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15 aprile 2021

Falsità in autocertificazione da Covid-19: non è reato per il GUP di Milano

Nel pieno periodo pandemico ci eravamo occupati dei "guasti" che l'emergenza (e il modo di affrontarla) aveva prodotto al tessuto delle fonti normative con i contributi  Il principio di legalità al tempo dell'abuso dei DPCM, di Mauro Anetrini e L'insostenibile leggerezza della nomopoiesi, di Mario Tasquier.

Qualche giorno fa, sulle pagine del Foglio Quotidiano, Sabino Cassese ha commentato lo stravolgimento che il diritto subisce per effetto dell'emergenza - che non è più emergenza - in un'ideale discussione tra l'Illuminista e il Realista, ponendo l'accento sul rischio della "medievalizzazione"  delle fonti e della ad-hoc-cratia (al link l'articolo di Cassese, La regola e l'eccezione). 

Oggi tiriamo le fila delle riflessioni di Anetrini, Tasquier e Cassese, commentando la decisione "a latere" delle normative pandemiche del GUP di Milano.



Il GUP di Milano ha escluso che le false dichiarazioni contenute nella autodichiarazione Covid – 19 possano integrare il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, ex art. 483 c.p., in relazione all’art. 76 dpr 445/2000.

Al riguardo si rammenta che la norma incriminatrice sanziona non ogni dichiarazione rilasciata ad un pubblico ufficiale ma soltanto quelle da recepire in un atto pubblico per finalità probatorie.

Orbene, il giudice lombardo ha rilevato che nel caso di specie <<appare difficile stabilire quale sia l’atto del pubblico ufficiale nel quale la dichiarazione infedele sia destinata a confluire>>.

Ma anche a volere ritenere che le dichiarazioni del privato siano (eventualmente) destinate ad essere trasfuse in un verbale di contestazione di una sanzione amministrativa o penale, si tratta di atti non destinati a riportare dichiarazioni vere.

Ad ulteriore conforto della sua tesi, il GUP ha rilevato che, ove ricorresse un obbligo di dire il vero in ordine ad uno spostamento difforme da quelli all’epoca consentiti, si violerebbe il principio del nemo tenetur se detegere. Infatti, all’epoca della contestazione, lo spostamento in violazione degli obblighi restrittivi integrava il reato di cui all’art. 650 c.p., di talché il privato costretto a dire il vero sarebbe incorso in un procedimento penale.

Scarica qui la sentenza del GUP di Milano 👉 link