31 gennaio 2022
L'ossequio al capo-mafia durante la processione è reato
29 gennaio 2022
❌Interruzione dei servizi informatici del Portale del Processo Penale Telematico❌
PATCH DAY GENNAIO 2022 - Interruzione dei servizi informatici del settore civile, del Portale dei Servizi Telematici e del Portale del Processo Penale Telematico. Modifiche correttive, migliorative ed evolutive
27/01/22
Per attività di manutenzione evolutiva programmata si procederà all'interruzione dei sistemi civili al servizio di tutti gli Uffici giudiziari dei distretti di Corte di Appello dell’intero territorio nazionale, nonché del Portale dei Servizi Telematici, incluso il Portale del Processo Penale Telematico, con le seguenti modalità temporali:
- dalle ore 19:00 di venerdì 28 gennaio sino alle ore 08:00 di lunedì 31 gennaio c.a., salvo conclusione anticipata delle operazioni.
Si rammenta che l’attività di manutenzione del Portale dei Servizi Telematici renderà indisponibili tutti i servizi informatici ivi esposti e, in particolare:
- l’aggiornamento (anche da fuori ufficio) della consolle del magistrato;
- il deposito telematico di atti e provvedimenti da parte dei magistrati;
- tutte le funzionalità del portale dei servizi telematici;
- tutte le funzioni di consultazione da parte dei soggetti abilitati esterni;
- i pagamenti telematici compreso il pagamento del contributo di pubblicazione di un’inserzione sul Portale delle Vendite;
- l'accesso al Portale Deposito atti Penali per il deposito con modalità telematica di atti penali;
- l’accesso al Portale di consultazione dei SIUS distrettuali per Avvocati;
- l'accesso agli avvisi degli atti penali depositati in cancelleria.
28 gennaio 2022
La Riforma del Processo Penale: la pubblicazione della CP Trapani disponibile anche online
27 gennaio 2022
Dalla Corte Costituzionale: REMS: URGENTE UNA LEGGE PER SUPERARE LE CRITICITÀ
L’applicazione concreta delle norme vigenti in materia di residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS) nei confronti degli autori di reato affetti da patologie psichiche presenta numerosi profili di frizione con i principi costituzionali, che il legislatore deve eliminare al più presto.
Lo ha affermato la Corte costituzionale nella sentenza n.22/202 al link depositata oggi (redattore Francesco Viganò), con la quale sono state dichiarate inammissibili le questioni sollevate dal Gip del Tribunale di Tivoli a proposito della disciplina sulle REMS.
Dall’istruttoria disposta dalla Corte (comunicato del 24 giugno 2021) è emerso, in particolare, che sono tra 670 e 750 le persone attualmente in lista d’attesa per l’assegnazione ad una REMS; che i tempi medi di attesa sono di circa dieci mesi, ma anche molto più lunghi in alcune Regioni; e che molte di queste persone – ritenute socialmente pericolose dal giudice – hanno commesso gravi reati, anche violenti.
Nella sentenza depositata oggi si ricorda che le REMS sono state concepite dal legislatore, nel 2012, come strutture residenziali caratterizzate da una logica radicalmente diversa dai vecchi ospedali psichiatrici giudiziari (OPG), caratterizzati da una logica esclusivamente custodiale. Le REMS, pensate invece in funzione di un percorso di progressiva riabilitazione sociale, sono strutture di piccole dimensioni che devono favorire il mantenimento o la ricostruzione dei rapporti con il mondo esterno, alle quali il malato mentale può essere assegnato soltanto quando non sia possibile controllarne la pericolosità con strumenti alternativi, per esempio con l’affidamento ai servizi territoriali per la salute mentale.
L’assegnazione alle REMS resta però nell’ordinamento italiano una misura di sicurezza, disposta dal giudice penale non solo a scopo terapeutico ma anche per contenere la pericolosità sociale di una persona che ha commesso un reato. Ciò comporta – ha osservato la Corte – la necessità di rispettare i principi costituzionali sulle misure di sicurezza e sui trattamenti sanitari obbligatori, tra cui la riserva di legge: ossia l’esigenza che sia una legge dello Stato a disciplinare la misura, con riguardo non solo ai “casi” in cui può essere applicata ma anche ai “modi” con cui deve essere eseguita. Al contrario, oggi la regolamentazione delle REMS è solo in minima parte affidata alla legge; in gran parte è rimessa ad atti normativi secondari e ad accordi tra Stato e autonomie territoriali, che rendono fortemente disomogenee queste realtà da Regione a Regione.
La Corte ha poi sottolineato che a causa dei suoi gravi problemi di funzionamento il sistema non tutela in modo efficace né i diritti fondamentali delle potenziali vittime di aggressioni, che il soggetto affetto da patologie psichiche potrebbe nuovamente realizzare, né il diritto alla salute del malato, il quale non riceve i trattamenti necessari per aiutarlo a superare la propria patologia e a reinserirsi gradualmente nella società.
La Corte ha inoltre osservato che la totale estromissione del ministro della Giustizia da ogni competenza in materia di REMS – e dunque in materia di esecuzione di misure di sicurezza disposte dal giudice penale – non è compatibile con l’articolo 110 della Costituzione, che assegna al Guardasigilli la responsabilità dell’organizzazione e del funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.
La Corte ha tuttavia ritenuto di non poter dichiarare illegittima la normativa in questione, perché da una simile pronuncia deriverebbe “l’integrale caducazione del sistema delle REMS, che costituisce il risultato di un faticoso ma ineludibile processo di superamento dei vecchi OPG”, con la conseguenza di “un intollerabile vuoto di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti”.
Di qui il monito al legislatore affinché proceda, senza indugio, a una complessiva riforma di sistema, che assicuri assieme:
– un’adeguata base legislativa alla nuova misura di sicurezza;
– la realizzazione e il buon funzionamento, sull’intero territorio nazionale, di un numero di REMS sufficiente a far fronte ai reali fabbisogni, nel quadro di un complessivo e altrettanto urgente potenziamento delle strutture sul territorio in grado di garantire interventi alternativi adeguati alle necessità di cura e a quelle, altrettanto imprescindibili, di tutela della collettività;
– forme di idoneo coinvolgimento del ministro della Giustizia nell’attività di coordinamento e monitoraggio del funzionamento delle REMS esistenti e degli altri strumenti di tutela della salute mentale degli autori di reato, nonché nella programmazione del relativo fabbisogno finanziario.
Quando il divieto del doppio giudizio "apre" al dialogo muto tra le Corti
26 gennaio 2022
Tanto tuonò, che non piovve. Quando l'ovvietà richiede una pronuncia della Cassazione vuol dire che il sistema delle garanzie è sotto attacco
25 gennaio 2022
La Cassazione ribadisce: il nuovo istituto dell'improcedibilità ha natura processuale.
Con la sentenza n. 334/2022 (sentenza al link), la quinta sezione, dando continuità all'ordinanza della settima sezione n. 43883 del 26.11.2021 (di cui c'eravamo occupati avuto riguardo ad altro profilo,post al link), ha negato la natura sostanziale, invocata dal ricorrente, del nuovo istituto di cui all'art. 344 bis c.p.p..
Al riguardo, la Corte regolatrice ha rimarcato come <<la dichiarata finalità perseguita con l'introduzione dell'art. 344 bis c.p.p. della celere definizione dei processi di impugnazione>> nonchè <<la collocazione dell'art. 344 bis c.p.p. nel codice di procedura penale, nell'ambito delle condizioni di procedibilità>> e le modalità operative del meccanismo estintivo che <<incide, non sull'esistenza del reato, ma sulla possibilità di proseguire l'azione penale in quanto estinta>>,costitusicono altrettanti indici della natura processuale dell'istituto. Diversamente <<la prescrizione, per la quale più volte è stata affermata la natura sostanziale, ... comporta l'estinzione del reato sul piano più specificamente sostanziale>>.
La natura processuale della norma comporta la conseguente operatività del principio "tempus regit actum" e la conseguente inapplicabilità retroattiva della disposizione in esame, cui mirava la difesa.
La Corte ha peraltro considerato che <<neppure può essere ritenuta irragionevole la scelta del legislatore di fissare la decorrenza dell'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 344 bis c.p.p. ai soli procedimenti di impugnazione che hanno ad oggetto i reati commessi a far data dal 10 gennaio 2020 (fatti salvi i processi già pervenuti in Cassazione, per i quali trova applicazione il comma 4), con una limitata retroattività della norma, corrispondendo tale scelta ad una finalità compensativa e riequilibratice che trova il suo fondamento nella circostanza che per i reati commessi antecedentemente al 10gennaio 2020 non opera la normativa di cui alla L. n. 3/2019, relativa alla sospensione del termine prescrizionale dopo la sentenza di primo grado>>.
24 gennaio 2022
❌IMPORTANTE SENTENZA DELLA CONSULTA ❌ ILLEGITTIMA LA CENSURA SULLA CORRISPONDENZA DEL DETENUTO IN 41 BIS CON IL DIFENSORE - La sentenza n. 18/2022 della Corte Costituzionale
Ma siamo sicuri che le impugnazioni in Italia siano troppe ? - di Daniele Livreri
In un recente intervento su La Stampa, un noto magistrato ha rilanciato il dibattito sulla correlazione tra i tre gradi di giudizio del nostro sistema processuale, in assenza di filtri idonei a contenerne il numero, e l’eccessiva durata dei processi.
Orbene, il tema dell’eventuale riduzione dell’area dell’impugnabilità o comunque di filtri che scongiurino il ricorso al gravame deve cogliersi in una lettura di sistema.
In Italia alla fine del 2020 pendevano innanzi ai Giudici di primo grado (considerando Tribunale, Corte assise e ufficio Gip/Gup) 1.185.957 processi, cui, volendo, si potrebbe aggiungere alcune decine di migliaia di giudizi innanzi ai Tribunali per i minorenni.
Qualsivoglia analisi dovrebbe necessariamente muovere da questa base, anche perché andrebbe considerato che essa offre il numero dei pendenti, ma per avere una reale dimensione di ciò che preme sui Giudici di primo grado bisogna pur tenere conto degli 838.157 giudizi definiti in primo grado nel corso dell'anno citato.
In sostanza nel 2020 i nostri Giudici di primo grado hanno variamente trattato circa 2.000.000 di processi penali !
Orbene, a fronte di numeri siffatti è assolutamente plausibile che vengano commessi plurimi errori in fatto e in diritto, nonostante lo sforzo che ogni giorno i Giudici si sobbarcano.
Pur in presenza di questo scenario gli appelli iscritti nel 2020 sono stati 90.015 e i ricorsi in cassazione 38.508.
Con una qualche semplificazione si può affermare che nel 2020 sono stati definiti 838.157 giudizi di primo grado e proposti 90.015 appelli.
Sono troppi? Oppure date le condizioni numeriche e di lavoro si tratta di numeri del tutto fisiologici ?
Nè a diverse conclusioni può muovere l'osservazione che al 31.12.2020 in appello pendevano 271.640 procedimenti, con un trend che pare crescente nel tempo, e 24.473 procedimenti di legittimità. Infatti non credo si possa tener conto di questi indici per richiamarli a sostegno dell'idea di limitare la facoltà di impugnazione: non si può chiedere il conto agli attori processuali delle difficoltà organizzative dello Stato.
Chi auspica filtri deflattivi in tema di impugnazioni, invocando a sostegno i numeri di altri paesi, potrebbe poi notare che i nostri incoming case in primo grado per 100 abitanti nel 2018 (ultimo dato offerto dal CEPEJ) sono stati 2.15 contro 1.46 della Francia ed a fronte una media europea di 1.54. Soltanto per completezza si rileva che i pending case in primo grado nel 2018 erano 2.09 a fronte di una media europea di 0.43 per 100 abitanti e ciò nonostante i nostri giudici risolvano 2.11 casi a fronte di una media europea di 1.57.
Detto per inciso non mi pare che quando si siano trasferite competenze dalla Cassazione ai giudici di merito, come nel caso delle impugnazioni avverso i provvedimenti di archiviazione, qualcuno si sia stracciato le vesti.
In ogni caso, se questo è il concreto scenario di cui dobbiamo tener conto, le soluzioni volte a dissuadere le impugnazioni o a inibirle si accollano il rischio di sacche di ingiustizia.
Ci eravamo occupati degli ultimi numeri disponibili nel post al link
22 gennaio 2022
❌NOVITÀ❌ Un'altra incostituzionalità per l'art. 34 cpp: questa volta tocca al GIP che ha rigettato la richiesta di decreto penale di condanna per mancata contestazione di un'aggravante (C. Cost. n. 16/2022)
Appena ieri ci eravamo occupati della pronuncia n. 7/2022 sull'art. 34 cod. proc. pen (link).
Oggi diamo notizia di un'ulteriore declaratoria di incostituzionalità dell'art. 34 cod. proc. pen.,- la norma del codice di rito più censurata-, dal momento che la Consulta, con la sentenza n. 16/2022 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non prevede che il giudice per le indagini preliminari, che ha rigettato la richiesta di decreto penale di condanna per mancata contestazione di una circostanza aggravante, sia incompatibile a pronunciare sulla nuova richiesta di decreto penale formulata dal pubblico ministero in conformità ai rilievi del giudice stesso.
21 gennaio 2022
❌ATTENZIONE NUOVA INCOSTITUZIONALITÀ DELL'ART. 34 c.p.p.❌ Ennesima pronuncia di incostituzionalità delll’art. 34 cod. proc. pen.
Come avevamo anticipato (link) era attesa la decisione (l’ennesima) della Corte costituzionale sulla norma più incostituzionale di tutto il codice di rito: l’articolo 34 cod. proc. pen. (l'ordinanza di remissione al link).
Con la sentenza n. 7/2022 (al link) la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono che il giudice dell’esecuzione deve essere diverso da quello che ha pronunciato l’ordinanza sulla richiesta di rideterminazione della pena, a seguito di declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, annullata con rinvio dalla Corte di cassazione.
Si osserva in sentenza:
6.– La regola generale di incompatibilità del giudice che abbia già compiuto atti nel procedimento è posta dall’art. 34 cod. proc. pen., che ne definisce termini e limiti, e che, in particolare, stabilisce al comma 1 che il giudice che ha pronunciato o ha concorso a pronunciare sentenza in un grado del procedimento non può partecipare al giudizio di rinvio dopo l’annullamento.
Questa regola poi è declinata più specificamente dall’art. 623 cod. proc. pen. che, con riferimento alla pronuncia di annullamento con rinvio a seguito del giudizio di cassazione, prevede – alle lettere b), c) e d) – i vari casi di annullamento della sentenza impugnata, indicando il giudice competente per il giudizio di rinvio.
Se è annullata una sentenza di un giudice collegiale (corte di assise di appello o corte di appello o corte di assise o tribunale in composizione collegiale) il giudizio è rinviato rispettivamente a un’altra sezione della stessa corte o dello stesso tribunale o, in mancanza, alla corte o al tribunale più vicini.
Se è annullata una sentenza di un giudice monocratico (tribunale in composizione monocratica o giudice per le indagini preliminari) il giudizio è rinviato al medesimo tribunale, ma il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata.
Ove invece sia annullata un’ordinanza, il medesimo art. 623, comma 1, cod. proc. pen., alla lettera a), detta una regola diversa. Prevede che la Corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice che l’ha pronunciata, il quale provvede uniformandosi alla sentenza di annullamento, senza che sia prescritto – come nella successiva lettera d) con riferimento alla sentenza di un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari – che il giudice, se monocratico, debba essere diverso da quello che ha pronunciato l’ordinanza annullata.
Vi è, in particolare, che l’ordinanza è il tipico provvedimento decisorio del giudice nel procedimento di esecuzione (art. 666, comma 6, cod. proc. pen.); il quale ha caratteristiche e peculiarità ben distinte dal procedimento di cognizione. Il giudice dell’esecuzione esercita un’attività pur sempre giurisdizionale, ma entro confini limitati, quali sono in particolare quelli del giudicato formatosi in sede di cognizione.
È, in generale, nell’attività della cognizione che il giudice del rinvio, in caso di annullamento pronunciato dalla Corte di cassazione, è esposto alla forza della prevenzione insita nel condizionamento per aver egli adottato il provvedimento impugnato.
Ma ciò accade anche quando nel procedimento di esecuzione il giudice del rinvio, al pari del giudice dell’ordinanza annullata, è chiamato a una valutazione che travalica la stretta esecuzione del giudicato e attinge, in via eccezionale, il livello della cognizione; ossia quando al giudice dell’esecuzione è demandato un «frammento di cognizione inserito nella fase di esecuzione penale» (sentenza n. 183 del 2013).
7.– Si ha, infatti, che il giudice dell’esecuzione – in caso di annullamento dell’ordinanza pronunciata sulla commisurazione della pena, a seguito di istanza di rideterminazione della stessa proposta dal condannato in ragione della dichiarazione di illegittimità costituzionale che, riguardando la misura della pena edittale, rende recessivo, in questa parte, il giudicato penale – è chiamato a esprimersi nuovamente sulla medesima istanza.
In tale evenienza il giudice dell’esecuzione, nel giudizio di rinvio conseguente all’annullamento dell’ordinanza con cui egli stesso si è già pronunciato sulla rideterminazione della pena, è nuovamente investito della decisione circa la “misura” della responsabilità del condannato, dovendo a tal fine esercitare incisivi poteri di merito, volti alla rivalutazione sanzionatoria del fatto illecito, alla luce del nuovo e più favorevole minimo edittale.
Non si tratta di una operazione da condurre alla stregua di criteri oggettivi, di mero riproporzionamento automatico della pena già quantificata in sede di cognizione, nell’ambito della diversa cornice edittale, in quanto – come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità (ex multis, Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 3 marzo-30 aprile 2020, n. 13453) – il giudice deve effettuare una nuova valutazione alla stregua dei parametri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen., per assicurare la finalità rieducativa della pena ai sensi dell’art. 27 Cost.
Ed è proprio nella prospettiva della finalità rieducativa della sanzione penale, che il giudice dell’esecuzione procede alla necessaria riduzione della pena, perché la modifica sopravvenuta del minimo edittale rende non adeguata al fatto concreto una sanzione calcolata quando la previsione edittale per quel reato – nel caso di specie, per il reato di cui all’art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990 – era, nel minimo, sensibilmente più elevata (otto anni di reclusione invece di sei).
Quando sopravviene la dichiarazione della illegittimità costituzionale di una norma che incide sul trattamento sanzionatorio – di cui la sentenza n. 40 del 2019 costituisce una tipica fattispecie – il giudice dell’esecuzione, dovendo far ricorso ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen., “ritorna” sulla valutazione del fatto illecito, già compiuta in sede di cognizione, occupandosi nuovamente della gravità del reato.
Al pari del giudice della cognizione, dunque, il giudice dell’esecuzione, in sede di giudizio di rinvio in relazione al caso considerato, esercita un potere discrezionale di commisurazione della pena per adeguare la risposta punitiva al fatto concreto, che, per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale della pena, ha assunto un diverso disvalore.
Del resto, questa Corte ha affermato che «“l’individualizzazione” della pena, in modo da tenere conto dell’effettiva entità e delle specifiche esigenze dei singoli casi, si pone come naturale attuazione e sviluppo di principi costituzionali» così da rendere «quanto più possibile “personale” la responsabilità penale, nella prospettiva segnata dall’art. 27, primo comma; […] e quanto più possibile “finalizzata” nella prospettiva dell’art. 27, terzo comma, Cost.» (sentenza n. 50 del 1980).
8.– Si ha, allora, che l’apprezzamento demandato al giudice in sede di rinvio assume, con riferimento alla individuazione del “giusto” trattamento sanzionatorio, la natura di «giudizio» che, in quanto tale, integra il «secondo termine della relazione di incompatibilità [...], espressivo della sede “pregiudicata” dall’effetto di “condizionamento” scaturente dall’avvenuta adozione di una precedente decisione sulla medesima res iudicanda» (sentenza n. 183 del 2013).
A tal proposito, questa Corte ha affermato che «la locuzione “giudizio” è di per sé tale da comprendere qualsiasi tipo di giudizio, cioè ogni processo che in base ad un esame delle prove pervenga ad una decisione di merito» (ordinanza n. 151 del 2004).
Pertanto, è un «“giudizio” contenutisticamente inteso, […] ogni sequenza procedimentale – anche diversa dal giudizio dibattimentale – la quale, collocandosi in una fase diversa da quella in cui si è svolta l’attività “pregiudicante”, implichi una valutazione sul merito dell’accusa, e non determinazioni incidenti sul semplice svolgimento del processo, ancorché adottate sulla base di un apprezzamento delle risultanze processuali» (sentenza n. 224 del 2001).
La valutazione complessiva del fatto illecito, che compete al giudice dell’esecuzione nell’attività di commisurazione della pena, resa necessaria a seguito di una pronuncia di illegittimità costituzionale, presenta, pertanto, tutte le caratteristiche del “giudizio” per come delineate dalla giurisprudenza di questa Corte. Sicché, in sede di rinvio dopo l’annullamento da parte della Corte di cassazione, il giudice dell’esecuzione – per essere «terzo e imparziale» (art. 111, secondo comma, Cost.) – deve essere persona fisica diversa dal giudice che, in precedenza, si è già pronunciato con l’impugnata (e annullata) ordinanza sulla richiesta di nuova determinazione della pena.
In sostanza, ogni qual volta il giudice deve provvedere sulla richiesta di rideterminazione della pena a seguito di declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, deve trovare applicazione una regola analoga a quella posta dall’art. 623, comma 1, lettera d), cod. proc. pen., secondo cui «se è annullata la sentenza di un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari, la corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al medesimo tribunale; tuttavia, il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata».
9.– Gli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., vanno pertanto dichiarati costituzionalmente illegittimi, nella parte in cui non prevedono che il giudice dell’esecuzione deve essere diverso – nel senso di persona fisica diversa – da quello che ha pronunciato l’ordinanza sulla richiesta di rideterminazione della pena a seguito di declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, annullata con rinvio dalla Corte di cassazione.
20 gennaio 2022
Il regime della procedibilità del reato di stalking connesso con altro reato procedibile d’ufficio - di Umberto Coppola (*)
(*) Umberto Coppola - Nato a Trapani il 03.08.1967, dopo avere ottenuto la maturità classica, il 10.03.1993 ha conseguito la Laurea in giurisprudenza presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Trieste con tesi in Dritto Commerciale: “Il contratto di riporto, di banca, di borsa e figure anomale.” Superato l’esame di abilitazione, il 13.11.1997 si è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Trapani.
19 gennaio 2022
Tabulati e nuova normativa. Anche per la quinta sezione tempus regit actum
18 gennaio 2022
Decreto milleproroghe: PCT Cassazione, trattazione scritta ed udienze da remoto prorogate al 31/12/2022
17 gennaio 2022
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14 gennaio 2022
Principio di necessaria offensività e reati di mera condotta, con particolare riguardo alle fattispecie di pericolo astratto e presunto - di Mariangela Miceli (*)
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👉 Tutta la normativa qui Come già accaduto in altre occasioni i continui confronti con colleghi ci hanno stimolato a pubblicare un post ...