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23 settembre 2022

La retrattabilità dell'azione penale- di Daniele Livreri


Costituisce communis opinio che non sussistano concrete chance di contenere i tempi del processo penale in termini ragionevoli, e quindi conformi alla Costituzione, senza che un'elevata percentuale di azioni penali sia risolta attraverso meccanismi deflattivi, ampiamente intesi. Ciò, soprattutto con riferimento ai c.d. riti alternativi, era ben chiaro sin dagli albori del "nuovo" codice.

L'importanza dei meccanismi deflattivi ai fini dell'efficienza del processo era ancor più evidente sol che si pensi che il legislatore dell'epoca non ritenne opportuno ricorrere né ad una massiccia depenalizzazione, né tanto meno ad una modifica del principio costituzionale di obbligatorietà dell'azione penale. Al riguardo può notarsi che in un sistema in cui l'intera amministrazione della giustizia è cronicamente in palese difficoltà, forse si è ritenuto che la depenalizzazione avrebbe potuto non giovare alla domanda di giustizia degli interessati. Ancora maggiori insidie potrebbe nascondere l'abolizione del principio di obbligatorietà dell'azione penale. V’è da chiedersi infatti sulla scorta di quali criteri, a fronte della ricorrenza di ipotesi di reato, si eserciterebbe l'actio e a chi risponderebbe il pubblico ministero delle sue scelte ? Diverso è il tema, per quanto connesso, degli aggiramenti del principio di obbligatorietà, attraverso selezioni de facto di ciò che va a processo.  

Dunque la via maestra per “salvare” il processo penale è quella dei meccanismi deflattivi, ampiamente intesi.

Il mosaico di interventi in tal senso potrebbe includere anche la desistenza processuale del Pubblico Ministero rispetto all'imputazione. 

A tal proposito, giova anzitutto considerare che in un processo accusatorio la fisiologica differenza, in termini di elementi conoscitivi, tra indagini e dibattimento dovrebbe comportare la flessibilità della contestazione, e ciò in ogni direzione. Tuttavia il nostro modello processuale conosce una flessibilità dell'imputazione soltanto parziale. Infatti, a mente dell'art. 50 u.c., l'esercizio dell'azione penale può essere al più sospeso o interrotto nei casi previsti della legge, ma mai revocato. Diversamente l'imputazione riacquista flessibilità in senso ascrittivo  (nel caso del reato diverso) o ingravescente (nel caso di  reato connesso oppure rispetto ad ulteriori aggravanti).

In altri termini, <<in virtù del principio di irretrattabilità dell'azione penale, il P.M., a norma degli artt. 516 e 517 c.p.p., ha il solo potere di integrare l'accusa, mentre non può procedere autonomamente alla correzione o riqualificazione delle condotte, potere che attiene alla decisione di merito e che spetta al giudice, il quale nel suo esercizio deve fornire adeguata motivazione sulle questioni di fatto e di diritto concernenti la sussistenza o meno di tali circostanze>> (cfr. Cassazione penale sez. V - 24/02/2022, n. 8998, che richiama Sez. 5, n. 9806 del 13/02/2006, Casagrande, Rv. 234231 - 01).

Peraltro l'intervento delle SS.UU. Barbagallo (Cassazione penale sez. un., ud. 28/10/1998, dep. 11/03/1999, n.4) ha comportato un ulteriore discostamento rispetto al sistema accusatorio, consentendo di modificare l'imputazione, ex artt. 516 e 517 c.p.p., anche anteriormente allo svolgimento dell'istruttoria dibattimentale, sulla scorta del materiale di indagine.

Consentire la facoltà di dismettere l'azione già esercitata avrebbe degli indubbi vantaggi e non solo in termini di coerenza rispetto al processo accusatorio.  Infatti ove il requirente, nel corso del dibattimento, prendesse tempestivamente atto che un'imputazione ritenuta fondata all'esito delle indagini non lo è più o che comunque essa non supererebbe la soglia dell'oltre ogni ragionevole dubbio, potrebbe di fatto concludere il processo, chiedendo al giudice un provvedimento di proscioglimento, per rinuncia all'azione. Sul piano motivazionale il giudice potrebbe essere gravato dei soli e scarni obblighi previsti per la sentenza di patteggiamento, rispetto all'art. 129 c.p.p.. Nondimeno, all'imputato portatore di qualificati interessi giuridici ad una pronuncia di merito, come nel caso in cui egli sia stato incolpato in sede disciplinare per i medesimi fatti contestatigli nel giudizio penale, dovrebbe essere consentito un diritto ad una pronuncia di tal fatta.     

L’invocata riforma non può certamente avversarsi richiamando la possibilità che il requirente possa richiedere il proscioglimento all'esito del giudizio o ex art. 129 c.p.p.. E ciò perché, se non altro, in ogni caso il giudice in tale situazioni resta gravato del dovere di accertare e valutare una domanda, con connessi poteri/doveri istruttori e motivazionali. 

Ma, a parere di chi scrive, la possibilità per il pubblico ministero di agire sulla leva dell'imputazione dovrebbe consentirsi anche per favorire il ricorso al c.d. patteggiamento.

La possibilità per l'attore di rinunciare a parti dell'imputazione o ad alcune imputazioni favorirebbe certamente il rito alternativo, fin qui, per lo più, ritenuto inammissibile in ipotesi di richiesta di definizione parziale della o delle imputazioni (cfr. Cassazione penale sez. III, ud. 12/01/2018, dep. 16/02/2018, n.7724, per un caso di istanza ex art. 444 c.p.p. inerente un frammento della condotta imputata).

In un sistema che consentisse la retrattabilità dell’azione, la statuizione che prendesse atto della dismissione dell'azione dovrebbe, a tutela dell'imputato, comunque impedire la celebrazione di un secondo grado di giudizio.  

Infine, a fronte della rinuncia alla domanda attorea, ci si dovrebbe interrogare sull'esito delle pretese civili dispiegate nel processo penale. Al riguardo si può ritenere, almeno che per ciò che concerne il primo grado di giudizio, che venuta meno l'azione penale, quella civile non possa più essere mantenuta nel giudizio penale, salve però le emergenze probatorie già acquisite, similmente a quanto previsto ex art. 578 comma I bis c.p.p..