01 novembre 2020

Il principio di legalità al tempo dell'abuso dei DPCM, di Mauro Anetrini

Per la rubrica "Opinioni e documenti" siamo orgogliosi di ospitare l'intervento dell'avvocato penalista torinese Mauro Anetrini, amico di lunga data della nostra Camera Penale.
Qualche giorno fa su questo blog abbiamo già affrontato l'argomento DPCM (L'insostenibile leggerezza della nomopoiesi).
Torniamo nuovamente sul tema con le riflessioni, quanto mai attuali, dell'avvocato Anetrini circa gli equilibri che fondano la Repubblica, e lo facciamo nel giorno domenicale solitamente "dedicato"  all’emanazione dei DPCM. 


Scrive Mauro Anetrini:
Sul principio di legalità, nelle sue varie accezioni ed estensioni, si è detto tutto ed il contrario di tutto; sui decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, considerato l'uso che ne è stato fatto, si è detto ancora di più. Forse, però, non si è detto abbastanza.
Partiamo da qui, dalle cose semplici, che, troppo spesso, fingiamo di dimenticare. Non c'è alcun dubbio che i decreti in esame, in ragione del contenuto generale ed astratto delle disposizioni che contengono, costituiscono dei veri e propri atti normativi, pur secondari, soggetti alle regole dettate dalle Disposizioni sulla Legge in generale. Insomma: non sono leggi, ma dovrebbero – in astratto – conformarsi alla disciplina sulla quale si regge l'impianto normativo del nostro ordinamento.
Dicono – a ragione – che, negli ultimi tempi, a causa dell'emergenza epidemiologica, il ricorso allo strumento in parola si è tradotto prima in una surroga della legge e, poi, in una sottrazione delle attribuzioni riservate al Parlamento dalla Costituzione. 
In altri termini, il Governo, attraverso il Presidente del Consiglio, adducendo ragioni straordinarie di necessità ed urgenza, è intervenuto a regolare la vita del Paese e dei cittadini con uno strumento di indiscutibile efficacia, ma pensato per altri scopi. Osservando la catena di decreti che si sono succeduti dall'inizio del 2020 ad oggi, e aspettando quelli che verranno, verrebbe da dire che la necessità ed urgenza erano tali da non trovare soddisfazione, a giudizio del Governo, neppure nel lamentato eccessivo ricorso alla decretazione prevista dall'articolo 77 della Carta fondamentale.
Da questo, com'era prevedibile, l'addebito di abuso di decreto, aggravato dalle plurime e non sempre giustificate limitazioni alla libertà dei cittadini.
A ben vedere, tutto ciò – qui sta la suggestione indotta dagli argomenti di chi sostiene la legittimità della condotta governativa – con il principio di legalità parrebbe non avere molta attinenza. Anzi, un attento esame della veste formale dei decreti presidenziali potrebbe rivelare che le Disposizioni sulla Legge in generale non risultano affatto violate e neppure sembra infranto il principio di stretta legalità. E' calpestata, piuttosto e con la complicità dell'offeso, la riserva delle attribuzioni costituzionali, che assegnano all'organo legislativo il monopolio della legislazione, cui si accompagna il controllo sugli atti dell'esecutivo.
Siamo ben oltre il principio di legalità nella sua accezione consolidata e ci avviciniamo alla manipolazione del sistema costituzionale. Un atto di natura regolamentare si sostituisce alla legge e viene sottratto allo scrutinio del popolo sovrano, anche nella valutazione della effettiva sussistenza dei presupposti invocati al momento della sua emanazione. Invero, il dpcm sfugge al vaglio preliminare circa la ricorrenza dei “casi straordinari di necessità ed urgenza” che legittimano la decretazione prevista dall'articolo 77 della Costituzione e si presta ad un abuso letteralmente incontrollabile.
Credo che il vero vulnus alle libertà costituzionali, lamentato anche da illustri studiosi della materia, sia tutto qui: atto e abuso partecipano della stessa sostanza, per la semplice ragione che il Costituente, al pari dell'estensore delle Disposizioni sulla Legge in generale, mai avrebbe immaginato che, un giorno, il Governo sarebbe riuscito ad affrancarsi dal Parlamento, compromettendo, spero non irrimediabilmente, gli equilibri delicatissimi che fondano la Repubblica.

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