31 marzo 2022
Trasmissione pec oltre l'orario d'ufficio: decorre dal giorno successivo
30 marzo 2022
Rapporti tra esecuzione civile e sequestro penale, la Corte ricostruisce il sistema: ma la vicenda sembra kafkiana.
Ci pare opportuno dare conto della ordinanza n. 9231
della III sezione civile (ordinanza al link), resa il 22.03. ultimo scorso, per il suo rilievo, anche per i processualpenalisti.
La pronuncia offre poi l'occasione per qualche spunto
di riflessione non esclusivamente giudiziario.
Giova anzitutto
ricostruire il fatto da cui è scaturita la vicenda sub iudice.
Nella procedura
esecutiva n. 4/2012, pendente innanzi al Tribunale di Lanciano, una
società si aggiudicava, mercè la vendita senza incanto del 19/6/2015, un
compendio immobiliare per il prezzo di Euro 450.000,00,
versando tempestivamente il saldo del prezzo.
Tuttavia, a seguito di un aggiornamento della documentazione ipotecaria, emergeva che
nei registri immobiliari era stato trascritto successivamente al
pignoramento, un sequestro preventivo penale ex art. 321 c.p.p.. Di detto sequestro non
era stata data notizia nè nell'elaborato peritale, nè nell'avviso di vendita.
L'aggiudicatario chiedeva allora di revocare l'aggiudicazione, all'evidenza
temendo, anche in correlazione alla giurisprudenza vigente, la prevalenza del
provvedimento penale, e di ottenere la restituzione delle somme versate a
titolo di prezzo.
Il giudice dell'esecuzione accoglieva tale istanza <<con
ordinanza del 28/10/2015, provvedimento col quale - stante la
necessità di attendere l'esito del procedimento penale (potenzialmente idoneo a
sfociare in confisca dell'immobile e, conseguentemente, nell'improseguibilità
del processo esecutivo) - revocava l'aggiudicazione, sospendeva la procedura
espropriativa e disponeva la restituzione all'aggiudicataria delle somme
versate>>.
Tuttavia la banca creditrice formulava opposizione con ricorso del 16/11/2015.
Il Tribunale di Lanciano - con la sentenza n. 111 del 19/4/2019 - accoglieva
l'opposizione e annullava il provvedimento del giudice dell'esecuzione.
La società aggiudicataria adiva la Corte di cassazione, la banca resisteva
con controricorso.
Col primo motivo di ricorso la ricorrente deduceva <<la violazione
e falsa applicazione "dei principi giurisprudenziali in
subiecta materia" e dell'art. 2915 c.c >>. In altri termini si lamentava
che il Tribunale avesse accolto l'opposizione <<esclusivamente
argomentando sull'ordo temporalis delle formalità pubblicitarie, in
base al quale il sequestro, trascritto successivamente al pignoramento, non può
costituire gravame pregiudizievole per l'aggiudicataria>>.
Diversamente la ricorrente rappresentava che per la giurisprudenza di legittimità il
sequestro penale determina, dapprima, la quiescenza e, poi, l'improseguibilità
del processo esecutivo in caso di accoglimento della richiesta di confisca,
giacché <<le esigenze pubblicistiche sottese al sequestro penale comportano comunque la
sua prevalenza sul pignoramento anteriormente trascritto>> (cfr. Cass.,
Sez. III civ. n. 30990 del 30.11.2018).
Col secondo motivo, la ricorrente denunciava <<l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio
che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dall'omessa indicazione del
sequestro penale negli atti della procedura esecutiva>>.
Il gravame veniva dichiarato inammissibile per inosservanza dei requisiti di contenuto-forma prescritti dall'art.
366 c.p.c.
E ciò giacché <<la ricorrente ha mancato di illustrare la
motivazione della sentenza del Tribunale di Lanciano, di cui è riportato
soltanto il dispositivo, elemento di per sé insufficiente a comprendere il
percorso logico rispetto al quale sono state svolte le censure. In secondo
luogo, non sono stati trascritti nel ricorso gli atti della procedura che la
ricorrente, col secondo motivo, assume essere stati trascurati dal giudice di
merito>>.
Ma quella che per la Corte integra la lacuna più grave è il generico
riferimento al tipo di sequestro trascritto, non essendo all'uopo sufficiente
il richiamo all'art. 321 c.p.p.
Si noti al riguardo che, nel ragionamento della Corte, l'omissione assume
particolare rilevanza perché, secondo la più recente giurisprudenza la disciplina prevista
dal Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione <<è
applicabile esclusivamente alle ipotesi di confisca ivi previste o da norme che
esplicitamente vi rinviano (come l'art. 104 bis disp. att. c.p.p.), con
conseguente prevalenza dell'istituto penalistico sui diritti reali dei terzi
che, solo se di buona fede, possono vedere tutelate le loro ragioni in sede di
procedimento di prevenzione o di esecuzione penale; viceversa, la predetta
disciplina non è suscettibile di applicazione analogica a tipologie di
confisca diverse, per le quali, nei rapporti con le procedure esecutive civili,
vige il principio generale della successione temporale delle formalità nei
pubblici registri, sicché, ai sensi dell'art. 2915 c.c., l'opponibilità del vincolo penale
al terzo acquirente in executivis dipende dalla trascrizione del
sequestro che, se successiva all'acquisto, impedisce la posteriore
confisca del bene acquisito dal terzo pleno iure>> (Cass. sez.
III civ. n. 28242 del 10.12.2020).
Nondimeno la Corte ha dato conto che antecedentemente al citato arresto del
2020, <<le interferenze tra il sequestro penale e le procedure
esecutive pendenti sono state oggetto di un orientamento non univoco>>.
Vi è invero che proprio la III sezione civile della medesima Corte aveva
statuito che <<in ragione della ritenuta prevalenza delle esigenze pubblicistiche penali
insite nel procedimento volto alla misura di sicurezza patrimoniale, si era
statuito che la garanzia reale, anche se precedentemente iscritta, CEDE SEMPRE
di fronte al sequestro e alla confisca, eccettuato il solo caso in cui il
trasferimento del bene pignorato sia intervenuto anteriormente alla confisca >> (Cass.
sez. 3 civ. 22814 del 7.10.2013).
Il citato indirizzo è stato successivamente confermato, con alcune
precisazioni. Infatti, pur rilevandosi che gli effetti della confisca penale,
di qualunque natura, del bene prevalgono sui diritti dei terzi (nella specie, i
creditori aventi diritti reali di garanzia iscritti anteriormente), si è
precisato che ciò trova un limite nell'intervenuto provvedimento di aggiudicazione
in favore di un terzo, in sede di esecuzione forzata prima della confisca
(Cass. sez. III civ. n. 30990 del 30.11.2018).
Diversamente la giurisprudenza penale aveva già affermato che, tenendo
conto del disposto dell'art. 2915 c.c., l'opponibilità del vincolo penale
al terzo acquirente dipende dalla trascrizione del sequestro antecedente al
pignoramento immobiliare (Cass. pen., Sez. 3, Sentenza n. 51043 del
3/10-9/11/2018).
Con specifico riguardo al legittimo affidamento dell'aggiudicatario di un
immobile poi confiscato un’ulteriore pronuncia giurisprudenza civile ha
considerato che l'interesse dello Stato al sequestro penale o alla confisca ex L.575/1965, che già disciplinava
le misure di prevenzione, è sempre recessivo rispetto a quello del terzo
che si sia reso aggiudicatario del bene (Cass. III sez. civ 3709 del 2019).
Tuttavia secondo l'ordinanza che si annota soltanto con la decisione di
Cass. sez. III civ. n. 28242 del 10.12.2020 <<l'ordo
temporalis delle formalità pubblicitarie è stato riconosciuto quale
regola generale per disciplinare l'interferenza tra l'acquisto in
executivis e le misure di prevenzione patrimoniale>>. Dunque
la confisca può pregiudicare l'acquisto solo se il sequestro è stato trascritto
in data antecedente al pignoramento immobiliare.
Il suddetto principio trova una rilevante eccezione nel c.d. Codice
antimafia (D.Lgs. n. 159 del 2011) per il quale l'istituto penalistico
prevale sui diritti reali dei terzi e il processo esecutivo pendente diviene
automaticamente improseguibile (seppur temporaneamente) sin dal momento della
trascrizione del sequestro - e nelle ulteriori ipotesi che a tale disciplina
rinviano (art. 104-bis disp. att. c.p.p.).
Così ricostruita l'evoluzione giurisprudenziale in subiecta materia,
per la Corte i giudici circondariali di Lanciano <<hanno fondato la
propria decisione proprio sulla predetta regola generale (l'ordo temporalis
delle formalità pubblicitarie), statuendo che il sequestro penale, trascritto
successivamente al pignoramento, non poteva costituire gravame pregiudizievole
per l'aggiudicataria>>.
Se questo è il principio cui fare riferimento, ben si coglie- almeno
apparentemente- perché i giudici nomofilattici hanno ritenuto gravemente
viziato il ricorso che non abbia specificato le ragioni per le quali nel caso
di specie non si applicavano le regole generali, ma quelle ex art. 55 D.Lgs.
159/2011 (eventualmente anche tramite rinvio, ex art. 104 bis d. att.
c.p.p.).
All'esito del giudizio, la Corte ha disposto <<la compensazione delle spese del giudizio di legittimità, in quanto l'orientamento giurisprudenziale sopra descritto (e rilevante ai fini della completezza del ricorso introduttivo) si è formato soltanto in epoca successiva al deposito del ricorso per cassazione>>. Tuttavia ai sensi DPR 115/2002, art.13 comma 1 quater la ricorrente è chiamata al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis qualora dovuto.
La pronuncia appare meritoria, posto che cerca di ribadire il ragionevole principio di cui all’art. 2915 c.c., fondato sul chiaro riferimento all’ordo temporalis delle formalità pubblicitarie. Si tratta infatti di formalità accessibili e facilmente comprensibili.
Tuttavia se ci si pone nell’ottica della società ricorrente è intuibile il contorno kafkiano della vicenda.
Nel 2015 la società ricorrente si rende
aggiudicataria di un bene per 450.000 euro, pagando tempestivamente l’importo
indicato. Facile desumere l’importanza dell’investimento per la società, non
soltanto in termini economici, ma probabilmente anche strategici.
Nondimeno quel bene era già oggetto di un
sequestro penale non menzionato nell’elaborato peritale, né nell’avviso di
vendita, ma che se conosciuto avrebbe
probabilmente indotto a diverse scelte imprenditoriali, almeno in termini di spesa.
Verosimilmente la società a fonte del
mutato scenario, si sarà rivolta ad un legale che avrà cercato di districarsi in
un quadro giurisprudenziale tutt’altro che univoco e comunque orientato a riconoscere
la prevalenza della misura penale.
A quel punto l’aggiudicataria,
a fronte del chiaro rischio di perdere l’immobile comprato per le sue esigenze
imprenditoriali, ha tentato di svincolarsi dall’acquisto e in un primo tempo riusciva
a ottenere ragione.
La banca creditrice che su
quegli importi contava evidentemente di ottenere il soddisfo, ancorchè parziale delle sue pretese, ha
interposto opposizione nel novembre 2015 e la decisione è
giunta nell’aprile 2019. Si noti a
beneficio di chi imputa le lungaggini processuali alle dilazioni frapposte dalle
parti private che in questo caso non pare davvero che alcuno potesse avere
interesse a portarla per le lunghe.
Il ricorrente ha proposto un ricorso
fondato sulla giurisprudenza dell’epoca, la Corte di legittimità ha dichiarato in
questi giorni l’impugnazione inammissibile adducendo a ragione principale un arresto
giurisprudenziale sopravvenuto rispetto a quello sulla cui scorta si è redatto
il ricorso e ha dato carico all’aggiudicatario di versare
nuovamente il contributo unificato, già pagato.
Strumento evidentemente pensato per scoraggiare ricorsi pretestuosi, lì dove
pacificamente non doveva ritenersi tale quello di cui si discute.
La società nel frattempo per sette anni è rimasta aggiudicataria
di una res litigiosa, che si spera
abbia avuto una qualche utilità per l’azienda.
E’ accettabile tutto ciò?
29 marzo 2022
L'abolitio criminis del peculato degli albergatori: la sentenza n. 9213 del 17 marzo 2022 della Sez. VI della Corte di Cassazione
Avevamo anticipato l'esito della sentenza della Corte di Cassazione, sez. VI, n. 9213 del 17 marzo 2022, che faceva "il punto" sull'argomento (per approfondimenti si rimanda al link e al link).
Siamo ora in condizione di pubblicare, in anteprima, la sentenza della Corte di legittimità.
Scarica la sentenza, Cass. pen., sez. VI, n. 9913 del 17 marzo 2022, al link.
28 marzo 2022
Non è abnorme l'ordinanza con cui il GIP ordini l'interrogatorio ex 409 cpp. Depositate le motivazioni delle SS.UU.
Con decreto in data 20 ottobre 2021, il Presidente Aggiunto della Corte di cassazione aveva rassegnato alle Sezioni Unite penali il seguente quesito: «se sia abnorme il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, decidendo sulla richiesta di archiviazione, restituisca gli atti al pubblico ministero, affinché provveda all'interrogatorio dell'imputato, senza indicare ulteriori indagini da compiere».
Con la sentenza num. 10728 del 16.12.2021, le sezioni unite avevano statuito che:
"Non è abnorme il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari non accolga la richiesta di archiviazione e restituisca al pubblico ministero gli atti, perché effettui nuove indagini consistenti nell'interrogatorio dell'indagato, trattandosi di provvedimento che, non solo non risulta avulso dall'intero ordinamento processuale, ma costituisce espressione di poteri riconosciuti al giudice dall'ordinamento. L'abnormità va esclusa anche nel caso in cui l'interrogatorio debba espletarsi con riguardo ad un reato diverso da quello per il quale è stata richiesta l'archiviazione, essendo dovuta, in tale caso, la previa iscrizione nel registro di cui all'art. 335 cod. proc. pen.".
Il 24 marzo sono state depositate le motivazioni della sentenza il cui link alleghiamo (sentenza al link)
26 marzo 2022
Il documento della Camera Penale di Trapani con l'eccezione c.d. Bajrami
Il 26 marzo 2022 si è riunito il Direttivo della Camera Penale di Trapani.
Il Presidente Siragusa relaziona sulla riunione del Consiglio delle Camere Penali Italiane tenutasi a Roma il 19 marzo 2022 e sul problema, sollevato dalla nostra Camera Penale, delle continue modificazioni degli organi giudicanti e della persona fisica del giudice nonché sugli effetti che ne conseguono in virtù della nota sentenza Bajrami delle Sezioni Unite (Corte di Cassazione, SS.UU., n. 41736 del 30/05/2019 - dep. 10/10/2019). In particolare è emerso che il problema non riguarda solo il tribunale di Trapani ma tutt’Italia.
Tanto premesso, il Direttivo, all’unanimità
OSSERVA
L’art. 525 c.p.p. dispone che <<alla deliberazione [della sentenza] concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento>>.
La norma, che è ancòra in vigore, ha “superato” lo scrutinio di legittimità costituzionale (sentenza C. Cost. n. 132/2019), dal momento che il giudice delle leggi ha ritenuto riservata al Legislatore la materia nel pieno rispetto dell’art. 101 della Costituzione (i giudici sono soggetti soltanto alla legge);
Tuttavia, una (tra le tante possibili) interpretazione del diritto vivente, la c.d. sentenza Bajrami consente oggi: a) di eludere la regola e la sanzione di nullità assoluta che la “assiste”; b) di permettere la continua modifica del giudice innanzi al quale si forma la prova e che, in esito all’istruttoria dibattimentale, è chiamato ad emettere la sentenza;
Per il commento al merito della sentenza Bajrami si rimanda ai link (link1 e link2), mentre in questo documento s’intende ribadire come la identità - intesa come persona fisica del giudice che assume la prova e del giudice che emette la sentenza - sia un “valore” irrinunciabile.
Che si tratti di un valore irrinunciabile risulta, a tacer d’altro, dalla regola di garanzia ormai codificata dall’art. 603 comma 3 bis c.p.p., che ha recepito i soffermi a Sezioni Unite Dasgupta, Patalano (poi ribaditi dalla sentenza a Sezioni Unite Trojse).
Del resto, come è stato autorevolmente affermato, <<occorre che si faccia ricorso al metodo di assunzione della prova epistemologicamente più affidabile>> (Cassazione II sez. sentenza n.° 41571/1, Marchetta), metodo del quale l’art. 525 c.p.p. è presidio e la cui violazione, come s’è detto, comporta un vizio della sequenza processuale.
Nella sentenza Marchetta, inoltre, si evidenzia come <<il diritto "all'assunzione della prova davanti al giudice chiamato a decidere" è ritenuto - dalla stessa Corte costituzionale- "uno degli aspetti essenziali del modello processuale accusatorio, espresso dal vigente codice di procedura penale": "La ratio della rinnovazione della prova dichiarativa - garantita all'imputato dall'art. 111 Cost., comma 3, - si fonda sull'opportunità di mantenere un rapporto diretto tra giudice e prova, non assicurato dalla mera lettura dei verbali: vale a dire la diretta percezione, da parte del giudice deliberante, della prova nel momento della sua formazione, così da poterne cogliere tutti i connotati espressivi, anche non verbali, prodotti dal metodo dialettico dell'esame e del controesame, che possono rivelarsi utili nel giudizio di attendibilità del risultato probatorio" (Corte cost. ord. n. 205 del 2010)>>.
La violazione della regola dell’art. 525 c.p.p. sulla base dell’ultima interpretazione delle Sezioni Unite, ed oggi purtroppo recepita dai giudici di merito, ha come precipitato che la decisione intervenga <<su compendi probatori "deprivati">> ovvero che la qualità di conoscenza del giudice “lettore” sia inferiore a quella del giudice innanzi al quale la prova si forma, essendo il primo – sono ancora parole della sentenza Marchetta – “deprivato dei metadati di conoscenza” del secondo. In sintesi, dunque, la violazione della chiara regola dell’art. 525 c.p.p. consegna una decisione di qualità inferiore a quella che la Costituzione e il codice vigente impongono come standard.
A questo desolante stato delle cose devono aggiungersi due ulteriori considerazioni:
La prima, è che la regola Bajrami è il frutto di un’interpretazione - e peraltro l’ultima in ordine di tempo - delle Sezioni Unite; un’interpretazione che, però, contrasta con altre e più consolidate delle medesime Sezioni Unite (sentenza n. 2/1999 Iannaso richiamata adesivamente dalla successiva sentenza delle Sezioni Unite n. 1021 del 28/11/2001, dep. 2002, Cremonese) e della Corte Costituzionale (sent. 205/2010 e 132/2019), che sono maggiormente rispettose della legge costituzionale e codicistica.
La seconda considerazione è che il valore della “identità” tra la persona fisica che “partecipa” al processo ed assume le prove – espressione dei principi di oralità e immediatezza che caratterizzano il codice di procedura vigente - è giustamente avvertito a livello organizzativo, se è vero, com’è vero, che nel nostro tribunale è “vigente” una prassi virtuosa che “associa” la trattazione del processo tra il pubblico ministero e il giudice. In altri termini, quello che è avvertito come un “valore” - ossia la partecipazione all’assunzione della prova, che è giustamente esaltato con riferimento ad un organo notoriamente impersonale qual è il pubblico ministero -, retrocede per effetto della “endemica” applicazione della regola Bajrami con riguardo alla identità della persona fisica del giudice. Il che è intollerabile!
S’aggiunga che in un sistema normativo che prevede la sospensione dei termini di prescrizione per richieste ed esigenze dei “privati” (legittimi impedimenti, astensioni dalle udienze, etc.) e che ha di fatto eliminato la prescrizione sostanziale, la “Bajrami” non ha più ragione di esistere a meno di non volerla considerare una regola sindacal-corporativa che consente continui trasferimenti da una funzione giudicante all’altra a detrimento della qualità del processo.
RITENUTO
- Che è dovere dell’Avvocato chiedere il rispetto della Costituzione e delle leggi e contrastare le interpretazioni del diritto vivente lesive delle prerogative di garanzia del processo;
- Che l’omissione di tale dovere, in ipotesi, potrebbe essere fonte di responsabilità professionale per non aver chiesto l’applicazione della norma (art. 525 c.p.p.) a fronte di un risalente e consolidato orientamento delle Sezioni Unite (sent. 2/1999) e della Corte Costituzionale (sent. 205/2010) rispettoso della lettera della legge;
- Che le continue modifiche nella composizione dei collegi giudicanti e delle persone fisiche del giudice monocratico deprimono la qualità del processo decisionale in virtù delle osservazioni sopra svolte con puntuali riferimenti agli arresti del giudice di legittimità;
INVITA
- I Signori Avvocati, a verbalizzare l’eccezione che segue (e/o a valutare se depositare quale memoria difensiva il presente documento) ogni volta che si verifichi una modificazione della persona fisica del giudice:
ECCEZIONE DA VERBALIZZARE
- <<si chiede il rinnovo dell’istruttoria dibattimentale ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 525 cpp, come correttamente interpretato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 2/1999 e dalle sentenze della Corte Costituzionale nn. 205/2010 e 132/2019.
In subordine si chiede un termine a difesa per valutare il deposito di eventuali liste testimoniali integrative e/o formulare nuove richieste di prova.
Si chiede quindi un rinvio dell’udienza senza che siano sospesi i termini di prescrizione, atteso che la modifica dell’organo giudicante è questione che attiene ad aspetti organizzativi dell’ufficio e pertanto “la sospensione del corso della prescrizione, quando non consegua a un provvedimento di sospensione o di rinvio del procedimento o del dibattimento - disposto per impedimento dell'imputato o del suo difensore, ovvero su loro richiesta e sempre che l'una o l'altro non siano determinati da esigenze di acquisizione della prova o dal riconoscimento di un termine a difesa - ovvero alla presentazione di una richiesta di autorizzazione a procedere, ha luogo solo se venga effettivamente adottato un provvedimento di sospensione dei termini di custodia cautelare” (Cass. pen., Sez. Unite, 28/11/2001, n. 1021, Cremonese,)>>.
MANDA
- Il presente documento al Signor Presidente della Corte d’appello di Palermo, al Signor Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Palermo, al Signor Presidente del Tribunale di Trapani, al Signor Presidente della Sezione Penale del Tribunale di Trapani, al Signor Presidente della Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Trapani, al Signor Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trapani.
MANDA
- inoltre il presente documento alla Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane, all’Ufficio di Presidenza del Consiglio delle Camere Penali Italiane e al Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Trapani perché ne abbiano conoscenza e – rispettivamente – valutino di tenerne conto nelle interlocuzioni politiche, valutino di darne diffusione alle Camere Penali territoriali e valutino di darne divulgazione agli Avvocati del Foro di Trapani.
MANDA
- infine il presente documento ai Soci della Camera Penale di Trapani perché verbalizzino l’eccezione sopra riportata ogniqualvolta cambierà la composizione del giudice (ovvero alleghino il presente documento quale memoria difensiva).
DISPONE
- la pubblicazione del presente documento sul sito della Camera Penale di Trapani e sul sito del blog giuridico della Camera Penale di Trapani, Foro e Giurisprudenza.
Trapani, 26 marzo 2022
Il Direttivo della Camera Penale di Trapani
25 marzo 2022
Portale deposito atti penali: quando all'inefficienza si aggiunge l'azione umana - di Marco Siragusa
24 marzo 2022
Pubblicata in G.U. la legge 22/2022 a salvaguardia del patrimonio culturale
Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 23.03.2022 (link alla G.U.) la legge 22/2022 che introduce numerose fattispecie di reato a salvaguardia del patrimonio culturale, con correlata estensione del catalogo di ipotesi particolari di confisca.
Modello 45 e diritto di difesa: un ossimoro? Webinar 14 aprile 2022 su zoom
Al link 👉🏻 www.iltuowebinar.it/14aprile è possibile registrarsi all’evento formativo organizzato dalla Camera Penale di Trapani “Modello 45 e diritto di difesa: un ossimoro?”, in programma per il 14 aprile 2022 alle ore 15:00 sulla piattaforma zoom.
Sopra la locandina con i Relatori.
La retroattività delle misure di sicurezza riguarda anche gli aspetti probatori.
Con la sentenza che si annota (sentenza al link), la II sezione della Suprema corte ha ribadito la natura di misura di sicurezza della confisca c.d. allargata, sì confermandone l'applicabilità anche per gli illeciti realizzati prima della loro inserzione tra i c.d. reati "spia" ex art. 240 bis c.p..
Tuttavia nel caso de quo la Corte, smentendo alcuni suoi precedenti arresti, ha affermato che il superiore principio riguarda anche la dimensione probatoria dell'istituto della confisca allargata. Più esattamente la Corte nomofilattica ha ritenuto che, sebbene la possibilità di addurre i redditi da evasione, quale causa giustificativa di acquisti sproporzionati al reddito dichiarato, sia venuta meno soltanto con la L. 161/2017, il divieto probatorio sussiste anche nei processi che abbiano ad oggetto acquisti antecedenti alla legge de qua.
Al di là della sua rilevanza per il mutamento di indirizzo sopra indicato, la pronuncia induce alcune riflessioni.
Vi è invero che i ricorrenti avevano già richiamato in sede di riesame l'arresto di legittimità poi smentito dalla Corte.
Nondimeno il Tribunale del riesame aveva del tutto pretermesso il tema sollevato dagli interessati, i quali proponevano ricorso di legittimità.
La Corte regolatrice ha testualmente affermato che <<l'importanza del tema è di tutta evidenza>>, nondimeno la lacuna motivazionale risulta irrilevante perché la possibilità di estendere retroattivamente il diverso regime probatorio è mera questione di diritto e la soluzione da dare alle questioni di diritto non attiene al contesto della giustificazione.
All'esito del giudizio la corte ha rigettato i ricorsi, condannando gli interessati alle spese.
Ora v'è da chiedersi se a fronte di una questione fondata su svariate pronunce di legittimità, la cui importanza è di tutta evidenza, sollevata dalla difesa e non vagliata dai Giudici territoriali, la Corte di cassazione, nel rigettare il ricorso, non dovrebbe davvero escludere ogni colpa dell'interessato e astenersi dal pronunciare la condanna alle spese.
23 marzo 2022
Riparto di potestà tra giudice ordinario e militare: la violazione costituisce difetto di giurisdizione (Cass. SS.UU. 8193/2022)
Le Sezioni Unite hanno affermato che, afferendo il riparto di potestà tra giudice ordinario e giudice militare alla giurisdizione e non alla competenza in conformità all’art. 103, terzo comma, della Costituzione, anche il precetto integrativo concernente la connessione tra reati comuni e reati militari, di cui all’art. 13, comma 2, cod. proc. pen., si inquadra nello stesso riparto, con la conseguenza che la sua violazione integra un difetto di giurisdizione, deducibile o rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi dell’art. 20 cod. proc. pen.
22 marzo 2022
La limitazione del diritto alla prova non apre la via alla successiva revisione
Con la pronuncia che si annota, sentenza al link, la Corte regolatrice ha ribadito i confini della "prova nuova" per il giudizio di revisione.
Al rigaurdo la sesta sezione ha anzituto richiamato la lezione delle Sezioni Unite Pisano, secondo cui <<per "prove nuove" rilevanti, a norma dell'art. 630 lett. c) cod. proc. pen., ..., devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate, neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l'omessa conoscenza da parte di quest'ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell'errore giudiziario (Sez. U., n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002, Pisano, Rv. 220443)>>.
Tuttavia la prova <<oltre ad essere "nuova" deve possedere il necessario requisito della obiettiva esistenza e della "dimostratività", ai fini dell'accertamento, dell'errore di giudizio da rescindere>>.
In altri termini <<ai fini dell'esito positivo del giudizio di revisione, la prova nuova deve portare all'effettivo accertamento di un fatto, la cui dimostrazione deve poi evidenziare come il compendio probatorio originario non sia più in grado di sostenere l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato oltre ogni ragionevole dubbio>>.
A tale valutazione comparativa sono del tutto estranei <<i profili che riguardano lo sviluppo del procedimento, la possibile incompletezza della istruttoria dibattimentale, l'esercizio del diritto alla prova, la limitazione del diritto di difendersi provando, la esistenza di invalidità processuali>>.
Nel caso di specie, la Corte ha dichiarato inamissibile il ricorso con cui si chiedeva <<di "riaprire", "sanare", completare l'istruttoria di quel procedimento attraverso un nuovo sindacato sulle ragioni per le quali si è ritenuto di non ascoltare i testi che avrebbero potuto far emergere l'inesattezza del contenuto della notizia di reato ovvero di non acquisire le sommarie informazioni rese nel corso delle indagini preliminari>>.
E ciò giacchè <<si tratta di prove, la cui eventuale irrituale non assunzione, avrebbe dovuto essere fatta valere nel procedimento di cognizione, non in sede di revisione attraverso lo schema della "prova nuova"; nella specie non è chiaro: a) se e cosa il ricorrente abbia dedotto nel processo al fine di far escutere le persone offese ovvero per far acquisire le loro dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari; b) cosa i Giudici abbiano deciso su detti profili; c) perché questi profili dovrebbero essere fatti valere nel giudizio di revisione>>.
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