13 maggio 2025

Concordato in appello: non si può impugnare con riguardo alla qualificazione giuridica.



A fronte di un ricorso con cui l'imputato impugnava la sentenza resa all'esito del concordato sui motivi di appello ex art. 599-bis cod. proc. pen., adducendo la errata qualificazione giuridica della fattispecie contestatagli, la Corte ha ritenuto inammissibile il mezzo di censura. 

A sostegno di tale statuizione, i giudici hanno osservato che <<l'accordo delle parti in ordine ai punti concordati implica la rinuncia a dedurre nel successivo giudizio di legittimità ogni diversa doglianza, anche se relativa a questione rilevabile di ufficio, con l'unica eccezione dell'irrogazione di una pena illegale>> .(sentenza al link)


12 maggio 2025

Istanza al tribunale di sorveglianza: condizioni per dichiarare de plano l'inammissibilità



La prima sezione di legittimità ha chiarito le condizioni per dichiarare de plano l’inammissibilità dell'istanza tesa a ottenere una misura alternativa. 

Al riguardo i giudici di legittimità hanno rilevato che <<in forza del disposto del comma 2 dell'art. 666 cod. proc. pen., la decisione di inammissibilità dell'istanza, con decreto motivato, è adottata de plano, sentito il pubblico ministero, quando "la richiesta appare manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge" ovvero quando essa "costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi". Configurandosi, dunque, l'inammissibilità disposta de plano in termini di eccezione alla regola generale del contraddittorio, la giurisprudenza di questa Corte ha ricostruito in termini tassativi e comunque rigorosi le condizioni che consentono l'adozione del relativo decreto. In questa prospettiva, si  è affermato che la richiesta debba essere identica, per oggetto e per elementi giustificativi, ad altra già rigettata ovvero che la valutazione di manifesta infondatezza non debba implicare alcun giudizio di merito e alcun apprezzamento discrezionale (Sez. 1, n. 32279 del 29/03/2018, dep. 13/07/2018, Focoso, Rv. 273714; Sez. 1, n. 53017 del 2/12/2014, Borachuk, Rv. 261662; Sez. 1, n. 35045 del 18/04/2013, Giuffrida, Rv. 257017)>>. (provvedimento al link) 

09 maggio 2025

Quando il Giudice dell'esecuzione può revocare la sospensione condizionale illegittimamente concessa.

 

La I sezione di legittimità ha affermato che <<il giudice dell'esecuzione deve revocare il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso in violazione dell'art. 164, quarto comma, cod. pen. in presenza di cause ostative solo se tali cause non erano documentalmente note al giudice della cognizione. A tal fine il giudice dell'esecuzione acquisisce, per la doverosa verifica al riguardo, il fascicolo del giudizio (Sez. U, n. 37345 del 23/04/2015, Longo, Rv. 264381)>> (sentenza al link).

08 maggio 2025

❌ULTIM'ORA❌ NON È INCOSTITUZIONALE L’ABROGAZIONE DEL REATO DI ABUSO D’UFFICIO


In esito all’udienza pubblica svoltasi ieri, la Corte ha esaminato in camera di consiglio le questioni di legittimità costituzionale sollevate da quattordici autorità giurisdizionali, tra cui la Corte di cassazione, sull’abrogazione del reato di abuso d’ufficio ad opera della legge numero 114 del 2024.

La Corte ha ritenuto ammissibili le sole questioni sollevate in riferimento agli obblighi derivanti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (la cosiddetta Convenzione di Merida).

Nel merito, la Corte ha dichiarato infondate tali questioni, ritenendo che dalla Convenzione non sia ricavabile né l’obbligo di prevedere il reato di abuso d’ufficio, né il divieto di abrogarlo ove già presente nell’ordinamento nazionale.

La motivazione della sentenza sarà pubblicata nelle prossime settimane.


Il comunicato della Corte




Recidiva: si tiene conto anche del reato estinto


La V sezione di legittimità ha affermato che <<l'estinzione del reato a seguito della sospensione condizionale della pena non elimina gli effetti penali della condanna, della quale deve, pertanto, tenersi conto ai fini della recidiva (Sez. 3, n. 5412 del 25/10/2019, dep. 2020, M., Rv 278575 - 01; Sez. 4, n. 45351 del 23/11/2010, Vidarte, Rv. 249069 - 01; Sez. 3, i. 28746 del 26/03/2015, Biasi, Rv. 264107 - 01)>>(sentenza al link).

07 maggio 2025

Concordato in appello: la rinuncia al motivo sulla prescrizione equivale a rinuncia alla prescrizione.




La III sezione della Corte di legittimità veniva adita dall'imputato, il quale censurava, per violazione di legge, la pronuncia con cui la Corte distrettuale aveva riformato la pena, accogliendo la proposta ex art. 599 bis c.p.p.. L'oggetto della censura era l' omessa declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen., posto che la causa estintiva era maturata prima della sentenza distrettuale. All'uopo il ricorrente richiamava il principio espresso dalle Sezioni Unite, secondo cui «nei confronti della sentenza resa all'esito di concordato in appello è proponibile il ricorso per cassazione con cui si deduca l'omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di tale sentenza» (Sez. U n. 19415 del 27/10/2022, dep. 2023, Fazio, Rv. 284481 - 01). 

La Corte regolatrice ha ritenuto inammissibile la censura, rilevando che il principio poc'anzi riportato non è applicabile nell'ipotesi in cui - come avvenuto nella fattispecie in esame - l'estinzione del reato per prescrizione abbia costituito uno dei motivi oggetto di rinuncia nell'ambito dell'accordo, raggiunto con il Procuratore Generale, ai sensi dell'art. 599-bis cod. proc.. Al riguardo i giudici di legittimità hanno richiamato dei precedenti secondo cui la rinuncia al motivo di appello relativo all'intervenuta estinzione del reato, è da intendersi, quindi, come rinuncia espressa alla prescrizione, ai sensi dell'art. 157, comma settimo, cod. pen. (sentenza al link)

 


06 maggio 2025

Condotte dissimili incriminate con unica disposizione. L'ampia cornice edittale non salva la norma.



Il Giudice di Vicenza, accogliendo una eccezione difensiva, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell' art. 5, comma 8-bis, primo periodo, t.u. immigrazione. 

La norma testé citata sottopone all’unica cornice edittale che spazia da uno a sei anni di reclusione tre tipologie di condotte: (a) la contraffazione o alterazione di un titolo di soggiorno o di ingresso; (b) la contraffazione o alterazione di un diverso documento al fine di determinare il rilascio di un documento di soggiorno o di ingresso; nonché (c) l’utilizzazione di uno dei documenti contraffatti o alterati appartenenti alle categorie (a) e (b).

Nondimeno, <<secondo il rimettente e la difesa della parte, le prime due fattispecie sarebbero necessariamente connotate da un maggiore disvalore rispetto alla condotta di mera utilizzazione del documento, sia perché la falsificazione materiale di un documento presupporrebbe capacità tecniche e risorse materiali che sono normalmente possedute da un’organizzazione criminale piuttosto che da singoli individui – ciò che connoterebbe di maggiore capacità criminale chi si renda responsabile di tali condotte rispetto a chi si limiti a ricevere il documento contraffatto o alterato e a utilizzarlo –; sia perché, in particolare secondo la difesa della parte, le condotte riconducibili alle tre categorie indicate si porrebbero in diverso rapporto di progressione criminosa rispetto al bene giuridico tutelato dell’ordinata gestione dei flussi migratori>>. Da ciò conseguirebbe l'illegittimità di un'unica cornice edittale, per violazione del principio di uguaglianza, dovendosi piuttosto prevedere un'ipotesi sanzionatoria, ridotta di un terzo, per la meno grave ipotesi di solo uso del documento da altri contraffatto o alterato, così come avviene per le ipotesi comuni di falso. 


La Corte costituzionale ha respinto la questione e tuttavia la pronuncia si segnala per un mutamento della giurisprudenza di costituzionalità. 

Il giudice delle leggi ha ritenuto che irragionevoli equiparazioni di trattamento tra situazioni tra loro dissimili non possano essere sanate ove le situazioni dissimili ricadano in un'unica previsione normativa, seppur caratterizzata da ampia cornice edittale, per come invece antecedentemente ritenuto dalla medesima Corte. 
Invero tale argomento, in passato, è stato utilizzato dal Giudice di legittimità (sentenze n. 23 del 2016, punto 2.4. del Considerato in diritto, e n. 250 del 2010, punto 7 del Considerato in diritto), osservando che  <<spetterebbe al giudice far emergere la differenza di disvalore delle diverse condotte tramite la graduazione della pena tra il minimo e il massimo edittale>>. Tuttavia tale tesi è oggi respinta dalla Corte, poichè essa <<trascura in effetti di considerare che dalla previsione di un determinato minimo e, soprattutto, di un determinato massimo edittale dipendono spesso conseguenze, diverse dalla pena, ma parimenti suscettibili di produrre significative ricadute sui diritti fondamentali della persona sottoposta a indagini o imputata: dalla possibilità di fruire dell’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis, primo comma, cod. pen.) o di accedere alla sospensione del processo con messa alla prova (art. 168-bis, primo comma, cod. pen.), alla durata del termine della prescrizione del reato (art. 157, primo comma, cod. pen.), alla possibilità di disporre misure cautelari coercitive e in particolare la custodia cautelare in carcere (art. 280, primo e secondo comma, cod. proc. pen.), alla possibilità di sottoporre l’indagato a intercettazioni telefoniche o ambientali (art. 266, primo e secondo comma, cod. proc. pen.) ovvero ad arresto o fermo (artt. 380, 381 e 384 cod. proc. pen.), e così via>>.

<<È dunque essenziale, onde assicurare un’applicazione proporzionata di tutti questi istituti, che la medesima cornice edittale non abbracci fattispecie che, già nella loro configurazione astratta, siano connotate da un disvalore macroscopicamente inferiore rispetto alle altre alle quali trova applicazione la medesima cornice>>. 

Tuttavia, nel caso di specie, la Corte non ha ritenuto che l’art. 5, comma 8-bis, primo periodo, t.u. immigrazione comprenda fattispecie che, già nella loro dimensione astratta, siano evidentemente connotate da disvalore tanto differente, da rendere necessaria la previsione di diverse cornici edittali.

 Neppure sussiste, ad avviso del giudice di legittimità, una violazione del principio di uguaglianza sotto il profilo della disparità di trattamento tra la disposizione censurata e i tertia comparationis evocati dal rimettente, con particolare riferimento alla riduzione di un terzo della pena prevista, per le ipotesi di mero uso dell’atto falso, dall’art. 489 cod. pen.. Al riguardo la Corte ha considerato che, rispetto alla fattispecie scrutinata, non è agevole ipotizzare una utilizzazione dei documenti contraffatti in assenza di un previo concorso nella loro falsificazione (decisione al link)


 Il giovane collega, Enrico Bordignon, autore della memoria con cui è stata eccepita la questione di costituzionalità, è stato insignito, dalla Camera penale di Trapani, con il premio Giuseppe Corso III^ edizione.

05 maggio 2025

Il numero di detenuti in espiazione definitiva continua ad aumentare. Si deve mutare il sistema delle pene edittali

 

Poco meno di un anno fa avevamo dato conto del record di detenuti in espiazione definitiva (dati al 31.06.2024) (nostro post al link). Oggi registriamo un nuovo record: 46.232 detenuti in esecuzione pena al 31.12.2024 (statistiche al link)Anche la popolazione carceraria complessiva, presente alla medesima data, fa registrare un aumento, attestandosi a ben 61.861 persone.

E' evidente che, a fronte di questi numeri crescenti, il pensiero corra alla sentenza pilota della CEDU, pronunciata nel caso Torreggiani e altri c. Italia, con cui la Corte accertò il <<carattere strutturale e sistemico del sovraffollamento carcerario in Italia>>, incompatibile con la Convenzione (sentenza CEDU al link)

Il numero complessivo di detenuti è oggi al di sotto di quei livelli (al momento della decisione Torreggiani, secondo il Governo italiano, i detenuti erano 66.028), ma se il tasso di crescita dovesse mantenersi sugli attuali standard, le prossime rilevazioni potrebbero svelarci una situazione identica a quella del 2012, anzi forse peggiore. Infatti nel report che il nostro paese presentò al Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, in ordine alle misure adottate per eseguire la decisione Torreggiani, si illustrò una significativa riduzione del numero dei detenuti (scesi a 52.342 al 15.10.2015), conseguita attraverso plurime riforme in tesi ad impatto permanente ("the adopted measures have structural and not short-term characteristics (with the only exception of the special early release). Therefore these measures will continue to have effects in the mid- and long-term, with a constant reduction of the number of inmates, especially of those that have to serve short sentences"). Tuttavia il tempo ha mostrato che, immutate le pene edittali, la leva delle misure alternative, cui oggi si affiancano le pene sostitutive, non soltanto non dà luogo ad una "constant reduction of the number of inmates", ma neppure riesce ad arginare, da sola, l'aumento della popolazione carceraria. Piuttosto ci pare che l'unica riforma che possa avere effetti di lungo periodo sia quella che incida sulla tipologia di pene principali

   


02 maggio 2025

Corruzione – Pena accessoria per il corruttore – Interdizione perpetua dai pubblici uffici – Applicazione per fatti antecedenti all’entrata in vigore della l. n. 3 del 2019 – Illegalità della pena accessoria Ragioni.

 


La Sesta Sezione penale, in tema di corruzione, ha affermato che costituisce pena accessoria illegale, in quanto inflitta al di fuori del paradigma normativo di cui all’art. 29 cod. pen., l’interdizione perpetua dai pubblici uffici disposta, ex art. 317-bis cod. pen., nei confronti del corruttore, per effetto di condanna per fatti commessi antecedentemente all’entrata in vigore della legge 9 gennaio 2019, n. 3.

30 aprile 2025

Pene sostitutive due anni dopo: aumentano, ma gli obiettivi sono lontani.

Il Ministero della giustizia ha pubblicato i dati definitivi (convalidati) inerenti gli adulti in area penale esterna al 31.12.2024 (Relazione al link)

Particolare attenzione meritano le statistiche inerenti le pene sostitutive delle c.d. pene detentive brevi, a due anni dalla loro introduzione tra le sanzioni previste dal Codice penale. 

Anzitutto deve rilevarsi che il dato al 31.12.2024 mostra un sensibile incremento dei soggetti in area penale esterna per pene sostitutive rispetto a quelli presenti al 31.12.2023: il numero di costoro è passato da 1816 a 5200.  Detto che in considerazione dell'oggetto del documento ("adulti in area penale esterna") non sono indicati i condannati la cui pena detentiva sia stata sostituita con la sanzione pecuniaria, si può notare che la semilibertà sostituiva riguarda appena 17 persone, mentre la detenzione domiciliare afferisce 1065 soggetti. Più consistenti, com’era prevedibile, sono invece i numeri che si riferiscono al lavoro di pubblica utilità sostitutivo, che interessa 4118 persone.    

A fronte di questi numeri, v'è da chiedersi se le pene sostitutive lascino intravedere la possibilità di raggiungere gli obiettivi auspicati in sede di c.d. Riforma Cartabia, in particolare, per limitarsi all'impatto sull'area della esecuzione penale, quello di ridurre il numero di detenuti per pene detentive brevi e dei c.d. liberi sospesi. 

In tal senso, si rammenti, per ciò che attiene alla esecuzione intramuraria, che la Relazione illustrativa alla Riforma aveva considerato come <<nella prospettiva del carcere, afflitto da strutturali problemi di sovraffollamento, la riforma delle pene sostitutive promette un significativo impatto, concorrendo alla riduzione del numero dei detenuti per pene brevi>>. 

Orbene, è evidente che per scrutinare l'impatto sul mondo carcerario delle pene sostitutive non ci si può limitare a considerare il numero complessivo dei condannati in stato di detenzione, passati dai 37.631 del 2021 (anno preso in considerazione dalla Relazione illustrativa) ai 46.232 del 31.12.2024; il raffronto andrebbe piuttosto condotto con riferimento  ai dati inerenti i soli condannati in espiazione muraria per pene fino ai 4 anni. Ma tale analisi non è agevole, infatti la Relazione illustrativa, secondo cui al 2021 i detenuti per pene inflitte in misura inferiore a quattro anni erano pari al 29,9%, fruiva di dati specifici, lì dove, invece, il dato pubblico al 31.12.2024 offre un indice aggregato per i detenuti condannati a pena tra 3 e 5 anni (detenuti presenti per pena inflitta al link)Neppure il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale sembra avere il dato di interesse (Report analitico al link)

A tal punto, per giungere ad un raffronto su entità di pene omogenee non resta che calcolare la percentuale di detenuti presenti al 31.12.2021 con pena fino a 5 anni e poi compararla con quella dei carcerati con la medesima pena inflitta al 31.12.2024. Tale raffronto consegna una percentuale in crescita dal 41.19% del 2021, all'attuale 42,82% dei carcerati.

All'esito di tale indagine, pur con le avvertenze di cui sopra, pare di potersi affermare che le pene sostitutive non abbiano inciso, non soltanto sul numero complessivo di detenuti, ma neppure su quello dei carcerati chiamati a scontare pene detentive c.d. brevi.

Il ricorso alle pene sostitutive, per come ricordato dall'attuale Ministro della giustizia, nel corso di un'interrogazione parlamentare, avrebbe dovuto ridurre il fenomeno dei c.d. liberi sospesi (interrogazione al link).

Tuttavia, e ancora una volta, non è agevole constatare in modo definitivo se il numero di istanze pendenti avanti ai Tribunali di sorveglianza si sia ridotto nel corso dell'ultimo biennio. Invero difettano statistiche pubbliche. In ogni caso, in occasione dell' interrogazione parlamentare poc'anzi citata, è emerso che in epoca coeva all'entrata in vigore della Cartabia (recte: al 13.12.2022) vi erano ben 90.120 "liberi sospesi". Tale numero, a prestar fede ad uno studioso attento, quale Fabio Fiorentin, pare cresciuto, potendosi al 2024, stimare, per difetto, intorno alle 100.000 unità  (F. Fiorentin "I liberi sospesi tra criticità presenti e prospettive di riforma" in Sistema penale).

In sintesi, come già avvenuto per altre misure, non pare che le pene sostitutive siano in grado di ridurre il numero di detenuti e neppure quello dei liberi sospesi.

Verosimilmente è radicalmente da ripensare il modello delle pene edittali: il sistema carcerocentrico deve essere superato, invertendo il rapporto tra le sanzioni non detentive e quelle detentive.      

       

   


29 aprile 2025

L'impugnazione avverso il rigetto del concordato sui motivi di appello: decideranno le sezioni unite




Anticipiamo che pende alle sezione unite, e sarà decisa all'udienza del 10 luglio prossimo, la seguente questione:

Se avverso l'ordinanza di rigetto della richiesta di concordato sui motivi avanzata ex art. 599-bis cod. proc. pen. sia proponibile ricorso per cassazione unitamente alla sentenza che definisce il giudizio di appello.



Approfondimento

La difesa ha proposto un concordato ex art. 599-bis c.p.p. in appello, chiedendo una riduzione della pena, ma la Corte d’Appello ha respinto l’istanza ritenendo la pena proposta "non congrua".

Punti chiave del ricorso in Cassazione:

  1. Impugnabilità del rigetto del concordato: La difesa contesta la decisione di rigetto, sostenendo che:

    • La Corte d’Appello avrebbe dovuto comunicare preventivamente le ragioni del diniego per consentire una rimodulazione dell’accordo.

    • Il rigetto priva l’imputato di un trattamento sanzionatorio favorevole, ledendo il diritto di difesa.

  2. Contrasto giurisprudenziale:

    • Primo orientamento (favorevole all’impugnabilità): Il rigetto del concordato è ricorribile in Cassazione, poiché incide sul diritto di difesa e sul beneficio premiale dell’istituto (es. Sez. II, III, VI della Cassazione).

    • Secondo orientamento (contrario all’impugnabilità): L’imputato non ha interesse a impugnare, poiché il processo riprende in forma ordinaria, consentendogli di difendersi su tutti i motivi (es. Sez. I, II, IV, VI della Cassazione).

Decisione della Corte di Cassazione:
Rilevata la sussistenza di un contrasto interpretativo, la Seconda Sezione Penale ha rimesso la questione alle Sezioni Unite per chiarire se l’ordinanza di rigetto del concordato in appello sia impugnabile unitamente alla sentenza definitiva.

Termini della questione alle Sezioni Unite:
«Se avverso l’ordinanza della corte di appello che respinga la richiesta di concordato ex art. 599-bis c.p.p. sia proponibile ricorso per cassazione unitamente alla sentenza che definisce il secondo grado di giudizio».


28 aprile 2025

Procedimento per delitti contro la pubblica amministrazione indicati all’art. 317-bis cod. pen. – Accordo subordinato, ex art. 444, comma 3-bis, cod. proc. pen., all’esenzione dalle pene accessorie – Possibilità per il giudice di considerare non apposta la condizione – Esclusione – Conseguenze.


 


La Sesta Sezione penale, in tema di patteggiamento, ha affermato che, nel caso in cui si proceda per uno dei delitti contro la pubblica amministrazione indicati all’art. 317-bis cod. pen. e la pena detentiva concordata non ecceda i due anni di reclusione, il giudice, ove la richiesta sia stata subordinata, ex art. 444, comma 3-bis, cod. proc. pen., all’esenzione dalle pene accessorie, non può considerare la condizione non apposta e ratificare l’accordo nella parte residua, infliggendo, ex officio, dette pene, ma è tenuto a rigettare la pattuizione nella sua interezza.

La sentenza Cass. Pen., sez. VI n. 12309/2025 al link

23 aprile 2025

L'ordinanza con cui si respinge l'eccezione di incompatibilità non è autonomamente impugnabile

A fronte di un ricorso per cassazione avverso un'ordinanza emessa dal Tribunale, con la quale il giudice a quo ha rigettato l'istanza dei difensori degli imputati che ne avevano eccepito l'incompatibilità, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il provvedimento non è impugnabile. Infatti, per i supremi giudici <<l'ordinanza in esame avrebbe dovuto, ..., essere impugnata, a norma dell'art. 586 cod. proc. pen., congiuntamente alla sentenza. I ricorrenti, viceversa, hanno impugnato un'ordinanza endoprocessuale, emessa nel corso del dibattimento, con cui i giudice a quo ha escluso la richiesta di rilevare una causa di incompatibilità ai sensi dell'art. 34 cod. proc. pen., onde il ricorso è inammissibile>>(pronunzia al link) 

22 aprile 2025

Suicidi in carcere: la Cedu condanna l'Armenia, ma la pronuncia "parla" anche all'Italia.


La V sezione della CEDU, chiamata a pronunciarsi nel CASE OF PETROSYAN v. ARMENIA, a fronte di un suicidio in carcere di un detenuto, ha condannato l'Armenia per violazione dell'art. 2 della Convenzione, a mente del quale "Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge".

E' d'interesse osservare che la Corte ha rilevato come le Autorità abbiano un dovere di protezione dei detenuti, dovendo rispondere di quanto gli accada in carcere, in particolare in caso di morte (<<...persons in custody are in a vulnerable position and that the authorities are under a duty to protect them. It is incumbent on the State to account for any injuries suffered in custody – an obligation that is particularly stringent when an individual dies.) 

La Corte ha peraltro specificato che, ove gli stati pongano in carcere perosne affette da malattie mentali dovranno garantire loro condizioni corrispondenti ai bisogni correlati alle loro patologie (<<As regards mentally ill persons in particular, the Court has considered them to be particularly vulnerable. Where the authorities decide to place and keep in detention a person suffering from a mental illness, they should demonstrate special care in guaranteeing such conditions as correspond to the person’s special needs resulting from his or her disability>>).

Si tratta di un evidente monito per il nostro paese. 

(pronuncia CEDU al link)


18 aprile 2025

Map e art. 73 comma 5: il tribunale di Padova rimette gli atti alla corte costituzionale sulla preclusione - di Benedetto Ruggirello e Salvatore Rapidardi






Gli Autori esaminano la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale monocratico di Padova (ce ne siamo occupati al link, pubblicando l’ordinanza di rimessione) riguardo all'applicabilità del procedimento di sospensione con messa alla prova per il delitto di cui all'art. 73, comma V, del DPR 309/1990. La questione, che sarà esaminata dalla Corte Costituzionale nei prossimi mesi (11 giugno prossimo), verte sulla possibile violazione degli articoli 3 (uguaglianza) e 27 (rieducazione della pena) della Costituzione, a causa dell'esclusione di tale reato dall'elenco delle fattispecie per cui è ammessa la messa alla prova.

1. Contesto normativo: 
- Il D.L. 123/2023 ha innalzato a 5 anni la pena massima per il reato di cui all'art. 73, comma V, DPR 309/1990 (detenzione di sostanze stupefacenti), senza modificare l'art. 550, comma II, c.p.p., che regola l'accesso alla messa alla prova. Ciò preclude automaticamente l'utilizzo del rito per tale reato, anche in casi di lieve entità.

2. Violazione dei principi costituzionali:
- Il Tribunale di Padova ritiene irragionevole l'esclusione di questo reato dalla messa alla prova, soprattutto perché reati più gravi (come l'art. 82 DPR 309/1990, istigazione all'uso di stupefacenti) sono invece inclusi. Ciò creerebbe una disparità di trattamento contraria al principio di uguaglianza (art. 3 Cost.).

3. Effetti della recente riforma:
- La modifica del 2023 ha aggravato la situazione, rendendo impossibile l'accesso alla messa alla prova per un reato con pena massima di 5 anni, mentre la misura è concessibile per reati con pene inferiori. Il Tribunale critica questa scelta come arbitraria e incoerente con la politica criminale dello Stato.

4. Richieste e implicazioni:
- Il Tribunale chiede alla Corte Costituzionale di emettere una sentenza "additiva" per includere il reato di cui all'art. 73, comma V, DPR 309/1990 tra quelli ammissibili alla messa alla prova. Una decisione favorevole avrebbe impatti significativi, specialmente per imputati giovani, incensurati e con condotte di lieve entità.

Conclusione:
La pronuncia della Corte Costituzionale sarà cruciale per garantire coerenza nel sistema penale e tutelare i diritti degli imputati, soprattutto in casi di minore gravità. La questione solleva importanti riflessioni sul bilanciamento tra giustizia penale e principi costituzionali di uguaglianza e rieducazione.


Approfondimento (di Benedetto Ruggirello e Salvatore Rapisardi)

Sarà decisa dalla Consulta, nei prossimi mesi (11 giugno 2025), una rilevantissima questione che attiene all’esperibilità del procedimento di sospensione con messa alla prova nel caso di imputazione per il delitto di cui all’art. 73, comma V, d.p.r. 309/1990.

In data 24.05.2024, difatti, il Tribunale monocratico di Padova, chiamato a giudicare un imputato per la fattispecie delittuosa sopra delineata, compulsato all’uopo dalla difesa dell’imputato decideva di sollevare questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dagli art. 168 bis c.p., 550 c.p.p. e 73, comma V, DPR 309/1990, con riferimento agli art. 3 e 27 Cost.

Più nello specifico, il Tribunale, convalidato l’arresto in flagranza e chiamato a pronunziarsi sulla richiesta di ammissione al rito speciale della messa alla prova, sulla scia anche dell’eccepita illegittimità costituzionale dell’art. 168 bis c.p. che, nell’attuale formulazione, priverebbe l’imputato dell’accesso al rito, riteneva ammissibile e fondata l’eccezione, sulla scia delle seguenti considerazioni.

Rilevava il Tribunale che la modifica operata dal D.L. 123/2023 all’art. 73, comma V, DPR 309/1990, avendo elevato a 5 anni il limite massimo di pena per detta ipotesi delittuosa avrebbe precluso all’imputato l’adesione al predetto rito, dato che, contestualmente, non era stato modificato il comma II dell’art. 550 c.p.p., che, come è noto, enuclea tutte le ipotesi in cui l’azione penale deve essere esercitata con citazione diretta a giudizio.

Ed invero, la mancata inclusione della fattispecie delittuosa di cui all’art. 73, comma V, DPR 309/1990 tra le ipotesi di citazione diretta a giudizio, unita al già delineato limite massimo edittale, funge da preclusione assoluta per l’accesso al rito, anche in ipotesi di condotte di detenzione particolarmente lievi.

In ordine al requisito della non manifesta infondatezza, il Tribunale patavino osservava che risulterebbe violato il principio di uguaglianza e ragionevolezza, dato che il D.LGS. 150 del 2022 aveva notevolmente ampliato il novero dei reati per i quali era prevista l’astratta possibilità di adire il procedimento di cui all’art. 168 bis c.p.

Tra detti reati era stato annoverato anche quello di cui all’art. 82 DPR 309/1990, ossia la pubblica istigazione o il proselitismo all’uso illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, condotta questa punita dal legislatore con pena da uno a sei anni e con la multa.

Notava il Tribunale remittente come, innanzi a condotte lesive dello stesso bene giuridico, di cui la seconda era considerata ancor più grave di quella di cui all’art. 73, comma V, DPR 309/1990, appare irragionevole l’esclusione dall’elencazione di cui all’art. 550, comma II, c.p.p. del delitto sanzionato meno severamente, pur in presenza, al contrario, di un reato dallo stesso legislatore ritenuto più grave.

Concludeva, inoltre, che era stata proprio la novella legislativa del 2023 (successiva alla riforma Cartabia del 2022) a produrre l’effetto preclusivo, in conseguenza dell’innalzamento del massimo edittale ad anni 5, in misura, pertanto, superiore alla pena massima per cui la misura sarebbe concedibile.

Per il Tribunale veneto trattasi di scelta arbitraria e non discrezionale e, comunque, denotativa di mancanza di omogeneità in tema di politica criminale dello Stato.

In buona sostanza, parrebbe che il Tribunale remittente abbia invocato l’emissione di una sentenza additiva al Giudice delle leggi, in modo da includere nella lettera C) dell’art. 550 c.p.p.anche la fattispecie di cui all’art. 73, comma V, DPR 309/1990.

Il pronunciamento della Corte, che dovrebbe avvenire a breve, rivestirà importanza rilevantissima data la frequenza di imputazioni per il titolo di reato previsto e punito da quest’ultima disposizione normativa.

Gli effetti potrebbero essere rilevantissimi, specialmente in casi di imputati giovanissimi, incensurati e con condotte addebitate di particolare tenuità.

Benedetto Ruggirello - 
Conseguita la maturità classica presso il liceo Leonardo Ximenesdi Trapani, si laurea presso l’Università di Palermo nell’anno 2005 e si specializza in professioni legali nell’anno 2007 presso il medesimo ateneo.

Al termine del biennio di pratica forense, consegue, nel 2008, l’abilitazione all’esercizio della professione forense e si iscrive all’albo degli avvocati di Trapani nel gennaio 2010.

Dal 2024 è abilitato all’esercizio presso le giurisdizioni superiori e si occupa, quotidianamente, di tematiche afferenti, tanto il diritto civile, quanto il penale



Salvatore Rapisardi -Conseguita la maturità scientifica presso il liceo Vincenzo Fardella di Trapani, si laurea presso l’Università di Palermo nell’anno 2012.

Al termine del biennio di pratica forense, consegue, nel 2015, l’abilitazione all’esercizio della professione forense e si iscrive all’albo degli avvocati di Trapani nel gennaio 2016.

Si occupa, quotidianamente, di tematiche afferenti, tanto il diritto civile, quanto il penale.

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