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23 dicembre 2024

Delitto di corruzione internazionale all'estero per procedere OCCORRE domanda ministeriale

 

Con una sentenza ricca di spunti, tanto di diritto sostanziale che processuale, la sesta sezione della Corte di legittimità ha dispensato alcuni principi in tema di giurisdizione italiana: 

- anzitutto la Corte ha precisato che sebbene <<ai fini dell'affermazione della giurisdizione italiana in relazione a reati commessi in parte all'estero, è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato anche solo un frammento della condotta, intesa in senso naturalistico, e, quindi, un qualsiasi atto dell'iter criminoso; tale connotazione, tuttavia, non può essere riconosciuta ad un generico proposito, privo di concretezza e specificità, di commettere all'estero fatti delittuosi, anche se poi ivi integralmente realizzati (Sez. 6, n. 56953 del 21/09/2017, Guerini, Rv. 272220 - 01)>>. Il principio ha trovato affermazione rispetto ad un caso in cui, secondo la prospettiva accusatoria, la società capogruppo, accusata dei pagamenti corruttivi, aveva una sede di fatto italiana, sebbene i fondi utilizzati per corrompere, all'estero, un pubblico ufficiale di uno stato estero, erano allocati all'estero;

- esclusa la ricorrenza di un delitto commesso in parte in Italia e quindi l'applicabilità dell'art. 6 c.p., la Corte ha escluso la giurisdizione italiana, atteso che, vertendosi in ipotesi di corruzione internazionale ai danni di uno Stato estero, ai sensi dell'art. 9 III co. per procedere occorre la richiesta del Ministero della giustizia, che nel caso di specie difettava.

Sullo sfondo della questione scrutinata dalla Corte si pone il tema della responsabilità, ex. L. 231/2001, della capogruppo rispetto a reati commessi all'estero dalle controllate.

Tuttavia, nel caso di specie, i giudici nomofilattici hanno considerato che il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana nei confronti delle persone fisiche sussiste anche nei confronti dell'ente capogruppo. Invero l'art. 4 II co. del D.L.vo citato prevede che <<nei casi in cui la legge prevede che il colpevole sia punito a richiesta del Ministro della giustizia, si procede contro l'ente solo se la richiesta è formulata anche nei confronti di quest'ultimo>>.

Va però considerato che la Corte non ha affrontato la questione della sede reale della società, poichè la censura era stata svolta in fatto e quindi non era sindacabile in sede di legittimità.  (sentenza al link)