Nei giorni scorsi abbiamo dato conto della
disciplina introdotta dal d.l. 132/2021, con cui il Governo, sulla scorta
della sentenza della Grande Sezione della
Corte di Giustizia del 2 marzo 2021 (H.K.c./Prokuratuur, C-746/18 sentenza al link), ha
riformulato l’art. 132 del d.lvo 196/2003, in tema di acquisizione di dati
relativi al traffico telefonico e telematico (post al link).
Ad onta del giudizio liquidatorio propalato da noti magistrati (al link l'intervista rilasciata a "La
Repubblica" da Eugenio Albamonte), la normativa ci pare più conforme ad un processo tra
parti poste sullo stesso piano e apre a nuovi spazi difensivi.
Al riguardo è agevole rammentare che la previgente disciplina, pur a
seguito di numerosi rimaneggiamenti, prevedeva che il Pubblico Ministero, entro il termine di conservazione dei dati,
potesse acquisirli presso il
fornitore con proprio decreto. Gli altri attori della giurisdizione (difensore dell'imputato, della persona sottoposta alle
indagini, della persona offesa e delle altre parti private) avrebbero potuto proporre sollecitare
la parte pubblica ad acquisire i tabulati.
Tuttavia il difensore dell'imputato o della persona sottoposta alle
indagini potevano richiedere direttamente al fornitore i dati relativi alle utenze intestate al
proprio assistito con le
modalità indicate dall' articolo 391-quater del codice di procedura penale.
Nondimeno la richiesta di accesso diretto alle comunicazioni telefoniche in entrata poteva essere effettuata esclusivamente quando potesse derivarne un pregiudizio effettivo e concreto per lo svolgimento
delle investigazioni difensive di cui alla
legge 7 dicembre 2000, n. 397.
Il testo licenziato dal Governo pone
invece, senza distinzione di sorta, tutti gli attori processuali nella medesima
condizione: i dati sono acquisiti presso il fornitore con decreto motivato
del giudice su richiesta di parte, salvo ovviamente un potere di urgenza
riconosciuto al pubblico ministero e
salvo convalida.
Sebbene sia vero che in tesi la difesa perda la limitata possibilità di acquisizione diretta, nella prassi i fornitori dovrebbero essere assai più solerti a consegnare i dati su ordine del Giudice che su istanza difensiva.
La nuova disciplina ha trovato il plauso anche di taluni pubblici ministeri che così si sono espressi: <<indubbiamente apprezzabile il fatto che la possibilità di inoltrare la richiesta al giudice sia stata riconosciuta espressamente - oltre che al P.M. – direttamente anche al difensore dell'imputato alla persona sottoposta a indagini, alla persona offesa, e delle altre parti private. Una “parità delle armi” più che opportuna, doverosa e quindi inevitabile>> (Cesare Parodi, "Sottratto al PM il potere di richiedere autonomamente i tabulati" in Il Penalista, 01.10.2021).
A questo punto v’è però da chiedersi se il mutato
quadro, non introduca qualche dubbio processuale.
La questione che si palesa più delicata è quella
conseguente all'assenza di una norma di diritto intertemporale di cui abbiamo
già dato conto nel post precedente.
V'è infatti da interrogarsi sulla utilizzabilità nei
processi in corso dei tabulati acquisiti secondo le regole pregresse e in
carenza dei requisiti attualmente previsti. In altri termini ci si chiede se il momento della VALUTAZIONE di una
prova acquisita secondo modalità non più in vigore risenta in qualche modo
della nuova disciplina.
E' evidente che in assenza di un criterio
normativo dettato dal legislatore nell'esercizio della sua
discrezionalità opererà il criterio
sussidiario del “tempus regit actum”.
Tuttavia la nozione di actum non è in realtà unitaria
(Cassazione penale sez. un., 25/02/1998, n.4265, ric. Gerina).
Infatti per come insegnato dal massimo consesso della Corte nomofilattica (Cassazione penale sez. un., n.4265, cit.), ai fini di una corretta applicazione del citato brocardo devono distinguersi due diverse tipologie di atti processuali: gli uni che si esauriscono senza residui nel loro puntuale compimento (<<come una istanza, una eccezione, una impugnazione o altro atto di impulso da eseguire in una data forma ed entro certi termini>>); gli altri che <<non hanno mera funzione autoreferenziale nè si consumano con effetti istantanei, atteso il loro carattere strumentale e preparatorio rispetto alla successiva attività cognitiva cui sono destinati, com'è tipico della struttura plurifasica del procedimento probatorio nel quale sono distinguibili i momenti di ammissione e di assunzione del mezzo istruttorio dal momento della valutazione ope iudicis>>.
In altri
termini ai fini della applicazione del principio tempus regit
actum rispetto alla prova potranno distinguersi diverse fasi/acta e
quindi tempora e ciò perché essa è <<fattispecie
complessa a formazione successiva>>, funzionalmente
orientata alla decisione.
Secondo un' interpretazione critica, fondata sulla congiunta lettura della superiore sentenza e delle successive SS.UU.13.07.1998, ric. Citaristi, per le SS.UU. <<se una prova viene acquisita con modalità consentite dalla legge del tempo in cui l'atto venne compiuto, ma non più consentite dalla legge nel momento in cui il risultato probatorio deve essere valutato, il giudice non potrebbe fare altro che rilevare l'inutilizzabilità della prova>> (cfr. G. LOZZI, Lezioni di procedura penale).
Nondimeno, ad avviso di chi scrive, l'autorevole lettura testé riportata, potrebbe essere revocata in dubbio.
Infatti la
medesima pronuncia dal paragrafo 6 in poi osserva che <<se la portata della
"novella" (si trattava all'epoca della l. 7 agosto 1997, n. 267) fosse circoscritta al piano della
innovazione delle modalità di ammissione e di assunzione di determinati mezzi
di prova e alla previsione di nuove ipotesi di nullità sarebbe indubbio che le
condizioni di validità dell'atto continuerebbero ad essere governate dalla
legge vigente nel tempo in cui gli stessi mezzi istruttori sono stati ammessi o
assunti>>. E ciò giacché <<la sanzione della inutilizzabilità prevista
dall'art. 191 c.p.p. opera su un duplice piano: come divieto di acquisizione e
come divieto di "uso" della prova>> e per quanto i due
profili operativi della sanzione processuale siano normalmente collegati
<<è da escludere, tuttavia, che tale interrelazione corrisponda ad una
regola di valore assoluto>>. Infatti <<rientra indubbiamente
nella discrezionalità del legislatore vietare l'utilizzazione di prove,
indipendentemente dalla legittimità o non delle modalità di acquisizione, in
tutti i processi in corso nei quali il procedimento probatorio non sia esaurito
perché i risultati conoscitivi devono essere ancora definitivamente valutati
dal giudice>>.
Analogamente le successive sezioni unite Citaristi, investite di un'ordinanza volta ad ottenere la rivisitazione delle precedente sezioni unite, hanno osservato che <<la riforma legislativa 7 agosto del 1997 (non a caso intitolata: "Modifica...in tema di valutazione delle prove") non si è limitata a rivedere, da un punto di vista meramente procedurale, il "modo" con il quale una prova deve essere assunta ...; essa invece, collocandosi anche e soprattutto nel versante del diritto sostanziale (nel quale pure rientra e a pieno titolo il regime probatorio), ha risolto negativamente il problema del "se" una certa prova, tipologicamente ripudiata, possa entrare nel patrimonio cognitivo su cui il giudice è autorizzato a fondare il suo convincimento ai fini della decisione. Ed il nuovo testo dell'art.513, stabilendo precisamente che "... tali dichiarazioni non possono essere utilizzate...", impedisce al magistrato giusdicente di valersene>>.
Ed ancora: <<se nel corso del processo interviene una nuova regola di giudizio "in tema di valutazione delle prove" - secondo le parole significativamente usate proprio nel titolo della legge 7 agosto 1997 n.267 - è evidente che tale nuova disciplina non può che riguardare il momento del giudizio, posto che è questo, e non altro, il momento in cui il giudice, utilizzando la prova, la "valuta", dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati (art. 192, co. 1 c.p.p.)>>
In sostanza, nel precedente scrutinato dalla due SS.UU. ciò che era sopravvenuta era una causa di esclusione, dal patrimonio valutativo del giudice, di una prova già legittimamente acquisita .
Simili argomenti fanno dubitare che in assenza di un'esplicita comminatoria di inutilizzabilità che incida sulla fase valutativa, il Giudice possa, nei processi in corso, escludere dalla sua valutazione i tabulati carenti dei requisiti previsti dalla nuova normativa.
Su altro fronte deve rammentarsi che la Corte di Cassazione ha escluso una diretta applicabilità della pronuncia della Corte di Giustizia (Cass. sez. II, ud. 15/04/2021, dep. 22/07/2021, n.28523). Infatti, pur non dubitando il Collegio della possibile diretta applicabilità, nell'ordinamento nazionale, delle decisioni della citata Corte (<<organo che, quale interprete qualificato del diritto UE, indica il significato ed i limiti di applicazione delle norme comunitarie, con efficacia erga omnes nell'ambito della Comunità>>), nella specie, i magistrati italiani hanno ritenuto che <<la richiamata pronuncia Europea sembra incapace di produrre effetti applicativi immediati e diretti a causa dell'indeterminatezza delle espressioni ivi utilizzate al fine di legittimare l'ingerenza dell'autorità pubblica nella vita privata dei cittadini>>.
Ciò posto, meriterebbe valutarsi se, a seguito della pronuncia della Corte lussemburghese, possa ritenersi costituzionalmente legittima una disciplina che consente l'uso di prove che integrano un'ingerenza non proporzionata nei diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta dell’Unione europea.
Tali dubbi avrebbero potuto essere schivati dalla norma transitoria in un primo tempo prevista dal Governo e poi non riportata nel testo definitivo del decreto legge, che attraverso un intervento di convalida giudiziale delle precedenti acquisizioni parificava gli attuali imputati, ai prevenuti le i cui "data" saranno acquisiti post d.l. 132.
Qui la versione della bozza del decreto legge, poi non recepita nella versione pubblicata in G.U., con la norma intertemporale: