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13 ottobre 2020

Le grandi manovre giurisprudenziali sul divieto di reformatio in pejus: siamo al dunque?

Il tema trattato dalla pubblicazione odierna di Foro e Giurisprudenza CpTp è quello della pena illegale.

Il sottotema è la questione di “politica giudiziaria” che gravita intorno al dibattito sull’abrogazione del divieto di reformatio in pejus.

La Corte di Cassazione, sez. I, con l'ordinanza n. 27711 del 6 ottobre 2020, ha rimesso alle SS.UU. la seguente questione: <<Se il giudice di appello, investito dell'impugnazione del solo imputato che, giudicato con il rito abbreviato per reato contravvenzionale, lamenti l'illegittima riduzione della pena ai sensi dell’art.442 cod. proc. pen. nella misura di un terzo anziché della metà, debba applicare detta diminuente nella misura di legge pur quando la pena irrogata dal giudice di primo grado sia illegale perché in violazione delle previsioni edittali, e di favore per l'imputato>>.
Il caso sottostante è il seguente: processato con il rito abbreviato per la contravvenzione prevista e punita dall'art. 699 comma 2 c.p., l’imputato è condannato per tale titolo di reato ma gli viene irrogata la pena (più favorevole) prevista dal comma 1 della norma.
Appella la condanna il difensore dell’imputato devolvendo la questione della mancata applicazione della diminuente del fatto di lieve entità prevista dall'art. 4 L. 110 del 1975. La Corte d’appello riqualifica il fatto sussumendolo nel citato illecito contravvenzione dell’art. 4 cit.. Tuttavia, nonostante la pena irrogata in primo grado sia illegale per non essere stata applicata la riduzione della metà (giudizio abbreviato) in presenza di reato contravvenzionale, la Corte d’appello conferma il quantum condannatorio per essere la pena irrogata in prime cure più favorevole all’imputato rispetto a quella prevista in sussunzione (art. 4 cit.).
In sostanza, la decisione della Corte d’appello privilegia il principio del divieto di reformatio in pejus e il favor rei, pur a fronte di una pena illegale ma di favore.
Ricorre per cassazione l’imputato deducendo violazione di legge per non essere stata applicata, dopo la riqualificazione del fatto nell'art. 4 cit., la diminuente della metà della pena prevista  dall'art. 442 comma 2 c.p.p..
La sentenza in commento ricorda come in giurisprudenza sia costante l’orientamento per il quale il tema della pena illegale di sfavore vada “fronteggiato con ogni strumento” per rimuovere la violazione di legge a tutela del principio di legalità. 
Al contrario, nel caso di pena illegale di favore che ridondi a vantaggio del condannato la posizione prevalente, in giurisprudenza, è nel senso del mantenimento della pena illegale.
La questione, oltre al divieto di reformatio in pejus involge anche la regola dell’art. 597 comma 4 c.p.p. che di quel divieto è completamento e rafforzamento.
Ed è proprio questo aspetto a “sollecitare” la rimessione della questione alle sezioni unite, dubitando la sezione rimettente che se il giudice non può manipolare in pejus la pena illegale di favore in assenza di impugnazione del PM, appare contraddittorio quell’orientamento che, in casi simili, ritiene applicabile la regola dell'art. 597 comma 4 c.p.p. quale espressione del divieto di reformatio in pejus, che opera “in ogni caso”.
Tanto più, osserva la sezione rimettente, nel caso in cui la diminuente incida su una trattamento di favore che non implichi alcuna valutazione discrezionale ma che abbia un effetto automatico qual è, appunto, la riduzione per la diminuente del giudizio abbreviato.
La questione è calendarizzata per la trattazione da parte delle Sezioni Unite all’udienza del 17 dicembre 2020.