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16 dicembre 2020

Ritorno al futuro: l'eterna lotta di Oralità e Immediatezza contro Cartolarità. Le aporie tra il primo grado e l'appello nell'A.D. 2020 - di Marco Siragusa


Questa è la storia dell’eterna lotta che, senza scomodare i massimi sistemi, ha attraversato la storia degli ultimi trent’anni del codice di procedura penale.

In esordio fu rivoluzione copernicana: oralità e immediatezza, contraddittorio per la prova e diritto di difendersi provando avrebbero qualificato il nuovo statuto epistemologico della prova.
Ma fu vita breve: ancora in fasce, la nuova procedura penale venne “aggredita in culla”. Con un gioco di prestigio si cavò dal cilindro dell’armamentario giuridico ilprincipio di non dispersione delle fonti di prova. E fu subito controrivoluzione.

Dopo due modifiche normative all’art. 513 c.p.p. e un (intermedio) aggiornamento della Carta Costituzionale, vide la luce la legge sul giusto ed equo processo.

Com'è noto, tra le tante novità, quella legge introdusse la regola di giudizio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio (c.d. B.A.R.D.). Per condannare un cittadino che si presume innocente, non devono residuare dubbi. Se ve ne sono, si decide in favore di chi è accusato (in dubio pro reo).
Quella regola recava in sé un principio di stretta logica: se nel medesimo processo un giudice ha detto “colpevole” e un altro ha detto “innocente”, c’è un dubbio ragionevole. In corollario, se l’imputato è stato assolto dal primo giudice di merito, il pubblico ministero non può appellare per ribaltare la decisione.
La legge non passò alla verifica della Corte Costituzionale e la pubblica accusa (ri)ottenne il diritto di provocare il ribaltamento di merito della pronuncia assolutoria.
In quel contesto risaltò evidente come il nostro giudizio di appello fosse un ibrido infelice con evidenti caratteristiche inquisitorie che nelle ipotesi di riforma della sentenza assolutoria su appello del pubblico ministero privava alcuni imputati della possibilità di ottenere una revisione di merito della sentenza di condanna. In casi simili, infatti, all’imputato è sottratta la possibilità di ottenere una revisione nel merito della res judicanda (Nuzzo F., L’appello nel processo penale, Milano, 2008, p. 40).

Non era tutto. 
Accadeva anche che la pronuncia in riforma dell’assoluzione fosse pronunciata da un giudice che aveva soltanto “letto” le prove assunte in primo grado. 
Un giudice, quindi, a conoscenza “depotenziata” rispetto a quello di prima istanza, perché privato dei c.d. metadati di conoscenza. Con buona pace del principio del giusto processo costituzionalizzato all’art. 111.

Dove non arrivammo noi, la controriforma la impose la Corte EDU
Su tutte la nota decisione Dan contro Moldavia del 5 luglio 2011 (la prima, poiché qui parleremo anche della seconda).

Val la pena ricordare i principi delineati da quella sentenza:

● Riconoscere “il diritto all'udienza”;
● Stabilire il “contatto diretto” con la fonte testimoniale;
●In entrambi i casi col fine di evitare il “depauperamento” delle chanche difensive.

Lo statuto “europeo” è quindi nel senso di riconoscere un diritto soggettivo all'imputato ad aver riassunta la prova dichiarativa, nel caso in cui la sentenza di appello effettui un overturning della sentenza di primo grado, con la ratio di assicurare il principio di immediatezza secondo un meccanismo di rilevabilità d'ufficio.

Il principio venne recepito dalle SSUU Dasgupta e da esse declinato sul versante della regola di giudizio del dubbio ragionevole e della motivazione rafforzata (SSUU Mannino) anziché su quello del diritto all’udienza di riassunzione della prova che ne diveniva quindi conseguenza.
Prova ne sia che l’arresto fu “esteso” anche ai casi di giudizio abbreviato, nel quale si rinuncia all’udienza orale e al contraddittorio per la prova (SSUU Patalano).
Il principio venne infine positivato dalla riforma Orlando (603 comma 3 bis c.p.p.) e resistette all’ultimo assalto (le Sezioni Unite intervennero, ancora, a riforma Orlando in vigore, con la sentenza Troise).

Dopo una pronuncia della Corte Costituzionale, una riforma codicistica e ben tre sentenze a Sezioni Unite, la regola appare così stabile da costituire un’eccezione allo “sgarrupato” articolo 23 del decreto legge Ristori bis sull’appello cartolare pandemico: in appello non si può riformare un’assoluzione se non ristabilendo il contatto con la fonte dichiarativa [ne abbiamo scritto su questo blog al link 👉Se riformi, rinnovi. Istruzioni per il giudice di appello. Immediatezza, oralità, ragionevole dubbio e motivazione rafforzata - di Marco Siragusa].
Il che, detto altrimenti, è il riconoscimento della prevalenza del metodo epistemologico del contraddittorio per la formazione della prova.

Bene, direte voi: ormai sembra vinta la battaglia di Oralità e Immediatezza contro Cartolarità
Ma sbagliereste!

Lasciando da parte il “papocchio” dell’appello cartolare pandemico, v’è che in primo grado Cartolarità s’è presa la sua rivincita, riuscendo nella titanica (?) impresa di persuadere della sua bontà le Sezioni Unite Bajrami [ne abbiamo scritto su questo blog al link 👉Funzione nomofilattica e funzione nomopoietica: una colta e accurata lettura critica della sentenza Bajrami - di Nicola Russo].

Neppure la Corte Costituzionale aveva osato (sentenza n. 132/2019) attentare alla riserva legislativa e mettere al bando la chiara regola dell’articolo 525 c.p.p..
Ma il seme cartolare, cioè la non indispensabilità della rinnovazione istruttoria in primo grado nel caso di mutamento del giudice, trovava le sue ragioni ideologiche nello statuto del processo penale che ANM aveva divulgato il 10 novembre del 2018 (par. 4 di quel documento).
Non era dunque difficile prevedere come sarebbe finita la storia ...

Quel che è oggi:
  • in primo grado non si “rinnova” con le limitazioni della Bajrami;
  • in appello si rinnova prima di ribaltare la decisione assolutoria appellata dal pubblico ministero o dalla parte civile per questioni attinenti la valutazione della prova.
Vi pare che vi sia coerenza? Soprattutto laddove si consideri che la rinnovazione in appello fonda sulla maggiore affidabilità epistemologica del metodo? O dovremmo concludere che in primo grado al giudice subentrante è sufficiente leggere, mentre al giudice di appello è necessario rinnovare?
Non è che siamo fuori da ogni regola di coerenza? Che abbiamo abbandonato i princìpi? Che, a voler malignare, le due regole, incompatibili, si “tengono” sulla riforma della prescrizione che “rallenta e blocca” il tempo in appello?

Così è, se vi pare.
Intanto, la Corte EDU riporta la barra sul piano dei principi.

Il 10 novembre 2020 (per una coincidenza a due anni esatti dal documento dell'A.N.M. del 10.11.2018, ndr) è stata depositata la seconda sentenza del signor Dan, ancora una volta vittoriosa, contro la Moldavia.
L’ha commentata per Giurisprudenza penale la collega Marina Silvia Mori [ne abbiamo scritto su questo blog al link 👉 Dan contro Moldavia, il sequel - di Marina Silvia Mori].

La sentenza sarà foriera di novità sul formante giurisprudenziale interno e (forse) aiuterà a porre rimedio al brutto pasticcio della procedura penale italiana che ha perso il filo dei principi e confonde Oralità/Immediatezza e Cartolarità nei due gradi del merito.
La Corte EDU non ha invece dubbi sulla migliore qualità del metodo di conoscenza orale.

L’eterna lotta è destinata a continuare ...


Con l'occasione, segnaliamo il webinar di Camera penale di Trapani di venerdì 18 dicembre 2020. Vi aspettiamo su ZOOM. Iscrizioni al link 👉 La Giurisprudenza CEDU in materia penale: effetti e strumenti nell'ordinamento italiano