21 marzo 2022

LEGGE SULLA PRESUZIONE DI INNOCENZA UNA LETTURA COSTITUZIONALMENTE ORIENTATA - di Mariangela Miceli (*)




Il codice di procedura penale attualmente vigente è il quarto codice di questo tipo che l’Italia unitaria abbia avuto.
Le istanze di modifica emersero già nel primo dopoguerra, anni in cui si rinveniva da molto lontano il principio della parità di poteri tra organo accusatorio e soggetto accusato all'interno del processo. 
Negli anni passati si è continuato a spazzare via principi sacrosanti quale la presunzione di innocenza.
Il 29 novembre 2021 è stato pubblicato il decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 188 che introduce “Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”.
Il D.lgs. n. 188/2021 proprio in tema presunzione d’innocenza è entrato in vigore dal 14 dicembre, recependo una Direttiva UE, introduce alcune disposizioni tese al rafforzamento della «presunzione d’innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali».
Il recepimento di tale Direttiva giunge con notevole ritardo, se si considera che il termine fissato dal testo europeo era il 1 aprile 2018.
Ad ogni modo, il testo rappresenta un passo significativo verso la piena e concreta attuazione del principio, non solo europeo ma anche costituzionale, della presunzione di non colpevolezza.
Va precisato che l’atto normativo è rivolto solo alle autorità pubbliche che si trovano a confrontarsi con tale principio, non invece ai privati, in particolare non agli organi di informazione. Le voci più critiche hanno, dunque, affermato che questo decreto non riuscirà a sconfiggere il malcostume del “processo mediatico”.



Il Decreto è composto da sei articoli.

L’art. 1 annuncia l’introduzione di disposizioni integrative-rafforzative “di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali” nei confronti delle persone fisiche sottoposte a indagini o imputate in un procedimento penale. 

L’art. 2 stabilisce il “divieto alle autorità pubbliche di indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili”. In caso di violazione di tale divieto, la norma prevede il diritto di rettifica in capo all’interessato, ferme restando le sanzioni penali e disciplinari e il risarcimento del danno.

L’art. 3 introduce una serie di modifiche al d. lgs. n. 106/2006 (riorganizzazione dell’ufficio del pubblico ministero). In particolare, sono previste le modalità di diffusione al pubblico delle informazioni relative ai procedimenti penali, che deve avvenire “esclusivamente tramite comunicati ufficiali oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa”. Stesse modalità di comunicazione delle notizie rilevanti sono previste nei confronti degli ufficiali di polizia giudiziaria, previa autorizzazione del Procuratore.
Inoltre, la norma stabilisce le condizioni per la diffusione delle notizie, che è consentita solo “quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre specifiche ragioni di interesse pubblico” e “in modo da chiarire la fase in cui il procedimento pende e da assicurare, in ogni caso, il diritto della persona sottoposta a indagini e dell’imputato a non essere indicati come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili”.

L’art. 4, anzitutto, introduce nel codice di procedura penale l’art. 115 bis, rubricato “Garanzia della presunzione di innocenza”. La norma impone all’autorità giudiziaria un duplice obbligo nella redazione dei provvedimenti in materia penale: 
“nei provvedimenti diversi da quelli volti alla decisione in merito alla responsabilità penale dell’imputato” l’obbligo di non indicare l’indagato o l’imputato “come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili”, 
“nei provvedimenti diversi da quelli volti alla decisione in merito alla responsabilità penale dell’imputato, che presuppongono la valutazione di prove, elementi di prova o indizi di colpevolezza” l’obbligo di limitare “i riferimenti alla colpevolezza della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato alle sole indicazioni necessarie a soddisfare i presupposti, i requisiti e le altre condizioni richieste dalla legge per l’adozione del provvedimento” 
Slogan di facile e forte presa, “la presunzione di innocenza” è diventata l’emblema vittorioso di una riforma di grande rilievo, ma assai complessa. La sua storia delinea un percorso ideale fondato su grandi valori e con importanti conseguenze processuali, ma soprattutto rappresenta un singolare momento strategico necessario per creare una inversione di tendenza nell’intervento legislativo di settore . 
Dalla lettera della norma ci troviamo di fronte alla enunciazione della garanzia del “contraddittorio tra le parti in condizione di parità”. Anche in questo caso, da più parti si è sostenuto che tale garanzia fosse ricavabile dalla Costituzione anche prima della riforma dell’art. 111 Cost.
A tal proposito è stato detto come l’esigenza di rispettare la garanzia del contraddittorio sia soddisfatta se alle parti è data la stessa possibilità di incidere sul convincimento del giudice, non dovendosi ritenere che l’unico modello di contraddittorio compatibile con i valori del giusto processo sia quello previsto nel processo ordinario di cognizione.
La garanzia della parità delle parti, quindi, non dovendo essere intesa in senso rigido e formale, non comporta la necessità di estendere l’applicazione del modello di processo ordinario, ben potendo trovarsi realizzata attraverso l’applicazione di modelli processuali differenziati, caratterizzati da forme di contraddittorio eventuale o differito. Si tratta solo di appurare in base a quale valore sia giustificato il sacrificio del contraddittorio e della parità delle parti nel processo in relazione a forme differenziate di tutela.
Per quanto l’obiettivo dell’ economia e dell’accelerazione della procedura rivesta grande importanza, questo non può essere perseguito a discapito del diritto ad una procedura in contraddittorio, del diritto di difesa, dell’esigenza di una corretta amministrazione della giustizia. Ed infatti, talora la Corte ha sanzionato un eccesso di velocità.
Allo stesso modo, la Corte Costituzionale, nell’interpretare l’articolo 111, ha osservato che il principio della ragionevole durata deve essere considerato in rapporto alle esigenze di tutela di altri interessi costituzionalmente protetti che vengono in rilievo nel processo penale.
Sul punto, la Corte ha affermato che “ il principio della ragionevole durata del processo deve essere contemperato nella vicenda concreta con le esigenze di tutela di altri diritti e interessi costituzionalmente garantiti rilevanti nel processo penale, la cui attuazione positiva, ove sia frutto di scelte assistite da valide giustificazioni, non è sindacabile sul terreno costituzionale ”.
È ormai pacifico che l’attuazione del canone del dèlai raisonnable non può in alcun modo compromettere le garanzie dell’imputato e la qualità dell’accertamento processuale, d’altronde, come rileva la Consulta con la sentenza n. 317 del dicembre 2009, è lo stesso termine ragionevole che racchiude in sé il bilanciamento tra queste opposte istanze.
Mentre il conflitto tra la garanzia dello speedy trial e i diritti dell’imputato si rivela in concreto soltanto apparente, richiede invece una analisi più approfondita il rapporto che si instaura tra il diritto di difesa e i valori di stampo pubblicistico dell’accertamento processuale.
Prima della modifica dell’articolo 111 Costituzione, il diritto riconosciuto dall’articolo 24 comma secondo della Costituzione, cedeva spesso il passo, nelle fattispecie concrete, al fine dell’accertamento e della repressione dei reati, nell’ottica di un sistema processuale servente la legalità sostanziale. Oggi invece, il diritto di difesa ha assunto una posizione di sovraordinazione la cui portata è ampliata dalla garanzia del fair trial.
Il carattere inviolabile di tale diritto lo pone infatti su di un piano privilegiato rispetto ai valori di stampo pubblicistico, in altri termini, nell’ambito del giudizio di ponderazione vi è una vera e propria presunzione a favore di tale diritto inviolabile rispetto agli altri beni costituzionali concorrenti sui quali ricade l’onere di provare la ragionevolezza della loro attuazione.
In tale ottica, con riferimento alla garanzia della ragionevole durata del processo, soltanto l’interesse ad impedire la stasi del processo può prevalere nella fattispecie concreta sul diritto di difesa. Pertanto sono da non condividere quei tentativi di riforma legislativa che, in tema di délai raisonnable, prevedendo l’introduzione di termini volti a scandire le cadenze temporali di ciascuna fase, esclusa quella delle indagini preliminari, legano i tempi dell’accertamento a termini cronologici predeterminati in via astratta e perentori, la cui inosservanza determina l’estinzione del processo, senza alcun Si veda il disegno di legge n. 1880 come approvato dal Senato della Repubblica il 10 gennaio 2010, cosiddetto Processo breve, testo radicalmente trasfigurato dopo l’esame della Camera e trasfuso nel disegno di legge del 13 aprile 2011 n. 137/C raccordo con il meccanismo della prescrizione sostanziale operante in parallelo. Tale nuovo sistema volto a garantire tempi processuali certi avrebbe garantito una eccessiva tutela all’imputato e sacrificato intollerabilmente le esigenze di accertamento dei reati dell’accusa, con una conseguente e palese violazione degli interessi riconducibili all’articolo 112 della Carta Costituzionale.

Vale la pena precisare che: nel 2020 l’Italia ha speso 46 milioni per ingiuste detenzioni ed errori giudiziari. Arrestati, poi giudicati innocenti.

Dal 1992 al 2020 gli indennizzati sono stati 30.000, con spesa di 870 milioni. Paga solo lo Stato e chi sbaglia?


(*) Mariangela Miceli: Avvocato del Foro di Trapani. Già dottoranda di ricerca in diritto commerciale e docente a contratto presso l'Università di Roma Unitelma Sapienza. Autrice di pubblicazioni scientifiche.  Contributor per il blog Econopoly24 del Sole24ore

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