27 gennaio 2022

Quando il divieto del doppio giudizio "apre" al dialogo muto tra le Corti


Con la sentenza n. 1363/2022 (al link) la Quinta Sezione della Corte di Cassazione ha affermato che non contrasta con la preclusione del giudicato connessa al principio del “ne bis in idem” - non ricorrendo l’identità del fatto - la condanna per il delitto di omicidio preterintenzionale nei confronti di un soggetto già condannato per lesioni personali con sentenza divenuta irrevocabile in relazione alla stessa condotta, in quanto il fatto concreto di cui all’art. 584 cod. pen. è caratterizzato dall’evento-morte, che è, invece, assente nel delitto di cui all’art. 582 cod. pen., la cui tipicità è integrata dal diverso, e meno grave, evento delle lesioni personali, pur se il giudice del secondo procedimento, in ossequio al principio di detrazione, deve assicurare, mediante un meccanismo di compensazione, che “l’importo complessivo delle sanzioni” irrogate sia proporzionato alla gravità dei reati complessivamente considerati.

Com'è noto, chi è stato già giudicato non può essere sottoposto ad un secondo giudizio che abbia ad oggetto il medesimo fatto.

Il divieto, previsto dall’art. 649 c.p.p., ha portata più ampia di quella stabilita ad litteram dalla norma, in quanto si estende anche alle sentenze non definitive ed è riconducibile al principio generale che vieta la duplicazione dell’azione conto lo stesso imputato.

Il divieto, in altri termini, “consuma” la successiva azione e quindi il potere di ius dicere in ordine all’identica regiudicanda.

Ne segue che, sull’identità del fatto, la domanda andrà dichiarata “improcedibile” e il giudice dovrà pronunciarsi per il non luogo a procedere (ex artt. 529 o 425 c.p.p.) ovvero con decreto di archiviazione laddove l’azione penale non sia stata ancora esercitata.

Si tratta di un insegnamento risalente al diritto romano (bis de eadem re non sit actio) posto a garanzia dell’imputato e volto ad impedire le azioni superflue o di abuso del processo.

La regola è, quindi, fondamentale per evitare l’incertezza sia delle decisioni giudiziali sia dello stesso sistema giuridico.

Il divieto del ne bis in idem ha rango di diritto dell’uomo a garanzia delle libertà fondamentali.

Il protocollo n. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali dispone, all’art. 4, che “nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è stato già assolto o condannato a seguito di sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato”. Il principio è ribadito nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE, c.d. Carta di Nizza, che, all’art. 50, lo prevede come “diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato”.

Il divieto del doppio giudizio è poi previsto nelle convenzioni pattizie di diritto internazionale.

La garanzia ha carattere processuale e si estrinseca, come detto, nell’effetto di impedire un secondo pronunciamento giurisdizionale sul medesimo fatto. 

Nella definizione della identità il fatto prescinde dalla diversa qualificazione giuridica che di esso si può dare. In tal senso si è pronunciata anche la giurisprudenza europea (Corte Edu, Sez. I, 25 giugno 2009, Maresti c. Croazia) in un caso in cui un cittadino era stato condannato da due autorità giudiziarie diverse per aver prima ingiuriato (he firstly insulted) e poi percosso un soggetto (and then pushed him with both hands and … started to hit him with his fists many times). La Corte ha rilevato la violazione dell’art. 4 del protocollo 7 della Cedu per l’identità del fatto (in respect of the same event and the same facts) ed ha ritenuto operante il divieto di ne bis in idem (this had violeted his right non to be tried and punished twice for the same offence).

Di avviso diverso il giudice nomofilattico nella sentenza che si annota.

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