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20 settembre 2022

Appunti critici sull’udienza predibattimentale - di Filippo Giunchedi*

 


1. Tra le novità introdotte con la delega al Governo, contenuta nella l. 27 settembre 2021, n. 134, un ruolo importante è, senza dubbio, rivestito dall’udienza predibattimentale (art. 1, comma 12, lett. a-g) in quanto finalizzata a verificare, nei procedimenti per citazione diretta a giudizio, la sussistenza dei presupposti per l’emissione di una sentenza di non luogo a procedere.

Questa nuova figura processuale, costituente una sorta di “udienza preliminare minor”, impone una serie di riflessioni anche perché si propone di effettuare il filtro alle imputazioni formulate dal pubblico ministero in forza della nuova regola di giudizio per l’esercizio dell’azione penale, costituita dalla ragionevole previsione di condanna.

I primi commentatori [v. per tutti, per gli stimolanti spunti, di TRIGGIANI, Riflessioni sull’udienza predibattimentale monocratica prefigurata nella proposta di riforma della “Commissione Lattanzi”, in Arch. pen. (web), 2021, n. 2, e TRABACE, L’udienza predibattimentale che verrà, ivi, 2022, n. 2] non hanno esitato nell’evidenziarne i limiti ed i problemi connaturati, tali da ridimensionare quell’idea di strumento teso a decongestionare il carico dibattimentale, posto che la sua fisionomia sembra destinata ad aggravare la già precaria organizzazione giudiziaria.

Poste queste brevi premesse, focalizziamo, per punti, il nuovo istituto, seguendo la scansione effettuata dal legislatore delegante (lett. a-g di cui all’art. 1, comma 12, legge n. 134 del 2021):

a) applicazione a tutti i reati per i quali opera il modello della citazione diretta a giudizio, vale a dire per le «contravvenzioni ovvero [per i] delitti puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni o con la multa, sola o congiunta alla predetta pena detentiva» e per altre fattispecie di reato elencate nell’art. 550, comma 2, c.p.p. Il legislatore, invero, si propone di estendere l’area di operatività del procedimento di cui all’attuale libro VIII del codice ad alcuni «delitti da individuare tra quelli puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni, anche se congiunta alla pena della multa», a condizione che «non presentino rilevanti difficoltà di accertamento».

L’udienza si svolgerà in camera di consiglio innanzi a un giudice diverso da quello davanti al quale, eventualmente, dovrà celebrarsi il dibattimento;

b) qualora l’imputazione non sia formulata con chiarezza e precisione, violando, pertanto, l’art. 552, comma 1, lett. c, c.p.p., il giudice, dopo aver sentito le parti e invitato il p.m. a riformulare l’imputazione, qualora questi non vi provveda, dovrà dichiarare la nullità del decreto di citazione diretta a giudizio. In tal modo il legislatore ha recepito per tabulas l’obiter dictum delle Sezioni unite “Battistella” (Cass., Sez. un., 20 dicembre 2007, P.G. in proc. Battistella, in Mass. uff., n. 238240);

c) corrispondenza dell’imputazione al fatto, alle circostanze aggravanti e a quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, nonché ai relativi articoli di legge, secondo quanto emerge dagli atti. In difetto, il giudice, sentite le parti, qualora il p.m. non effettui le necessarie modifiche, gli restituirà, anche d’ufficio, gli atti;

d) qualora le parti non optino per una definizione del procedimento mediante il ricorso ai riti speciali, il giudice dovrà valutare «se sussistono le condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere perché gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna»;

e) qualora il procedimento non sia definito con i riti speciali e il giudice non ritenga di emettere sentenza di non luogo a procedere, fisserà «la data per una nuova udienza, da tenersi non prima di venti giorni di fronte a un altro giudice»;

f) impossibilità per il giudice di pronunciare sentenza di non luogo a procedere qualora ritenga di dover applicare misure di sicurezza diverse dalla confisca;

g) applicazione, previo adeguamento, delle norme in merito ai presupposti del contenuto della motivazione, alla condanna del querelante alle spese e ai danni, nonché all’impugnazione della sentenza previste per l’udienza preliminare (artt. 426-428 c.p.p.).

In breve, il modello procedimentale delineato dal legislatore viene a prefigurarsi come istituto con non poche affinità con l’udienza preliminare secondo le modifiche apportate dal legislatore.

In particolare, l’identità di funzione si ritrova nella mutata finalità non più di filtro a “maglie larghe”, ma, in vista di una maggiore deflazione processuale, prevedendo un controllo più stringente in merito non tanto alla proficuità del dibattimento, ma piuttosto alla previsione di condanna da valutare in modo ragionevole. Per offrire concretezza al concetto di ragionevolezza, a nostro avviso è opportuno attingere all’insegnamento della Suprema Corte in tema di ragionevole dubbio, basato su elementi concreti acquisiti ai materialia iudicii, ovvero in rerum naturam mutuando l’espressione oramai ricorrente nel drafting giurisprudenziale (cfr., ad esempio, Cass., Sez. I, 21 aprile 2010, Erardi, in Dir. pen. proc., 2011, 203).

Ora, trascurando di soffermarsi su ipotesi similari, proposte precedentemente (in particolare da parte della Commissione Dalia, prima, e dalla Riccio, successivamente), e sulle esperienze di altre legislazioni (tedesca e spagnola), concentriamoci sui profili dell’istituto in esame che destano maggiori perplessità.

2. L’esercizio dell’azione penale nel rito monocratico a citazione diretta registra chiare lacune legate ad una tendenziale inefficienza. Infatti, i dati statistici testimoniano che il 60% circa dei procedimenti che approdano avanti al Tribunale chiamato a giudicare nelle forme dell’art. 550 c.p.p. si conclude con una sentenza di proscioglimento.

Muovendo da tale constatazione risulta inevitabile il passo volto a predisporre tra l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m. ed il giudizio un diaframma maggiormente stringente che risponda all’esigenza pratica di deflazionare il carico giudiziario diversamente da quanto avviene attualmente.

Occorre verificare, però, se la fisionomia dell’udienza predibattimentale goda delle prerogative per scongiurare dibattimenti inutili.

A nostro avviso, il tema principale da indagare è costituito dal verificare se il modello delineato sia idoneo a far operare la regola di giudizio, cioè a dire la ragionevole previsione di condanna.

Una premessa si rende necessaria, però.

Se in vista della deflazione può apparire opportuno il mutamento di prospettiva operato con la riforma, il rischio in cui si può incorrere è legato all’influenza che eserciterà la previsione di ragionevole condanna sul giudice successivo che si troverà a giudicare l’imputato in dibattimento, conscio che il collega che lo ha preceduto nell’udienza predibattimentale ha effettuato sugli atti contenuti nel fascicolo delle indagini (comprensivo anche delle eventuali risultanze delle investigazioni difensive) una valutazione che depone per la responsabilità dell’imputato.

Le conseguenze, in tal caso, rilevano sia sulla valutazione a cui è chiamato il giudice dell’udienza predibattimentale, sia sulla condotta dell’imputato nel corso delle indagini.

Sotto il primo profilo, il modello dell’udienza predibattimentale non consente al giudice quegli approfondimenti gnoseologici invece previsti per l’udienza preliminare e costituiti dal sollecitare il p.m. ad effettuare ulteriori indagini (art. 421-bis c.p.p.) o assumendo egli stesso i mezzi di prova decisivi per l’emissione di sentenza favorevole all’imputato (art.422 c.p.p.). Il giudice, pertanto, verte nella situazione di dover decidere esclusivamente sulla base del contenuto del fascicolo allegato dal p.m. con la richiesta, rimanendogli preclusi approfondimenti istruttori. Quid iuris, pertanto, nell’ipotesi in cui questi ravvisi delle carenze nelle indagini su aspetti decisivi per la decisione? Sembrerebbe che applicando la regola di giudizio della ragionevole previsione di condanna, il giudice non possa effettuare una valutazione ipotizzando possibili e indefiniti (quanto a risultanze) approfondimenti istruttori dibattimentali, applicando per coerenza il comma 2 dell’art. 530 c.p.p. con conseguente emissione di sentenza di non luogo a procedere. Qualora, al contrario, dovesse ritenere colmabili nel giudizio dette lacune assisteremmo al ritorno alla precedente regula iuris legata alla necessità dell’approfondimento dibattimentale.

Il successivo aspetto sul quale soffermarsi è costituito dall’opportunità per la difesa di astenersi dal depositare nel fascicolo del p.m., prima dell’esercizio dell’azione penale, le risultanze delle investigazioni difensive. Il fondamento di tale osservazione è legato al fatto che, dovendosi basare la decisione circa la ragionevole previsione di condanna sui soli atti contenuti nel fascicolo del p.m., l’assenza di apporti da parte dell’imputato potrebbero indurre il giudice ad effettuare una valutazione mitigata dalla possibilità per l’imputato di contrastare gli elementi probatori a suo carico diversamente da quanto avverrebbe al cospetto di un quadro più completo in virtù di mezzi di ricerca della prova presentati dalla difesa.

Questa riflessione apre ad una ulteriore che parrebbe essere esclusa dall’inciso «sulla base degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero». Sebbene il giudice, come visto, non goda di poteri istruttori al pari di quelli previsti per l’udienza preliminare, occorre domandarsi se le parti possono introdurre elementi decisivi. La norma non sembra lasciare spazio a differenti interpretazioni, ma è opportuno valutare se un’udienza che si propone lo scopo di deflazionare il carico giudiziario in misura molto più intensa rispetto al passato possa rinunciare ad apporti probatori risolutivi, come, ad esempio, potrebbe essere la dimostrazione che il fatto è da attribuire ad una diversa persona o l’esistenza di una prova d’alibi o, meglio ancora, di una prova precostituita per la quale il contraddittorio è circoscritto all’acquisizione dell’elemento probatorio e non alla sua formazione.

Riteniamo che una lettura effettuata coerentemente con la ratio dell’istituto non possa pregiudicare l’integrazione della piattaforma probatoria quando questa si riveli risolutiva.

Perché un conto è la “sterilizzazione” di iniziative probatorie del giudice ed altro quella delle parti in ordine ad aspetti decisivi.

3. Un ulteriore profilo non convincente è la soluzione adottata dal legislatore di spingere il p.m. a formulare l’imputazione in modo aderente agli elementi di prova raccolti. La finalità è quella di evitare che le problematiche connesse all’imputazione e già ravvisabili dagli atti di indagine, diano luogo nel corso del dibattimento alle vicende modificative dell’imputazione previste dagli artt. 516 e segg. c.p.p. se non, addirittura, ad un provvedimento di restituzione degli atti al p.m. (art. 521 c.p.p.).

Il giudice qualora ravvisi questa diversità, previo contraddittorio tra le parti, inviterà il p.m. ad uniformarsi a quanto indicato dal giudice, altrimenti gli atti gli verranno restituiti (lett. c). Si tratta di ipotesi differente rispetto a quella di cui alla lett. b che prevede, in mancanza di intervento del p.m. circa la chiarezza e la precisione dell’imputazione, la nullità del decreto di citazione diretta a giudizio. Nell’ipotesi che ci occupa è prevista la sola restituzione degli atti al p.m., il quale potrà reiterare la medesima richiesta, in quanto convinto della sua correttezza, magari confidando che il fascicolo sia assegnato a differente giudice. Insomma, un mero invito senza la previsione di sanzioni che rientra nell’ambito di quel dovere di applicare le norme previsto dall’art. 124 c.p.p. e che in concreto si rivela un vessillo per un’udienza che si propone l’apprezzata finalità di regolarizzare l’azione del p.m., svuotata, però, di quel tasso di cogenza necessaria affinché i propositi divengano effettivi.

4. Ed è proprio quest’ultima considerazione che consente di tirare le somme di un istituto inedito creato, soprattutto, nel segno della deflazione, ma che risulta carente di quegli elementi strutturali necessari per offrire effettività a quell’auspicato filtro a “maglie strette” che il processo accusatorio richiede. Necessità, si badi bene, non solo e soprattutto in funzione della deflazione, ma al precipuo scopo di limitare l’approdo al processo solo di quei fascicoli per i quali si prospetti la condanna e che meritano di essere celebrati celermente di modo che i valori fondamentali del modello accusatorio non sbiadiscano a seguito di dibattimenti dilatati. Diversamente, come è stato osservato, il rischio è quello di dar luogo ad una mera udienza di smistamento, senza riuscire ad evitare, nella maggior parte dei casi, dibattimenti superflui, e con un inevitabile allungamento dei tempi processuali, anche per processi non particolarmente complessi (TRIGGIANI, op. cit.)

Insomma, l’istituto benché ammantato da apprezzabili finalità, si appalesa carente su profili decisivi per la sua funzionalità con la conseguenza che l’udienza predibattimentale, così come formulata, si presenta con più ombre che luci…

Filippo Giunchedi

Associato di Diritto processuale penale 

nell’Università Niccolò Cusano di Roma