L’applicazione concreta delle norme vigenti in materia di residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS) nei confronti degli autori di reato affetti da patologie psichiche presenta numerosi profili di frizione con i principi costituzionali, che il legislatore deve eliminare al più presto.
Lo ha affermato la Corte costituzionale nella sentenza n.22/202 al link depositata oggi (redattore Francesco Viganò), con la quale sono state dichiarate inammissibili le questioni sollevate dal Gip del Tribunale di Tivoli a proposito della disciplina sulle REMS.
Dall’istruttoria disposta dalla Corte (comunicato del 24 giugno 2021) è emerso, in particolare, che sono tra 670 e 750 le persone attualmente in lista d’attesa per l’assegnazione ad una REMS; che i tempi medi di attesa sono di circa dieci mesi, ma anche molto più lunghi in alcune Regioni; e che molte di queste persone – ritenute socialmente pericolose dal giudice – hanno commesso gravi reati, anche violenti.
Nella sentenza depositata oggi si ricorda che le REMS sono state concepite dal legislatore, nel 2012, come strutture residenziali caratterizzate da una logica radicalmente diversa dai vecchi ospedali psichiatrici giudiziari (OPG), caratterizzati da una logica esclusivamente custodiale. Le REMS, pensate invece in funzione di un percorso di progressiva riabilitazione sociale, sono strutture di piccole dimensioni che devono favorire il mantenimento o la ricostruzione dei rapporti con il mondo esterno, alle quali il malato mentale può essere assegnato soltanto quando non sia possibile controllarne la pericolosità con strumenti alternativi, per esempio con l’affidamento ai servizi territoriali per la salute mentale.
L’assegnazione alle REMS resta però nell’ordinamento italiano una misura di sicurezza, disposta dal giudice penale non solo a scopo terapeutico ma anche per contenere la pericolosità sociale di una persona che ha commesso un reato. Ciò comporta – ha osservato la Corte – la necessità di rispettare i principi costituzionali sulle misure di sicurezza e sui trattamenti sanitari obbligatori, tra cui la riserva di legge: ossia l’esigenza che sia una legge dello Stato a disciplinare la misura, con riguardo non solo ai “casi” in cui può essere applicata ma anche ai “modi” con cui deve essere eseguita. Al contrario, oggi la regolamentazione delle REMS è solo in minima parte affidata alla legge; in gran parte è rimessa ad atti normativi secondari e ad accordi tra Stato e autonomie territoriali, che rendono fortemente disomogenee queste realtà da Regione a Regione.
La Corte ha poi sottolineato che a causa dei suoi gravi problemi di funzionamento il sistema non tutela in modo efficace né i diritti fondamentali delle potenziali vittime di aggressioni, che il soggetto affetto da patologie psichiche potrebbe nuovamente realizzare, né il diritto alla salute del malato, il quale non riceve i trattamenti necessari per aiutarlo a superare la propria patologia e a reinserirsi gradualmente nella società.
La Corte ha inoltre osservato che la totale estromissione del ministro della Giustizia da ogni competenza in materia di REMS – e dunque in materia di esecuzione di misure di sicurezza disposte dal giudice penale – non è compatibile con l’articolo 110 della Costituzione, che assegna al Guardasigilli la responsabilità dell’organizzazione e del funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.
La Corte ha tuttavia ritenuto di non poter dichiarare illegittima la normativa in questione, perché da una simile pronuncia deriverebbe “l’integrale caducazione del sistema delle REMS, che costituisce il risultato di un faticoso ma ineludibile processo di superamento dei vecchi OPG”, con la conseguenza di “un intollerabile vuoto di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti”.
Di qui il monito al legislatore affinché proceda, senza indugio, a una complessiva riforma di sistema, che assicuri assieme:
– un’adeguata base legislativa alla nuova misura di sicurezza;
– la realizzazione e il buon funzionamento, sull’intero territorio nazionale, di un numero di REMS sufficiente a far fronte ai reali fabbisogni, nel quadro di un complessivo e altrettanto urgente potenziamento delle strutture sul territorio in grado di garantire interventi alternativi adeguati alle necessità di cura e a quelle, altrettanto imprescindibili, di tutela della collettività;
– forme di idoneo coinvolgimento del ministro della Giustizia nell’attività di coordinamento e monitoraggio del funzionamento delle REMS esistenti e degli altri strumenti di tutela della salute mentale degli autori di reato, nonché nella programmazione del relativo fabbisogno finanziario.