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09 novembre 2022

La Riforma che vorrei. L'intervento della Prof.ssa Francesca Ruggieri


Una unica cultura legale per giudici, pubblici ministeri e avvocati: ruoli differenziati ma formazione comune per un processo penale giusto ed efficiente¨.


  

Sommario. 1. Quadri da un tribunale. -2. Alcuni riferimenti. -3. Un sogno e alcune esperienze. -4. L’ignoranza del mondo altrui. -5. Studio e formazione. – 6. Ipotesi per la costruzione di una cultura comune. -7. Le utopiche ricadute delle riforme proposte.

  

1.         Quadri da un tribunale.

 

Avvocato si accomodi.

Il suo cliente è stato accompagnato, i testi sono puntuali.

Ieri avevamo sentito Rossi oggi tocca a Verdi e Gialli. A voi la parola.…

Altre domande pubblico ministero? Perfetto. Dichiaro chiusa l’istruttoria.

Oggi è venerdì, lunedì ascolteremo le vostre conclusioni.

… Il collegio si ritira.

Dall’ultimo telegiornale della notte: “Oggi, a quasi due mesi dal terribile incidente, giudice togato e scabini si sono pronunciati, dopo una camera di consiglio di quasi due giorni, per la colpevolezza di Caio e Tizio. Sono stati invece assolti Sempronio e Mevio. Solo l’avvocato di Caio ha dichiarato che avrebbe proposto impugnazione”.

 

Pubblico ministero mi dica.

Ho letto sia le sue richieste sia le osservazioni dell’avvocato Publio. Nessuna delle due prospettazioni mi convince.

Nel rispetto dei criteri dettati dal codice di rito non posso in alcun modo disporre un provvedimento restrittivo. Ci aggiorniamo.

 

 Il collegio ha apprezzato molto l’organizzazione di Firma, che accompagna una condivisibile filosofia imprenditoriale ad un Modello ex 231/01  efficace e, soprattutto, condiviso a tutti i livelli dell’azienda, ove il profitto è perseguito nel rispetto dei diritti dell’ambiente e dei lavoratori …

 

Giuseppe, la condanno a due anni di servizi di pubblica utilità presso la scuola di Borghi; credo che le sue affermazioni siano palesemente false. Avrebbe dovuto almeno chiedere scusa.

Maria può tenere il bambino.

      

2.         Alcuni riferimenti.


Una immagine di unità di spazio e di tempo quasi istantanea fotografa un giudice che accoglie gentilmente le parti, non interviene nell’istruttoria, decide subito all’esito e, quando deve valutare una struttura aziendale, apprezza il lavoro imprenditoriale senza alcun pregiudizio circa la logica del profitto e del mercato. 

Solo uno dei due imputati condannati non è soddisfatto e unicamente per lui si può ipotizzare saranno scritte le motivazioni per la celebrazione dell’impugnazione pre-annunciata dal suo difensore.

Nel primo caso non si tratta  un organo giurisdizionale interamente professionista. Decide nella forma dello scabinato: togati e laici insieme come nella nostra Corte d’Assise.

Cambia la stanza, forse siamo in camera di consiglio. Probabilmente è un organo monocratico.  Si tratta di contraddittorio cartolare. Il giudice legge le memorie delle parti e decide senza alcuna istruttoria ex officio. Comunica la sua decisione informalmente.

Leggiamo una parte di motivazione, presumibilmente per un processo a carico dell’ente per una responsabilità amministrativa da reato; il collegio dà atto di conoscere le logiche aziendali.

Ancora un’aula giudiziaria. Il giudice spiega a Giuseppe i motivi della condanna. Si può immaginare lo guardi negli occhi. Forse vi è stato qualche maltrattamento. C’è un bambino di mezzo.

Non vi sono univoci e specifici riferimenti a ordinamenti esistenti. Lo scabinato è tipico del sistema tedesco, che però conosce l’esame incrociato, proprio dell’ordinamento di common law, solo sulla carta.  Appartengono alla tradizione teutonica anche l’ipotesi (in realtà molto più articolata) della stesura di una motivazione solo se venga dichiarata la volontà di impugnare e l’usanza di spiegare in aula al condannato il perché della condanna, e talvolta, i motivi per cui non è stato creduto. Il contraddittorio pre-cautelare, che tuttavia non è solo cartolare, è proprio dell’esperienza francese.

Sempre a tradizioni diverse dalla nostra conoscono il giudice che sa delle vicende imprenditoriali.

Comune a tutti è solo la figura di un giudice che non ha, o almeno non esercita, alcun potere istruttorio. Solo quando parla a Giuseppe e Maria il tribunale sembra assumere le vesti della persona condiscendente, che, dall’alto del suo scranno, valuta e giudica soggetti in qualche misura non proprio dei pari.

E’ un organo che conosce talvolta anche molto bene il mondo in cui si trova ad operare.

 

3.         Un sogno e alcune esperienze.

Ciò che vorrei,  sintetizzabile in poche ma spero efficaci pennellate, è un organo giurisdizionale che rispetti in egual modo accusa e difesa e che non si soffermi a ipotizzare e a completare scenari  che il pubblico ministero non ha voluto o non è riuscito a ricostruire. 

Sogno di non udire mai più da un giudice, “avvocato, ho capito, lasci perdere che ci penso io”.  Un giudice che non si sostituisca alle parti, ma che rispetti le regole, che valuti la condotta del difensore alla stessa maniera con cui valuta quella del pubblico ministero; che non dia maggior credito alla parte pubblica perché pubblica e che non diffidi dell’avvocato perché soggetto privato contiguo all’indagato. Che ascolti, equidistante, le ragioni dell’uno e dell’altro.

Che non unisca il suo convincimento a quello del pubblico ministero per affermare e trovare un colpevole senza il rispetto delle norme che quel convincimento vogliono formato solo superando la presunzione di non colpevolezza. Un giudice che non sospetti delle logiche del mercato perché non ha mai lavorato in azienda, un giudice che sappia proteggere i deboli nell’ambito di un mondo che vive anche e spesso di ricerche, produttività e profitti.

Parlo ad una platea formata soprattutto da avvocati che, come ho avuto modo di sperimentare, conosce la frustrazione di essere messa da parte sugli assunti che il giudice è il miglior garante del rito e, soprattutto, non può essere contestato. Ma ho esercitato anche come magistrato ordinario e conosco la sottile diffidenza a cui il giovane tirocinante è educato e che guida gli organi giudicanti e requirenti nei confronti del difensore il quale, trattando con il cliente, si suppone abbia maggiori conoscenze dell’autorità con cui non le condivide. E là dove difenda una realtà aziendale si presuppone abbia (erroneamente) maggiori possibilità di successo per il mondo in cui si muove.

Nell’uno e nell’altro ruolo ho visto, per fortuna non così frequentemente, ignoranze e supponenza che denunciavano una manifesta inidoneità a comprendere i fatti per cui si procedeva.

 Come accademico, infine, ho potuto constatare quante poco efficaci siano le norme processuali nell’ “educare” i soggetti pubblici e privati del processo a migliorare i reciproci rapporti nell’ ampio agone della giustizia.

Last but non least,  anche  come cittadino, non posso che  interrogarmi su come delimitare e circoscrivere il potere dell’ordine giudiziario  rispetto al cui operato i principi della soggezione della legge e dell’obbligatorietà dell’azione penale non costituiscono più, se mai la hanno costituito, alcuna efficace barriera contro abusi e illegittimità.


4.         L’ignoranza del mondo altrui.

Se le osservazioni che precedono sono corrette, o almeno condivisibili,  si può comprendere come le mie proposte di riforma interessino soprattutto, se non esclusivamente, il piano della formazione.

A mio modesto parere molti degli atteggiamenti e delle incomprensioni che caratterizzano la nostra amministrazione della giustizia potrebbero essere in gran parte risolti da una formazione comune alle diverse parti del processo che consenta loro di conoscere meglio rispettivi ruoli e funzioni e, in senso più ampio, di conoscere realtà spesso del tutto estranee alle professioni liberali ma su cui ogni operatore giudiziario si trova a incidere, nel corso della sua vita professionale, più volte e spesso in modo molto rilevante.

Il pubblico ministero che censura il difensore assumendo che quest’ultimo sia informato di circostanze che potrebbero aiutarlo nelle indagini, non ha mai ricevuto, come avvocato, un cliente, e non sa quanto sia difficile trattare con una persona che, per le più varie ragioni, non vuole o non è in grado di riferire cosa potrebbe essere accaduto a proposito del reato contestato (o solo ipotizzato in caso di addebito provvisorio).

L’avvocato che lamenta la maleducazione del magistrato poiché non lo riceve all’ora concordata non ha mai avuto occasione di trattare con il personale degli uffici o la stessa polizia giudiziaria. E se può anche ritenere, a ragione, che un modello organizzativo di tipo aziendale potrebbe risolvere molti dei denunciati problemi, non ha neppure una pur vaga percezione di come siano solo le buone volontà di taluni a consentire di trovare un fascicolo tra i migliaia presenti nella stanza.

Il giudice che condanna l’imprenditore presupponendo una condotta illecita e fini di profitto non ha mai lavorato in un’azienda, ove di regola la conoscenza e il rispetto delle norme anti-infortunistiche, di quelle a tutela dell’ambiente e oggi delle disposizioni per la prevenzione dei reati presupposto ex d.lvo 231/2001, sono diffusi, presidiati e spesso sanzionati dalla dirigenza in caso di inosservanza molto più frequentemente di quanto si sia abituati a pensare.


5.         Studio e formazione.

Oggi avvocati, magistrati e spesso anche imprenditori escono dal medesimo percorso formativo, il corso universitario di cinque anni in giurisprudenza: una serie di esami, di carattere il più delle volte teorico, che li introduce alle categorie concettuali che un domani dovrebbero aiutarli ad agire in autonomia per chiedere un risarcimento ex  art, 2043 c.c., decidere  sulla custodia cautelare di una persona accusata di rapina, ovvero applicare all’attività produttiva o di servizi le novità in tema di sicurezza sul lavoro.

L’approccio che vorrebbe consegnare loro gli strumenti per applicare un innumerevole numero di disposizioni, di cui in tutta la loro vita professionale conosceranno a mala pena un 10%, è informato a riflessioni sistematiche che tuttavia si scontrano con una serie di novità con esse del tutto incompatibili: la diffusa tendenza a ricorrere a banche dati sempre più sofisticate per risolvere i “casi difficili”, la predisposizione di atti, documenti e memorie sotto forma di collage di atti altrui, in una successione meramente paratattica; la conseguente rinuncia, per i motivi più vari, ad articolate forme di argomentazioni e interpretazioni. Comprensibile, dunque, che dilaghino stages di diversi livelli presso uffici giudiziari e legali per introdurre i giovani all’applicazione concreta della legge.

Rimangono tuttavia rigidamente divisi i percorsi post lauream  dell’una e dell’altra professione legale. Caduto il lodevole tentativo di una scuola post-universitaria comune, gli aspiranti avvocati imparano la professione presso gli studi legali prima dell’esame e sudano presso le scuole forensi; gli aspiranti giudici  sino a ieri sui banchi delle loro scuole di specializzazione, oggi senza neppure quelle, dopo aver superato il concorso di magistratura sono formati, durante il periodo di tirocinio che precede l’assunzione di funzioni, e quindi direttamente, dalle scuole del CSM.

L’una e l’altra categoria, per ragioni che non è possibile neppure accennare ma in entrambi i casi molto risalenti nel tempo, si formano come corporazioni, del tutto autonome l’una dall’altra: più varia la prima, anche solo per l’elevatissimo numero di legali che esercitano (ciascuno secondo una propria tradizione) nel nostro Paese; molto più omogena la seconda, che con un organico di appena ca. 9000 unità,  è in grado di informare rigidamente canoni e stili di giudizio dei propri componenti.

Tranne qualche timida ipotesi sul piano della formazione primaria, volta ad assicurare la doppia laurea in giurisprudenza ed economia in soli sei anni, né i liberi professionisti né gli esponenti della magistratura ordinaria hanno alcuna esperienza delle realtà aziendale. E se si prescinde altresì da alcuni grossi studi legali organizzati secondo criteri manageriali, che iniziano a far capolino anche in alcune sperimentazioni nell’ambito dell’amministrazione della giustizia, né gli uni né gli altri sanno apprezzare la necessaria organizzazione del lavoro che può e deve caratterizzare anche le professioni cd. liberali.

 

6.         Per una cultura comune.

Forse non è la panacea di tutti i problemi, ma a mio modesto parere molti dei problemi denunciati potrebbero essere opportunamente superati da una formazione comune di avvocati e magistrati e da una netta distinzione dei ruoli giudicanti e requirenti.

Si immagini, ad esempio, ancora una volta sulla falsariga dell’esperienza tedesca,  che dopo il conseguimento della laurea in giurisprudenza tutti coloro che desiderino intraprendere una professione legale debbano trascorrere un certo periodo di tempo, che potrebbe essere indicato in due anni  e mezzo complessivi, presso diversi uffici e suddiviso in tal modo: otto mesi presso uno studio legale, otto mesi presso un ufficio requirente e altri otto presso un ufficio giudicante. Gli ultimi sei mesi potrebbero essere spesi proficuamente presso una impresa privata.

Solo all’esito di questo periodo dovrebbe essere consentito l’accesso ad un concorso, che dovrebbe essere unico per tutte le professioni, in cui i candidati dovrebbero dimostrare di saper interpretare il diritto, saper risolvere problemi complessi e saper organizzare un lavoro in forma collegiale.

 La prima valutazione potrebbe interessare la  (classica) stesura di una tema con il solo ausilio delle leggi e/o del codice di riferimento: non interessa a questo proposito lo specifico argomento da trattare, il cui contenuto potrebbe essere estratto a sorte da argomenti  attinenti, in generale, al civile, al penale o al processuale.

La seconda capacità potrebbe essere accertata con la sottoposizione ai candidati di un “dossier”  e un quesito di cui argomentare la soluzione. Potrebbe anche trattarsi di una decisione “politica” sulla base degli interessi manifestati dai diversi gruppi coinvolti: in quale misura, ad esempio, in un dato comune è opportuno costruire una piscina che soddisfi le esigenze sportive dei giovani, che aumenti profitti e lavori a favore delle imprese costruttrici e dell’indotto derivante dalla frequentazione del luogo sportivo ma a scapito delle risorse che potrebbero essere dedicate per la costruzione di una casa di riposo, di un centro sanitario o uno stadio ?

Ma potrebbe bene anche concernere uno specifico caso: forniti gli atti che un rappresentante dell’accusa trasmette al gip per una richiesta di una misura cautelare, i candidati potrebbero essere richiesti, ad esempio, di predisporre la più opportuna difesa o, per coloro che fossero più interessati a entrare nell’organico della magistratura, di redigere il più opportuno provvedimento (di rigetto o di accoglimento).

La terza competenza, infine, potrebbe, analogamente, essere verificata richiedendo ai candidati la predisposizione di un progetto organizzativo sulla  base di alcuni dati  volti a  rappresentare gli obiettivi da perseguire e la quantità e la qualità delle risorse a disposizione. In questa cornice si potrebbe pensare  alla trattazione di un certo numero di procedimenti entro un dato  termine sulla base delle notizie di reato in entrata e dell’organico, anche di cancelleria, dell’ufficio; ovvero alla predisposizione di una strategia legale al fine di ottenere il miglior risultato per il cliente sulla base di informazioni scarse (il fatto descritto in denuncia-querela) e risorse ampie (una decina di professionisti e studi specializzati in diversi rami).

Con la partecipazione degli ordini e del Ministero della Giustizia, le prove potrebbero essere organizzate distrettualmente, e le commissioni dovrebbero essere composte da magistrati, avvocati, accademici (anche nel settore dell’organizzazione del lavoro) in ugual modo.

All’esito, nel rispetto dell’ordine indicato in una graduatoria nazionale in cui sarebbero inseriti solo i candidati che abbiano superato tutte e tre le prove,  le persone risulterebbero abilitate a scegliere tra il posto di magistrato, optando tra giudicanti e inquirenti, ovvero quello di legale tra liste che indichino i posti vacanti. Se il CSM, come  accade ora, è già in grado di fornire l’elenco degli uffici scoperti, con l’accortezza di una certa qual proporzionale distribuzione territoriale e l’indicazione della natura dell’incarico (giudicante, requirente), gli ordini  non dovrebbero incontrare troppe difficoltà a predisporre una lista analoga.

Va da sé che anche la formazione successiva dovrebbe essere fornita congiuntamente da ordini professionali e CSM.

  7.         Le utopiche ricadute delle riforme proposte.

 La conoscenza delle rispettive aree di competenza e lavoro altrui non può che contribuire al reciproco rispetto tra autorità giudiziaria e liberi professionisti, anche in conseguenza del venir meno delle diffuse ed errate credenze che l’una e l’altra categoria coltivano da tempo nei relativi rapporti e dell’auspicabile diffusione di una nuova cultura che smetta di censurare come incompatibile con le professioni intellettuali tutto ciò che viene ricondotto al business, al guadagno e all’organizzazione del lavoro.

Non è elemento di poco conto: le norme, specie quelle processuali, vivono di prassi, di tradizioni e di cultura.

Scrivere di contraddittorio o di rito camerale partecipato ha ben altro rilevo se gli attori hanno conosciuto quanto possano essere complesse la gestione delle rispettive agende di lavoro e la predisposizione della più efficace forma di  dalla prospettiva della accusa o della difesa. Applicare o valutare una certa organizzazione aziendale ha altro spessore se si  riescono ad apprezzare i valori positivi di una economia di mercato.

       Una formazione continua per magistrati e professionisti insieme, potrebbe anche essere d’aiuto per migliorare la comunicazione tra i soggetti del processo:  certe questioni  in diritto, pure astrattamente ipotizzabili ma del tutto irrilevanti al fine del decidere, ad esempio, potrebbero essere  del tutto tralasciate nella consapevolezza di un sapere comune e di una reciproca fiducia.

Soprattutto, però, una educazione comune potrebbe  contribuire all’affermazione di un diverso stile nell’esercizio del potere giudiziario: il terzo ordine dello Stato, senza nulla togliere alle esigenze dell’accertamento, si potrebbe fare apprezzare dalla comunità intera non nella diffusa iconografia dell’angelo vendicatore ma nella più modesta e più rilevante immagine del servitore pubblico che, insieme al libero professionista dalla stessa educazione anche manageriale, fa funzionare la complessa macchina processuale esclusivamente a fini di giustizia.

 

 



¨ Francesca Ruggieri, ordinario di diritto processuale penale presso l’Università degli Studi dell’Insubria (sede di Como).