Per l’importanza e la particolare rilevanza della questione, pubblichiamo l’ordinanza della Corte d’assise di Roma sulla procedibilità in assenza degli imputati.
Si legge nell'articolata ordinanza che "un processo può considerarsi equo solo se da parte dell'imputato vi è stata conoscenza effettiva della vocatio in iudicium, sicché, nel rispetto dei principi convenzionali, i giudici di primo grado sono tenuti ad usare particolare rigore nel valutare la procedibilità in assenza. Questo è necessario per garantire un processo “giusto" ad ogni imputato. In caso contrario, l'art. 420-quater cod. proc. pen. prevede che, quando il giudice non abbia raggiunto la certezza della conoscenza della chiamata in giudizio da parte dell'imputato, deve disporre la notifica «personalmente ad opera della polizia giudiziaria».
La disposizione, quindi, dimostra come il sistema sia incentrato esclusivamente sulla effettività di tale conoscenza, senza alcuna presunzione.
L'ordinamento prevede una sola ipotesi in cui possa procedersi in absentia e il processo possa instaurarsi senza che l'imputato abbia ricevuto il decreto di citazione a mani proprie pur in assenza della conoscenza effettiva della vocatio in iudicium, ed è la volontaria sottrazione «alla conoscenza del procedimento o di atti del procedimento.
L'art.420 bis c.p.p. non tipizza alcuna situazione e certamente ad essa non può equipararsi la mancanza di diligenza, né possono ritenersi in astratto neanche la latitanza, ovvero l'indicazione di un domicilio falso o inidoneo, la sopravvenuta irreperibilità; si tratta soltanto di elementi che possono essere considerati nel caso concreto, cioè nel rigoroso accertamento di fatto che deve essere compiuto dal giudice per poter sostenere che la compiuta conoscenza della vocatio in iudicium possa essere sostituita da una conoscenza soltanto legale. Ritiene, tuttavia, la Corte che questi approdi della giurisprudenza di legittimità debbano essere letti alla luce delle puntuali argomentazioni contenute nella citata sentenza della Corte Edu Sejdovic c/Italia" (sintesi al link).
Circa gli elementi di conoscenza del processo - che dev'essere effettiva e non presuntiva - l'ordinanza osserva che sono "dati presuntivi [ricavati dalla rilevanza mediatica internazionale del caso, dai contatti diplomatici e dalle indagini egiziane oltre che italiane] quelli dai quali può inferirsi,in termini di ragionevole certezza, soltanto la conoscenza da parte degli imputati, dell'esistenza di un procedimento penale a loro carico avente ad oggetto gravi reati ai danni del ricercatore Giulio Regeni". Ai fini della corretta instaurazione del rapporto processuale occorre invece "quella più pregnante conoscenza ... relativa alla vocatio in iudicium davanti al GUP (e poi davanti a questa Corte), con riferimento alla specifiche imputazioni elevate a loro carico, afferenti a plurime fattispecie di reato, una soltanto delle quali ascritta a tutti gli imputati, caratterizzate dunque da specifici e distinti ruoli ... L'assioma offerto dall'accusa nella propria prospettazione non appare condivisibile poiché si fonda sulla mera presunzione che gli imputati, in quanto appartenenti alla National Security, dato non vero per Athar e di cui non è vi prova dell'attualità per gli altri, sarebbero destinatari delle propalazioni illecite degli investigatori sulla base di un preteso spirito di corpo".