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21 febbraio 2021

Buon senso l'è morto: le argute riflessioni di Carmelo Passanisi (*)




L’ARTICOLO 465 DEL CODICE DI PROCEDURA PENALE: 
CHI ERA COSTUI? - di Carmelo Passanisi (*)

Chi si ricorda dell’esistenza dell’articolo 465 del codice di procedura penale alzi la mano? 

E fra chi se lo ricorda, quelli che lo hanno mai visto applicato le alzino tutt’e due. 

Quest’introduzione un po’ a sorpresa serve per richiamare l’attenzione di chi legge su un problema di fondo del processo penale. Un problema vero, che tutti conoscono, ma di cui nessuno parla: l’efficienza delle cancellerie. Che non riguarda, si badi bene, l’efficienza della singola cancelleria o del singolo addetto, ché ci sono cancellerie efficientissime, ma la cui efficienza è demandata soltanto allo spirito di iniziativa ed alle capacità organizzative del dirigente. Ma riguarda un’area di azione burocratica che grandemente incide con la durata e l’organizzazione del processo

Quando mai un giudice, sapendo che nel giorno in cui il processo è fissato l’udienza non si potrà tenere, ha applicato quanto previsto dall’articolo 465, con ciò caricando la cancelleria dell’onere della comunicazione e delle notificazioni? 

Si preferiva, all’inizio, comunicare il rinvio alle parti che regolarmente si presentavano all’udienza che non si sarebbe potuta tenere e, prima che le prassi e i protocolli si inventassero l’ "udienza di smistamento”, ai testimoni, la nuova data. Ed il costume è sopravvissuto anche all’avvento delle notifiche tramite PEC, che di certo sveltiscono di molto l’onere della cancelleria. 

È in questo contesto, nel contesto del non detto principio per cui “È BENE GRAVARE LE CANCELLERIE DI MENO LAVORO POSSIBILE” che devono essere lette, io penso, le recenti norme in tema di presentazione e deposito di atti per via telematica, con tutto il seguito ansiogeno di attesa di risposte e conferme e con tutto il corteo di inammissibilità previste, è un esempio, per la presentazione delle impugnazioni, per questioni di mera forma. Quelle ansie che prima contenevamo seguendo la mano del cancelliere fino a quando non avesse apposto il timbro del depositato e fino a quando non ci avesse dettato, viso a viso, il salvifico numero di protocollo.

Avete mai visto un cancelliere rifiutare un atto di appello sol perché la firma non è leggibile o perché la carta non è della grammatura prevista? O un cancelliere si è mai posto il problema dell’autenticità della firma apposta all’impugnazione proposta per raccomandata o telegramma, così come previsto dall’articolo 583 del codice di rito

La possibilità di sveltire certe parti del processo, consentita dalle moderne tecnologie, è frustrata dalla farraginosità delle procedure scelte. È certamente un mio limite, ma non comprendo perché le cose che si devono depositare attraverso il PST non si possano depositare tramite una PEC (strumento, peraltro, del tutto assimilabile alla raccomandata a.r.). Con un sistema che, prendendo esempio da quanto già accade nel processo civile telematico, spesse volte si inceppa e non funziona. E al quale non puoi accedere se magari sei tecnologicamente avanti, e usi la firma digitale da remoto e perciò non hai né chiavetta, né smart-card. 

Insomma, non riesco a comprendere perché, se sono debitore di un giudice o di un cancelliere, posso inviargli la somma dovuta in pochi secondi con il mio cellulare e se invece devo depositare una nomina devo farlo attraverso un apparato che mi chiede atti abilitanti e caselle da riempire senza saltarne manco una

Il dubbio è malizioso, me ne rendo conto, ma non riesco a liberarmene. Che dietro tutto questo ci sia ancora e sempre la vecchia regola nascosta ma inderogabile: È BENE GRAVARE LA CANCELLERIE DI MENO LAVORO POSSIBILE. 


(*) Carmelo Passanisi: Avvocato del Foro di Catania è stato Presidente della Camera Penale "Avv. Serfanino Famà" e Presidente del Consiglio delle Camere Penali Italiane. È un vero amico, del quale siamo lieti di ospitare le riflessioni, sempre argute.