27 luglio 2024

Metamorfosi di un sistema ed eterogeneità dei fini - di Mauro Anetrini (*)

 



Giovedì abbiamo dato notizia di un importante arresto della corte di legittimità (al link) con il quale è stata ritenuta “scriminata” la condotta - id est: non si può formulare <<un giudizio di colpevolezza- rimproverabilità soggettiva>> - conforme ad un costante orientamento giurisprudenziale, poi mutato. Il tema involge la prevedibilità della sanzione.


Pubblichiamo oggi le riflessioni del nostro Amico e Collega Mauro Anetrini, sulla decisione della corte regolatrice.

Sapevamo già che la prevedibilità delle decisioni, ormai da qualche anno,  rappresenta una sorta di onere cognitivo incombente su chiunque si interroghi circa le conseguenze delle proprie azioni. In parole semplici, la conoscenza dell’orientamento giurisprudenziale sull’argomento in discussione dovrebbe fornire, fin da subito, una risposta in ordine all’esito delle controversie giudiziarie, di qualunque genere.

L’esigenza di stabilità e coerenza del sistema, fonte di questa linea guida, è il prodotto della dilatazione di un principio radicato nella tradizione giuridica del nostro e di altri Paesi: poiché la legge non ammette ignoranza, la legge si presume conosciuta; e, poiché nella legge e’ scritto ciò che consegue alla sua trasgressione, tutti sanno (devono sapere) come sara’ decisa la loro causa. Semplice; chiaro; efficace.

Insufficiente, secondo alcuni.

Così insufficiente da indurre valorosi giuristi - di estrazione giudiziaria - ad estendere il principio oltre le maglie della legge, applicandolo anche alla giurisprudenza, soprattutto di legittimità (e, meglio ancora, delle Sezioni Unute), determinando la mutazione genetica del sistema, sempre più prossimo alle caratteristiche del common law, e della Corte di Cassazione, ormai adusa ad esprimersi come una Corte Suprema.

Insomma: la nomifilachia, relativamente forte, si è progressivamente affermata anche da noi.

Oggi, però, i nodi sono al pettine. Una recentissima decisione della Corte di Cassazione sostiene che non può essere punito chi ha agito adeguandosi all’orientamento giurisprudenziale, magari successivamente mutato.

In altri termini: non la legge, ma la interpretazione della legge è la fonte della prevedibilità delle decisioni.

Il precetto la cui violazione comporta applicazione di pena e’ la sintesi di legge e sedime delle decisioni.

Magari, in un futuro prossimo, torneremo a parlare della rilevanza dell’errore in diritto e del ruolo assunto dalle decisioni giudiziarie che manipolano la legge.

Oggi, mi limito ad una considerazione: poiché la giurisprudenza muta spesso, la prevedibilità delle decisioni rischia di essere ancorata all’incertezza e alla instabilità. Eterogeneità dei fini. 

Fa un po’ sorridere, pensandoci bene…


(*) Mauro Anetrini: avvocato in Torino


26 luglio 2024

Viola il contraddittorio irrogare l'aumento per la recidiva contestata per un titolo di reato non collegato a quello per il quale è irrogata la condanna (Cass. pen. sez. V n. 26124/2024)

 



La Corte di appello di Palermo, Sezione II penale, in parziale riforma della decisione di primo grado resa dal Tribunale di Trapani, e in accoglimento dell'appello del P.G., ha rideterminato la pena nei confronti dell'imputato in senso peggiorativo e nella misura di 5 anni e 10 mesi di reclusione ed euro 2.466 di multa, ritenendo validamente contestata la recidiva.

Ricorre per la cassazione della sentenza di appello l'imputato deducendo, tra le altre critiche, che il titolo gravato è affetto da nullità poiché stravolge la contestazione e la regola processuale del chiesto/pronunciato e, in assenza della contestazione della recidiva con riferimento ai capi per i quali è intervenuta la condanna, irroga il correlativo aumento di pena.

Deduce al riguardo che la sentenza (di appello) impugnata è nulla nella parte in cui, in accoglimento dell'appello del P.G., ha riformato in senso peggiorativo la decisione del primo giudice, riconoscendo l'aumento per la recidiva sul rilievo che l'aggravante “… si applica indipendentemente dalla sua collocazione nell'ambito di una contestazione per la quale l'imputato sia stato assolto … ”.

Come risulta evidente dagli atti (si veda la sentenza del Tribunale), la recidiva è stata contestata al ricorrente solo per la contestazione del capo C), dalla quale egli è stato assolto (assoluzione che non è stata appellata dalla pubblica accusa: giudicato interno).

Dalla medesima sentenza del Tribunale emerge chiaramente che la contestazione della recidiva è stata elevata per il solo capo C): “con recidiva ex art. 99 c.p. specifica e reiterata carico di ciascuno” (degli imputati ai quali era originariamente contestato il delitto del capo C).

Il Capo IV del Libro VII del codice di procedura disciplina dettagliatamente le regole sulla modifica dell'imputazione, sanzionandone la violazione con la nullità della sentenza (art. 522 c.p.p.).

Aver ritenuto che la recidiva contestata al capo C (capo per il quale vi è stata assoluzione) operi per tutti gli altri capi di imputazione contestati al ricorrente costituisce una palese violazione della regola del chiesto/pronunciato.

L'ultra petita in cui è incorsa la corte territoriale è dunque evidente.

Il punto non è, come erroneamente motiva la sentenza di appello impugnata, la natura soggettiva della recidiva, ma il rispetto della regola sulla contestazione dell'aggravante, mai effettuata dal pubblico ministero prima della chiusura del dibattimento di primo grado con riferimento ai delitti contestati ai capi A) e B). Né può dirsi che si tratti di mero (errato) “confezionamento” dell'imputazione, perché la contestazione della recidiva si riferisce chiaramente al solo CAPO C) come dimostra il riferimento ad entrambi gli imputati di quel delitto (poi assolti), mentre i capi A) e B) sono stati elevati a carico del solo ricorrente, senza che la recidiva fosse contestata.

In sentenza (al link) la Corte di Cassazione, sez. V penale, n. 26124/2024 osserva che: "E' legittima la contestazione della recidiva in calce a più imputazioni, a condizione che i reati siano strettamente collegati tra loro, in quanto commessi in concorso formale o anche in concorso materiale, se realizzati nella stessa data e riconducibili alla stessa indole." (Sez. 2, n. 38714 del 12/09/2023, P.G. c. Pozzi Gionas, Rv. 285030, che richiama, in motivazione Sez. 3, n. 51070 del 07/06/2017, Ndyiae, Rv. 271880; Sez. 6, n. 5075 del 9/01./2014, Crucitti, Rv. 258046). 
La recidiva, infatti, proprio in quanto opera come circostanza aggravante inerente alla persona del colpevole, va obbligatoriamente contestata dal pubblico ministero, in ossequio al principio del contraddittorio, in maniera puntuale e tale da consentire una valutazione di incremento della pericolosità ancorata a specifiche e circostanziate vicende, non potendosi diffondere in maniera osmotica ed ultrattiva, ossia al di là dei limiti di una specifica contestazione dalla quale, nel caso in esame, l'imputato era stato mandato assolto.
Peraltro, anche la giurisprudenza che consente la contestazione in riferimento a più imputazioni, con contestazione in calce, ha specificato che tale modalità di contestazione deve intendersi riferita a ciascuna delle imputazioni, salvo che si tratti di reati di indole diversa ovvero commessi in date diverse (Sez. 2, n. 22966 del 09/03/2021, Virgilio, Rv. 281456; Sez. 2, n. 56688 del 13/12/2017, Rv.272146; Sez. 2, n. 3662 del 21/01/2016, Prisco, Rv. 265782).
Pertanto, la sentenza impugnata va annulla senza rinvio" [...].

25 luglio 2024

NON e' condannabile l'imputato in caso di affidamento ad una regola giurisprudenziale il cui mutamento non era prevedibile


La sesta sezione della Corte ha annullato senza rinvio una sentenza nella parte in cui condannava l'imputato per il delitto di cui all'art. 615 ter c.p., giacché l'accesso al sistema informatico era stato operato in un contesto giurisprudenziale in cui non era ancora ritenuto reato. Infatti la Corte ha così osservato: 

<<il fatto contestato all'imputato che, al momento in cui fu commesso, non costituiva reato in ragione della regola fissata dalle Sezioni unite "Casani" nel 2011- cinque anni prima- ha assunto invece rilievo penale nel maggio del 2017, a seguito di un mutamento della giurisprudenza>>. Di talchè , <<l'imputato, al momento in cui i fatti furono commessi, poteva fare affidamento su una regola stabilizzata che escludeva la rilevanza penale della propria condotta e non vi erano concreti, specifici, "segnali" che inducessero a prevedere che, dopo cinque anni dalla sentenza "Casani", le Sezioni unite della Corte avrebbero in seguito attribuito a quella condotta rilievo penale, rivedendo in senso "peggiorativo" il precedente orientamento>>.  Ne segue che nel caso di specie non si può formulare <<un giudizio di colpevolezza- rimproverabilità soggettiva>>. (sentenza al link)

24 luglio 2024

Art. 73 DPR 309/90: il medesimo fatto storico può essere ascritto ai concorrenti con titolo diverso (SSUU n. 27727/2024)

 




Avevamo anticipato la questione (link).

Pubblichiamo ora la sentenza delle sezioni unite n. 27727/2024 (link) alle quali era stata rimessa la soluzione del seguente quesito "Se, in tema di concorso di persone nel reato di cessione di sostanze stupefacenti, il medesimo fatto storico possa essere ascritto a un concorrente a norma dell'art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e a un altro concorrente a norma dell'art. 73, comma 5, del medesimo d.P.R."

Con la sentenza  Gambacurta R. + altri, Relatore: V. Pezzella le sezioni unite  hanno dato al dubbio interpretativo. 

Pertanto il medesimo fatto storico può essere sussulto nella fattispecie punita dall'articolo 73 cit. per taluno dei concorrenti ed in quella del comma 5 del medesimo art. 73 per altri.

23 luglio 2024

Pianeta carcere: mai tanti detenuti in espiazione definitiva !

 

Le più recenti statistiche ministeriali sono impietose: al 30.06.2024 il numero di detenuti in espiazione definitiva è pari a 45.701. La serie storica, dal 1991 ad oggi, dimostra che dal giugno 2023 stabiliamo ogni semestre un nuovo "record". Ma soprattutto si tratta di una crescita costante. Infatti, se si eccettua la parentesi covid, che, tra il dicembre 2019 e il giugno 2020, abbatté il numero di condannati in detenzione di 6 mila unità, l'ultima flessione si registra tra il 30.06.2015 e il 31.12 del medesimo anno. Peraltro dal 30.06.2020 il ritmo dell'incremento  assume tassi crescenti, infatti negli ultimi 4 anni, il numero di condannati presenti è aumentato di 10.000 unità (serie storica detenuti al link).

Non crediamo che su questo andamento incida, almeno in maniera preponderante, la presenza di persone straniere.  Invero, per quanto dalle serie storica non si sia in grado di stabilire quale sia il numero delle persone straniere in espiazione definitiva, resta però fermo che sul dato complessivo di detenuti, gli stranieri costituiscono una percentuale inferiore al terzo e sostanzialmente decrescente (ad oggi il 31,25%, assai meno del 37,48% del dicembre 2007, dato tratto dall'ultimo rapporto dell'associazione Antigone)

All'aumento dei soggetti detenuti in espiazione si affianca quello, vorticoso, delle persone in carico all'UEPE. Se nel 2014 gli adulti in area penale esterna per misure erano 31.865, oggi questo numero è lievitato a 91.640 ( dati ministeriali al link)

Dunque al 31.12.2014 vi era un totale di 65.898 soggetti in esecuzione pena muraria ed extramuraria, invece, quasi 10 anni dopo, tale numero è pari a 137.341 (tenuto conto anche della messa alla prova, che in punto di diritto non è una pena). In sostanza si è assistito a più che ad un raddoppio dei soggetti in espiazione.

Ovviamente, i due dati afferiscono a risposte punitive non comparabili e tuttavia pongono un problema comune: conseguono ad un incremento significativo del numero di reati, soprattutto quelli gravi, o riflettono una crescente esigenza punitiva ?

Per tentare di rispondere bisogna avere conoscenze, anche non statistiche, che non possediamo, però può offrirsi un elemento di riflessione: tra il 31.12.2023 e il 30.06.2024 si è assistito ad un significativo incremento di soggetti in espiazione per pene detentive fino a cinque anni (da 18905 a 19753) e quindi per lo più "diversamente espiabili"(detenuti condannati per pena inflitta al 30.06.24) (detenuti per pena inflitta serie storica al 31.12.23) 



 


22 luglio 2024

❌Utilità: la nuova istanza Cartabia per chiedere la discussione orale del processo in appello❌

 



Nei giorni scorsi abbiamo dato notizia della entrata in vigore della regola Cartabia quanto ai termini per chiedere la discussione orale della causa in appello (link), termine che cambia rispetto a quello pandemico al quale ci eravamo abituati e che, ora, è di 15 giorni decorrenti dalla notifica del decreto di comparizione in appello.

Pubblichiamo di seguito un modello di istanza aggiornata, che rilanciamo nella sezione (link) dove è possibile trovare tutte le altre utilità.


Udienza: «Data udienza»

RGNR: «...»

RG. Giudicante: «Ruolo Generale»-«Anno Ruolo Generale»

Imputato: «Nome »

Parte civile: «Nome »


«Autorità giudiziaria»

«Sezione»

Presidente:

a mezzo PDAAP


Istanza di discussione orale

(ai sensi dell'art. 598 bis c.p.p.)


Signori Giudici della Corte / Signor Giudice del Tribunale,


con inerenza al procedimento indicato in epigrafe nel quale assisto il/la Signor/a «Nome» (solo se parte civile: nel processo a carico dell'imputato «Nome») e per l’udienza del «Data udienza», «Orario»

premesso

  • che in data …, a mezzo pec, è stato notificato il decreto di citazione per l'udienza innanzi al giudice di appello per il «Data udienza», «Orario»;

  • che è intenzione del sottoscritto difensore chiedere, nel termine previsto dal codice di procedura penale (15 dalla notifica suddetta), la discussione orale,

formulo istanza di discussione orale

della causa in udienza pubblica/camerale partecipata, ai sensi dell'art. 598 bis comma 2 c.p.p..

«Luogo»,«Data odierna»

Avv.

(firmato digitalmente)



19 luglio 2024

Reati permanenti e contestazione effettuata nella forma cd. "aperta" o a "consumazione in atto": oneri di discolpa e obblighi motivazionali

 





Nei reati permanenti in cui la contestazione sia effettuata nella forma cd. "aperta" o a "consumazione in atto", senza indicazione della data di cessazione della condotta illecita, la regola processuale secondo cui la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado non equivale a presunzione di colpevolezza fino a quella data, spettando all'accusa l'onere di fornire la prova a carico dell'imputato in ordine al protrarsi della condotta criminosa fino all'indicato ultimo limite processuale e all'imputato l'onere di allegazione di eventuali fatti interruttivi della partecipazione al sodalizio (Sez. 2, n. 37104 del 13/06/2023). Inoltre, nella ipotesi di contestazione 'aperta' nel quale la sentenza non abbia precisato la cessazione della permanenza, la individuazione del momento della cessazione compete al giudice dell'esecuzione sulla base degli elementi emersi, in primo luogo, in sede cognitiva (Sez. 1, n. 21928 del 17/03/2022).

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