della sentenza impugnata, indicando il giudice competente per il giudizio di rinvio.

Se è annullata una sentenza di un giudice collegiale (corte di assise di appello o corte di appello o corte di assise o tribunale in composizione collegiale) il giudizio è rinviato rispettivamente a un’altra sezione della stessa corte o dello stesso tribunale o, in mancanza, alla corte o al tribunale più vicini.

Se è annullata una sentenza di un giudice monocratico (tribunale in composizione monocratica o giudice per le indagini preliminari) il giudizio è rinviato al medesimo tribunale, ma il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata.

Ove invece sia annullata un’ordinanza, il medesimo art. 623, comma 1, cod. proc. pen., alla lettera a), detta una regola diversa. Prevede che la Corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice che l’ha pronunciata, il quale provvede uniformandosi alla sentenza di annullamento, senza che sia prescritto – come nella successiva lettera d) con riferimento alla sentenza di un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari – che il giudice, se monocratico, debba essere diverso da quello che ha pronunciato l’ordinanza annullata.

Vi è, in particolare, che l’ordinanza è il tipico provvedimento decisorio del giudice nel procedimento di esecuzione (art. 666, comma 6, cod. proc. pen.); il quale ha caratteristiche e peculiarità ben distinte dal procedimento di cognizione. Il giudice dell’esecuzione esercita un’attività pur sempre giurisdizionale, ma entro confini limitati, quali sono in particolare quelli del giudicato formatosi in sede di cognizione.

È, in generale, nell’attività della cognizione che il giudice del rinvio, in caso di annullamento pronunciato dalla Corte di cassazione, è esposto alla forza della prevenzione insita nel condizionamento per aver egli adottato il provvedimento impugnato.

Ma ciò accade anche quando nel procedimento di esecuzione il giudice del rinvio, al pari del giudice dell’ordinanza annullata, è chiamato a una valutazione che travalica la stretta esecuzione del giudicato e attinge, in via eccezionale, il livello della cognizione; ossia quando al giudice dell’esecuzione è demandato un «frammento di cognizione inserito nella fase di esecuzione penale» (sentenza n. 183 del 2013).

7.– Si ha, infatti, che il giudice dell’esecuzione – in caso di annullamento dell’ordinanza pronunciata sulla commisurazione della pena, a seguito di istanza di rideterminazione della stessa proposta dal condannato in ragione della dichiarazione di illegittimità costituzionale che, riguardando la misura della pena edittale, rende recessivo, in questa parte, il giudicato penale – è chiamato a esprimersi nuovamente sulla medesima istanza.

In tale evenienza il giudice dell’esecuzione, nel giudizio di rinvio conseguente all’annullamento dell’ordinanza con cui egli stesso si è già pronunciato sulla rideterminazione della pena, è nuovamente investito della decisione circa la “misura” della responsabilità del condannato, dovendo a tal fine esercitare incisivi poteri di merito, volti alla rivalutazione sanzionatoria del fatto illecito, alla luce del nuovo e più favorevole minimo edittale.

Non si tratta di una operazione da condurre alla stregua di criteri oggettivi, di mero riproporzionamento automatico della pena già quantificata in sede di cognizione, nell’ambito della diversa cornice edittale, in quanto – come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità (ex multis, Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 3 marzo-30 aprile 2020, n. 13453) – il giudice deve effettuare una nuova valutazione alla stregua dei parametri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen., per assicurare la finalità rieducativa della pena ai sensi dell’art. 27 Cost.

Ed è proprio nella prospettiva della finalità rieducativa della sanzione penale, che il giudice dell’esecuzione procede alla necessaria riduzione della pena, perché la modifica sopravvenuta del minimo edittale rende non adeguata al fatto concreto una sanzione calcolata quando la previsione edittale per quel reato – nel caso di specie, per il reato di cui all’art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990 – era, nel minimo, sensibilmente più elevata (otto anni di reclusione invece di sei).

Quando sopravviene la dichiarazione della illegittimità costituzionale di una norma che incide sul trattamento sanzionatorio – di cui la sentenza n. 40 del 2019 costituisce una tipica fattispecie – il giudice dell’esecuzione, dovendo far ricorso ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen., “ritorna” sulla valutazione del fatto illecito, già compiuta in sede di cognizione, occupandosi nuovamente della gravità del reato.

Al pari del giudice della cognizione, dunque, il giudice dell’esecuzione, in sede di giudizio di rinvio in relazione al caso considerato, esercita un potere discrezionale di commisurazione della pena per adeguare la risposta punitiva al fatto concreto, che, per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale della pena, ha assunto un diverso disvalore.

Del resto, questa Corte ha affermato che «“l’individualizzazione” della pena, in modo da tenere conto dell’effettiva entità e delle specifiche esigenze dei singoli casi, si pone come naturale attuazione e sviluppo di principi costituzionali» così da rendere «quanto più possibile “personale” la responsabilità penale, nella prospettiva segnata dall’art. 27, primo comma; […] e quanto più possibile “finalizzata” nella prospettiva dell’art. 27, terzo comma, Cost.» (sentenza n. 50 del 1980).

8.– Si ha, allora, che l’apprezzamento demandato al giudice in sede di rinvio assume, con riferimento alla individuazione del “giusto” trattamento sanzionatorio, la natura di «giudizio» che, in quanto tale, integra il «secondo termine della relazione di incompatibilità [...], espressivo della sede “pregiudicata” dall’effetto di “condizionamento” scaturente dall’avvenuta adozione di una precedente decisione sulla medesima res iudicanda» (sentenza n. 183 del 2013).

A tal proposito, questa Corte ha affermato che «la locuzione “giudizio” è di per sé tale da comprendere qualsiasi tipo di giudizio, cioè ogni processo che in base ad un esame delle prove pervenga ad una decisione di merito» (ordinanza n. 151 del 2004).

Pertanto, è un «“giudizio” contenutisticamente inteso, […] ogni sequenza procedimentale – anche diversa dal giudizio dibattimentale – la quale, collocandosi in una fase diversa da quella in cui si è svolta l’attività “pregiudicante”, implichi una valutazione sul merito dell’accusa, e non determinazioni incidenti sul semplice svolgimento del processo, ancorché adottate sulla base di un apprezzamento delle risultanze processuali» (sentenza n. 224 del 2001).

La valutazione complessiva del fatto illecito, che compete al giudice dell’esecuzione nell’attività di commisurazione della pena, resa necessaria a seguito di una pronuncia di illegittimità costituzionale, presenta, pertanto, tutte le caratteristiche del “giudizio” per come delineate dalla giurisprudenza di questa Corte. Sicché, in sede di rinvio dopo l’annullamento da parte della Corte di cassazione, il giudice dell’esecuzione – per essere «terzo e imparziale» (art. 111, secondo comma, Cost.) – deve essere persona fisica diversa dal giudice che, in precedenza, si è già pronunciato con l’impugnata (e annullata) ordinanza sulla richiesta di nuova determinazione della pena.

In sostanza, ogni qual volta il giudice deve provvedere sulla richiesta di rideterminazione della pena a seguito di declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, deve trovare applicazione una regola analoga a quella posta dall’art. 623, comma 1, lettera d), cod. proc. pen., secondo cui «se è annullata la sentenza di un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari, la corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al medesimo tribunale; tuttavia, il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata».

9.– Gli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., vanno pertanto dichiarati costituzionalmente illegittimi, nella parte in cui non prevedono che il giudice dell’esecuzione deve essere diverso – nel senso di persona fisica diversa – da quello che ha pronunciato l’ordinanza sulla richiesta di rideterminazione della pena a seguito di declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, annullata con rinvio dalla Corte di cassazione.