Nonostante le restrizioni da pandemia il diritto di difesa deve essere posto nelle condizioni di dispiegarsi per intero, soprattutto quando il titolare, attraverso il difensore, lo sollecita con specifica istanza di trattazione orale.
Diritto di difesa – Normativa emergenziale Covid-19- trattazione scritta – deposito telematico (Cost. art. 25 co. 2, 73 co. 3 • cod. proc. pen., artt. 127, 614 • D.L. n. 149/2020 art. 23 • d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 art. 23 comma 8, 23-bis, convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176)
Lo stato di eccezione non fa tuttavia venir meno il rispetto dei fondamentali diritti della difesa, derivanti dalla conoscibilità delle disposizioni dettate per il periodo particolare, e dalla esatta identificazione dell'arco temporale durante il quale ciascuna di esse ha avuto vigore. Quel che la Corte Costituzionale ha sancito da tempo a proposito della legge penale sostanziale (cf. sentenza n. 364/1988), e cioè che "il principio di legalità dei reati e delle pene (art. 25, comma secondo, Cost.) e quello di previa pubblicazione della legge (art. 73, comma terzo, Cost.), implicano l'adempimento, da parte dello Stato, di ulteriori doveri costituzionali, concernenti anzitutto la formulazione, la struttura e i contenuti delle norme penali, in guisa che queste ultime siano riconoscibili dai cittadini", vale a eguale titolo per le norme di carattere processuale.
Fatti di causa e ragioni della decisione. — 1. – Cialdella Francesco propone ricorso per Cassazione sulla base di un unico articolato motivo, contro la sentenza della Corte di Appello di Roma, intervenuta nel procedimento penale RGNR 54490/2017 nel quale la stessa ha confermato la sentenza del Tribunale Ordinario di Roma Sezione Gip/Gup.
La causa è stata fissata per la pubblica udienza presso la seconda sezione penale della Corte di Cassazione a seguito della richiesta di rigetto del ricorso del Procuratore Generale.
Il ricorrente ha depositato memorie.
2. - I fatti rilevanti nella presente sede sono i seguenti.
L’udienza del 10.12.2021 presso la Corte di Appello di Roma sez. II penale -fissata con vocatio notificata al difensore Avvocato Albertina Pepe in data 13.08.2020- pur avendo lo stesso difensore proposto tempestiva istanza per la trattazione orale del giudizio in appello ai sensi dell'art. 23 D.L. n. 149/2020, veniva svolta in camera di consiglio, senza l'intervento delle parti e cartolarmente.
Il difensore si era recato alla 2^ Sezione penale della Corte capitolina trovando l'aula di udienza chiusa e dopo aver atteso per un'ora, aveva chiesto a un soggetto qualificatosi come assistente di udienza quando sarebbe stato trattato il processo nel quale era impegnato; aveva ricevuto come risposta che esso era già stato definito con trattazione scritta, e che il dispositivo sarebbe stato inviato via pec.
Da tale circostanza il difensore di Cialdella Francesco ha dedotto con il ricorso presentato alla Corte di Cassazione la nullità della sentenza e ha richiamato a tal fine i principi che regolano il diritto di difesa.
Infatti è documentato che in data 09.11.2020 tempestivamente la difesa di Cialdella aveva provveduto a mezzo pec ed in ottemperanza alle disposizioni di cui al decreto ristori bis n. 149/2020, all’invio alla Seconda Sezione Penale della Corte di Appello di Roma della richiesta di discussione orale per il procedimento a carico del proprio assistito [peraltro ristretto in regime di arresti domiciliari] per l’udienza da celebrarsi in data 10.12.2020.
Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma ai sensi dell’art. 23 comma 2 D.L. 149/2020 in data 26.12.2020 inviava a mezzo pec al difensore di fiducia Avvocato Albertina Pepe le proprie conclusioni chiedendo la conferma della sentenza impugnata, stante l’infondatezza dei motivi d’appello e la congruità in fatto e in diritto della motivazione del provvedimento.
La Corte di Appello di Roma ignorava l’istanza di trattazione orale dello scrivente difensore e celebrava l’udienza con le forme ex artt. 443 co. 4 e 599 c.p.p confermando la sentenza con la quale il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma all’esito del giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato aveva condannato Cialdella Francesco a pena di giustizia per plurimi reati, uniti per continuazione, di truffa, sostituzione di persona, frode informatica, abusivo accesso a sistemi informatici e indebito utilizzo della carta di credito.
3. - Il motivo di ricorso denuncia la violazione di legge ai sensi dell'art. 606 co. 1 lett. c) e lett. e) cod. proc. pen. con riferimento agli art. 178 co. 1 lett. c) e 179 cod. proc. pen., pertanto, la violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità.
La tesi sostenuta con la complessa censura è la seguente.
La validità del giudizio celebratosi presso la Corte di Appello di Roma è ipotecata irrimediabilmente da una palese violazione del diritto alla difesa tecnica, avendo il Giudice d’Appello del tutto inopinatamente ignorato la legittima istanza di trattazione orale presentata dalla difesa dell’imputato.
Nel caso specifico, si è configurata una nullità a regime intermedio in quanto è stato concretamente menomato il diritto di difesa. Un’efficace ed effettiva assistenza tecnica, intesa come il complesso di diritti, di poteri e di facoltà che le singole norme processuali attribuiscono al soggetto preposto alla difesa, presuppongono lo studio e la conoscenza degli atti del procedimento in cui deve esplicarsi l’attività professionale dell’avvocato e un’attività preparatoria alla difesa tecnica.
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, le communatorie di nullità di ordine generale e quelle di carattere assoluto, rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi degli artt 178 e 179 c.p.p., trovano applicazione anche nei procedimenti camerali partecipati di esecuzione e sorveglianza per effetto della estensiva interpretazione delle disposizioni generali, concernenti l’intervento e l’assistenza dell’imputato ovvero l’assenza del suo difensore.
Infatti, il difensore in ossequio alla normativa emergenziale aveva tempestivamente provveduto all’invio dell’istanza di trattazione orale del giudizio secondo le modalità in quel momento vigenti e fino a quel giorno utilizzate per l’inoltro della richiesta tramite l’invio della pec alla Seconda Sezione penale della Corte di Appello di Roma.
4. – Il procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ha ritenuto ed argomentato che il difensore avrebbe dovuto inoltrare la richiesta di trattazione orale servendosi "dei sistemi che saranno resi disponibili ed individuati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informatici e automatizzati", e quindi avrebbe errato nella individuazione delle modalità di invio, perché quest'ultimo è avvenuto alla pec della 2 Sezione penale della Corte di appello di Roma, e non, come prescritto dal decreto del Direttore DGSIA del 9/11/2020, all'indirizzo - che sarebbe stato quello corretto - depositoattipenali2.ca.roma@giustiziacert.it ". Lo stesso P.G. ha però aggiunto nelle conclusioni che, pur se l'interpretazione è quella sollecitata dal rappresentante dell'accusa, in realtà l'art. 23 co. 4 D.L. n. 149/2020 "è stato formulato in maniera non particolarmente chiara", e che "pur se la coincidenza temporale dell'entrata in vigore del d.l. e della pubblicazione del decreto direttoriale rendeva difficile individuare quello stesso giorno (cioè il 9/11/2020) il corretto indirizzo di destinazione della richiesta, (...) il difensore, letta nuovamente e con maggior agio la disposizione, era comunque in tempo per rinnovarla". In altre parole, pur avendo il difensore dell’imputato il giorno 09.11.2021 provveduto all’adempimento secondo le modalità in quel momento conosciute e conoscibili, il Procuratore Generale ha ritenuto che fosse comunque in tempo per rinnovare l’istanza, che cioè il medesimo avvocato avrebbe dovuto inviare una nuova istanza di trattazione orale con la modalità di cui all'art. 23 co. 4 D.L. n. 149/2020 entrato in vigore il 09.11.2020.
5. - Il motivo del ricorso è fondato. Ritiene la Suprema Corte che la congerie di interventi normativi che si sono susseguiti anche per la disciplina del processo penale nelle varie fasi della pandemia da Covid 19 ha provocato non poca incertezza, con disposizioni che si sono sovrapposte e che sono mutate, talora in pochi giorni, con articoli di leggi di conversione di decreti legge giunti a modificare norme di decreti legge successivi a quello cui si riferiva la legge di conversione, col frequente rinvio per l'espletamento di pur importanti incombenze processuali dalla norma primaria a fonti secondarie, se non a provvedimenti amministrativi. Il tutto si è tradotto nella notevole difficoltà per gli operatori, in primis i difensori, di avere un quadro sempre intellegibile, accentuata dagli impedimenti, a seguito delle necessitate restrizioni, dei contatti diretti con le Cancellerie dei vari uffici giudiziari.
Tuttavia, lo stato di eccezione non fa venir meno il rispetto dei fondamentali diritti della difesa.
La Corte di Cassazione ha chiarito in seguito ad accertamenti che il decreto del direttore DGSIA, pur recando la data del 9/11/2020, è stato reso noto il giorno successivo - tale deve intendersi il fatto che risulti come 'news' del 10/11/2020 -, e che l'installazione della pec dedicata depositoattipenali2.ca.roma@giustiziacert.it è avvenuta da parte della Cancelleria della 2^ Sezione penale della Corte romana soltanto il 16/11/2020. Pertanto per sette giorni, dal 9/11/2020 - data dell'entrata in vigore del D.L. n. 149/2020 - al 16 successivo, la sola modalità di trasmissione della richiesta di trattazione orale da parte del difensore era quella che in concreto lo stesso difensore aveva adoperato.
È inoltre certo che della richiesta di trattazione orale non sia stata fatta menzione nel verbale di udienza redatto dalla Corte di Appello di ROMA del 10/12/2020. Infatti, rileva la Suprema Corte di Cassazione che l’udienza è peraltro iniziata alle 9.59, e cioè prima, se pure di un minuto, dell'orario fissato.
Ritiene, inoltre, la Corte di Cassazione che quanto affermato dal Procuratore Generale il quale ha definito la formulazione del provvedimento "non particolarmente chiara", finisce per un verso per esigere, nella confusa condizione dello stato di eccezione ricordata in precedenza, uno zelo oltre misura: il difensore ha proposto l'istanza il giorno stesso in cui gli era reso possibile col sistema in quel momento disponibile, e non gli si può certo rimproverare di essere stato intempestivo. Finisce per altro verso per avallare che un ufficio giudiziario - nella specie, la 2^ Sezione penale della Corte di Appello di Roma -, una volta, il 9/11/2020, ricevuto un atto trasmesso in modo conforme alle regole quel giorno in vigore, possa ritenerlo tamquam non esset, per il fatto che il sistema informatico di invio sarebbe poi mutato dopo una settimana, peraltro con un atto amministrativo (se pure quello cui ha rinviato la norma del decreto legge).
La Suprema Corte rileva come si tratti certamente di una nullità, poiché la mancata risposta all'istanza di discussione orale ha precluso al difensore di rassegnare le proprie conclusioni nel contraddittorio in presenza, qualora essa fosse stata accolta, ovvero di inviarle per iscritto, qualora - per mera ipotesi - essa fosse stata respinta: ciò si traduce in una evidente lesione del diritto di difesa, relativamente al cui pieno dispiegamento non è stato rispettato il bilanciamento, individuato dal legislatore dello stato di eccezione a seguito della pandemia, fra l'ordinarietà del contraddittorio scritto e la deroga del contraddittorio orale a richiesta delle parti.
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Diritto di difesa e normativa emergenziale in particolare D.L. n. 149/2020.
1. - La Suprema Corte, con sentenza del 08.07.2021 n. 35243 in epigrafe, si è pronunciata in tema di diritto di difesa in relazione alla normativa emergenziale che si è susseguita nelle varie fasi della pandemia da Covid-19.
Con tale decisione, il giudice di legittimità, dando ormai per definitivamente chiarite le problematiche attinenti allo svolgimento delle udienze in presenza sottolinea la non poca incertezza che è stata provocata anche per la disciplina del processo penale dall’insieme confuso di interventi normativi che si sono susseguiti in un lasso di tempo molto breve.
La normativa emergenziale ed in particolare l’art. 23 D.L. n. 149/2020 “[…]Disposizioni per la decisione dei giudizi penali di appello nel periodo di emergenza epidemiologica da Covid-19” stabilisce al comma primo il criterio generale secondo cui "fuori dai casi di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, per la decisione sugli appelli proposti contro le sentenze di primo grado la corte di appello procede in camera di consiglio senza l'intervento del pubblico ministero e dei difensori", fa salvo il caso che "una delle parti private o il pubblico ministero faccia richiesta di discussione orale". Al comma 4 la medesima disposizione sancisce che "la richiesta di discussione orale è formulata per iscritto dal pubblico ministero o dal difensore entro il termine perentorio di quindici giorni liberi prima dell'udienza ed è trasmessa alla cancelleria della corte di appello attraverso i canali di comunicazione, notificazione e deposito rispettivamente previsti dal comma 2. […]"
L’istanza proposta dal difensore non può certamente essere disattesa dal Collegio giudicante, dunque, una pronuncia del giudice che ignora completamente l’istanza tempestiva pervenuta secondo le modalità disposte dalla legge o da i vari regolamenti, va a determinare una evidente lesione del diritto di difesa da cui scaturisce la nullità del giudizio.
Duplice è, infatti, la funzione che assolve la previsione di carattere generale contenuta nell’art 178 c.p.p.. Da un lato, sanzionando con la nullità l’inosservanza di disposizioni processuali che non contengono una specifica sanzione, consente di evitare che gravi violazioni comportino semplicemente l’irregolarità dell’atto e che siano ignorati interessi di meritevole tutela, dall’altro costituisce nel sistema delle nullità lo “spartiacque tra nullità relative e gli altri due tipi di nullità” [Galati – Zappalà Gli atti, in Siracusano – Galati Franchina – Zappalà Dir PP I, 310].
In altri e più chiari termini l’art 178 c.p.p. costituisce una sorta di passaggio obbligato nell’attività dell’interprete volta a stabilire la sussistenza di una causa di nullità e ad individuare la sua natura ed il regime cui è soggetta. Infatti, in presenza di una violazione di norma processuale occorre verificare innanzitutto se in quella stessa norma sia contenuta o meno una specifica previsione di nullità.
La funzione propria dell’art 178 c.p.p., ed in particolare la volontà sottesa alla norma di non lasciare senza tutela situazioni processualmente rilevanti, è attuata attraverso la previsione di un effetto sanzionatorio per le violazioni che incidono sui presupposti, e quindi sulla validità del rapporto processuale tradizionalmente inteso, impedendo il realizzarsi delle condizioni che garantiscono il contraddittorio perfetto: l’esistenza di un giudice legalmente precostituito, l’iniziativa e l’intervento del Pubblico Ministero, il valido contradditorio nei confronti dell’imputato e delle altre parti, nonché, in misura minore, della persona offesa e del querelante.
Per ciò che concerne nello specifico la nullità ex art. 178 comma 1 lett. c) c.p.p., oltre al diritto all’autodifesa, deve essere garantito all’imputato il diritto all’assistenza tecnica da parte di un difensore cui siano riconosciuti ed assicurati diritti, poteri e facoltà necessari a tutelare gli interessi dell’imputato. La compressione o la violazione di tale diritto determina la nullità dell’attività compiuta.
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, le communatorie di nullità di ordine generale e quelle di carattere assoluto, rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi degli artt 178 e 179 c.p.p., trovano applicazione anche nei procedimenti camerali partecipati di esecuzione e sorveglianza per effetto della estensiva interpretazione delle disposizioni generali, concernenti l’intervento e l’assistenza dell’imputato ovvero l’assenza del suo difensore.
Recentemente con sentenza n. 10157 dell’11 marzo 2016 la Sezione VI Penale della Suprema Corte di Cassazione ha statuito che “[…]nell’alveo delle garanzie, certamente rientra il diritto del condannato alla difesa tecnica nei casi in cui la presenza del difensore sia indicata come necessaria […]; da ciò discende che il difetto della presenza del difensore, non a lui imputabile, integra una nullità generale ed assoluta ex artt 178 lett. c), e 179 c.p.p., rilevabile in ogni stato e grado del procedimento. E non cambia qualcosa la presenza del difensore d’ufficio, chiamato in sostituzione ex art 97 co 4 c.p.p. […]”.
La Corte dii Cassazione, pertanto, ha affermato da tempo, a Sezioni Unite, che l’art 97 co 1 c.p.p. prevede la designazione del difensore d’ufficio solo in via residuale, qualora l’imputato non abbia nominato un difensore di fiducia o ne sia “rimasto privo” e che una sostituzione effettuata in assenza di condizioni di legge è illegittima, in quanto confligge con il principio di immutabilità del difensore e pregiudica l’attività preparatoria alla difesa, imprescindibile in un processo di parti, non si tratta della bravura o meno del difensore d’ufficio, bensì di una preparazione adeguata per il singolo processo, della conoscenza delle carte processuali e della persona assistita. Si assiste ad un impedimento in concreto della partecipazione del difensore di fiducia all’udienza e, conseguentemente, ad una negazione della difesa tecnica e qualificata a cui il condannato ha diritto.
A tal proposito la Cassazione Penale a Sezioni Unite con Sentenza del 26.03.2015 ha stabilito che “[…]nel sistema processuale, infatti, le nullità assolute si correlano soltanto a “patologie radicali” del processo, che impedendone la reale evoluzione, ne consentono uno svolgimento solo “apparente”, senza un giudice “capace”, ovvero senza l’iniziativa del pubblico ministero, senza la citazione dell’imputato o senza la partecipazione del difensore quando questa sia obbligatoria […] l’opzione ermeneutica della proliferazione delle nullità assolute oltre i casi tassativamente contemplati dalle norme, estendendo l’intrinseca insanabiltà del vizio oltre le reali ipotesi di “radicabilità della patologia”, contraddice l’essenza stessa del processo e ne compromette gli equilibri, aprendo il varco alla opportunistica scelta delle parti sull’an e su quando far valere l’invalidità in funzione del pronostico della decisione”, in contraddizione con i canoni di economia ed efficienza processuali del principio costituzionale della durata ragionevole del processo sancito dall’art 111 co 2 ultimo inciso Costituzione, il quale comporta, anche a carico della difesa, l’essenziale onore dell’esercizio dei relativi diritti nelle forme e nei tempi stabiliti dalla legge […]”.
I punti di diritto proposti, hanno offerto alle Sezioni Unite l’opportunità di chiarire alcuni fondamentali concetti che coinvolgono il diritto di difesa tecnica nella sua accezione ampia e rigorosa. Vale la pena di ricordare che l’art. 24, comma 2, Cost., nel prevedere l’inviolabile diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento, ricomprende i due coessenziali versanti della difesa materiale (o autodifesa) e di quella tecnica ancorata alla presenza indispensabile dell’avvocato che, al fianco dell’imputato, consente di realizzare la parità delle armi e il contraddittorio. L’ampiezza delle garanzia è un’acquisizione relativamente recente, ancorata alla logica probatoria come premessa di una difesa effettiva, divenuta definitivamente patrimonio della cultura giuridica solo con l’avvento del codice di procedura penale del 1988. Anche se, prima di questa data, la dottrina aveva già avvertito come l’essenza del diritto doveva essere ravvisata non solo nella presenza fisica del difensore (profilo statico), quanto piuttosto nella possibilità concreta di “difendersi provando” (profilo dinamico). La interrelazione tra versante probatorio e difesa hanno scandito un percorso virtuoso, man mano compiuto fino a raggiungere la diffusa convinzione che i due segmenti esprimono la medesima esigenza e partecipano ugualmente alla realizzazione del giusto processo. Col passare del tempo, infatti, il principio costituzionale di difesa veniva collegato, in modo sempre più aderente, alle esigenze probatorie e gli si riconosceva un significato connesso a comportamenti significativamente attivi in tale ambito. Senza ovviamente rinunciare ai presidi garantisti espressi dalla presenza costante del difensore tecnico ed alla partecipazione concreta dell’imputato. Ma il solo versante statico non era ritenuto sufficiente ad esaurire le potenzialità che la garanzia esprimeva nella sua proiezione dinamica. Era assodato che la funzione di mera critica della prova, tipica del codice di procedura penale del 1930 e più in generale dei modelli ispirarti alla cultura inquisitoria, non potesse esaurire la valenza del diritto di difesa, naturalmente proiettato verso un reale contraddittorio per la prova (diremo oggi), sideralmente distante e diverso dalla prima. Non più solo “presenza del difensore” in funzione di garanzia ma «pregnanti poteri probatori inseriti in uno scenario procedimentale sufficientemente utile a dare concretezza alla funzione difensiva». Per lunghi anni, infatti, le prospettive concrete del diritto di difesa sono state sempre tutte concentrate sull’aumento degli spazi di intervento del difensore tecnico, strada attraverso la quale si è sviluppato il tentativo di “recuperare il principio di parità delle armi interpretato solo - ma si faceva di necessità virtù - come ‘pari qualificazione dei contendenti’, con esclusivo riferimento al riequilibrio delle ‘qualità’ tecniche delle parti”. Nessuna attenzione veniva posta al versante funzionale delle ‘pari opportunità probatorie’. «Il sistema, imperniato sull’istruzione, che concepiva appena l’idea di un possibile contributo probatorio dell’imputato o del suo difensore, non poteva spingersi fino ad ipotizzare l’esigenza di un vero contraddittorio per la prova» .
La riprova di questa visione può essere riscontrata nel fatto che la Corte Costituzionale, fino al 1988, ha sempre assegnato un’assoluta prevalenza alla difesa tecnica rispetto a quella materiale ed in questa direzione ha tentato di ampliare gli spazi di intervento del difensore tecnico, ponendo solo una parziale attenzione alle esigenze della difesa materiale, senza riconoscere le interrelazioni esistenti tra la funzione difensiva e le modalità (o le esigenze) di formazione della prova .
Le successive vicende legislative, dall’entrata in vigore del codice di procedura penale del 1988 fino alla legge costituzionale di modifica dell’art. 111 Cost., hanno assestato il sistema normativo, tentando di equilibrare la presenza delle parti nell’ottica della piena realizzazione del contraddittorio, principio fondamentale della giurisdizione. Si è così compreso che è quest’ultimo a dare concretezza al diritto di difesa ed alla parità delle armi, versanti dotati di autonomia (ad esempio, nella prospettiva della realizzazione della presunzione di innocenza) ma anche funzionali ad esso nella misura in cui ne consentono la effettività. L’attenzione si è dunque correttamente spostata su entrambi i versanti del diritto di difesa (tecnica e materiale) riconoscendo la coessenzialità dei due ambiti, esplicativi di due garanzie connesse nella prospettiva del giusto ed equo processo.
Di tal che, mentre l’imputato può anche rinunciare a partecipare al processo, la presenza del difensore tecnico è irrinunciabile proprio per la sua vocazione a rappresentare un ambito pubblico (la realizzazione della giurisdizione) più che un mero interesse privato. Questa peculiarità, pur non connotando in modo differente i due segmenti che compongono il diritto di difesa, riconosce la loro piena autonomia e la necessità di assicurare ad entrambi la massima tutela. La piena espansione del diritto, però, pur travalicando la mera presenza del difensore, la presuppone come presidio ineludibile. In questa ottica, deve iscriversi il riconoscimento, ad opera del codice di rito del 1988, della possibilità di far valere, quale causa di rinvio dell’udienza, il legittimo impedimento dell’avvocato. Se, cioè, non si assicura la effettiva presenza dell’avvocato non è possibile affrontare il tema delle declinazioni probatorie della garanzia.
In questa prospettiva, le Sezioni Unite hanno sottolineato come nel codice di procedura penale sia «prevista la partecipazione dell’accusa e della difesa su un piano di parità» funzionale alla realizzazione di un “processo di parti” ove l’attività del difensore è, al pari di quella del pubblico ministero, diretta alla «ricerca, individuazione, proposizione e valutazione di tutti gli elementi probatori e nell’analisi della fattispecie legale». Sul profilo dinamico la Corte di legittimità differenzia la mera assistenza dalla più pregnante partecipazione.
Dal punto di vista generale, quindi, la difesa non può ridursi «ad una mera formale presenza di un tecnico del diritto» che non «sia in grado di padroneggiare adeguatamente il materiale di causa».
Al condivisibile approccio, andrebbe aggiunto il richiamo all’essenziale funzione del difensore tecnico (mai disgiunta dalla partecipazione dell’interessato) nella attuazione del contraddittorio, quale modo dialettico della giurisdizione e quale metodo dialogico di formazione della prova. La premessa consente di affrontare i temi di diritto specifici con la convinzione che essi sono strumentali alla realizzazione di una effettiva difesa e vanno, dunque, valutati in questa prospettiva ontologica.
Ed anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha, più volte, sottolineato la necessità di assicurare all’imputato, nell’ottica delineata dall’art. 6 CEDU, un processo equo (Corte EDU, 8-12-2009, Previti c. Italia; 611-2007, Hany c. Italia). È dunque condizione indefettibile che la possibilità di un adeguato esercizio del diritto di difesa venga comunque assicurata, in qualunque modulo procedimentale e in qualunque fase processuale. Tale conclusione si impone a maggior ragione laddove la regiudicanda si trovi in fase decisoria e si discuta quindi della fondatezza dell’imputazione, che tanto in primo grado che in appello, attribuisce al giudice la piena cognizione del merito dell’accusa, con la conseguente necessità di esaminare approfonditamente e di sottoporre ad un adeguato vaglio dialettico, nel contraddittorio delle parti, ogni risultanza acquisita.
Del resto, per quanto attiene specificamente al giudizio camerale di appello, l’art. 2, n. 93), legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale) prevede che quest’ultimo debba svolgersi, allorché l’impugnazione abbia esclusivamente per oggetto la specie o la misura della pena, la concessione delle circostanze attenuanti generiche, l’applicabilità di sanzioni sostitutive o la concessione di benefici di legge, nel contraddittorio delle parti.
A maggior ragione, la necessità del contraddittorio è da ritenersi ineludibile allorché la decisione abbia per oggetto la responsabilità dell’imputato, la qualificazione giuridica del fatto ed ogni altra questione di merito. Ed appare difficile sostenere che, laddove si assuma con specifica norma ad hoc che la difesa debba proporre con specifica istanza la trattazione orale e che la Corte di merito neanche prende in considerazione detta istanza, il contraddittorio possa non ritenersi vulnerato.
È consolidato e condiviso l'orientamento della Suprema Corte richiamato nella sentenza in commento secondo cui "[…]la nozione di "intervento dell'imputato" non può essere (...) restrittivamente intesa nel senso di mera presenza fisica dell'imputato nel procedimento, ma come partecipazione attiva e cosciente del reale protagonista della vicenda processuale, al quale deve garantirsi l'effettivo esercizio dei diritti e delle facoltà di cui lo stesso è titolare[…]" (Cass. Sez. I sentenza n. 4242 del 20/06/1997 dep. 18/07/1997 Rv. 208597). Tale principio affermato dal giudice di legittimità con riferimento all'interrogatorio di garanzia, vale in termini generali, e ben può correlarsi alla partecipazione del difensore alla discussione orale.
D'altronde, la Suprema Corte di Cassazione ha anche affermato proprio in tema di disciplina emergenziale che "[…]in tema di procedimenti innanzi alla Corte di Cassazione regolati dagli artt. 127 e 614 cod. proc. pen., nel vigore della disciplina emergenziale relativa alla pandemia da Covid-19, di cui all'art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, deve essere adottata la forma ordinaria di trattazione quando, nel caso di più ricorsi proposti avverso lo stesso provvedimento, l'istanza di trattazione orale sia stata formulata tempestivamente anche da una sola delle parti legittimate[…]". (Sez. I sentenza n. 8863 del 18/11/2020 dep. 04/03/2021 Rv. 280605) Se ciò vale davanti al Giudice di legittimità e con istanza di trattazione orale proposta soltanto da taluna delle parti, deve a fortiori valere nel giudizio di appello, quando - come è nella specie - l'imputato sia uno soltanto.
Va altresì ricordato che "[…]nel procedimento di appello, nel vigore della disciplina emergenziale pandemica, la mancata comunicazione in via telematica delle conclusioni del pubblico ministero alla difesa dell'imputato, prevista dall'art. 23-bis, comma 2, del d.l. 28 ottobre 2020 n. 137, convertito in legge 18 dicembre 2020 n. 176, integra un'ipotesi di nullità generale a regime intermedio ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. […]"(Cass. Sez. 5 sentenza n. 20885 del 28/04/2021 dep. 26/05/2021 Rv. 281152). Nella motivazione richiamata la Corte ha spiegato che "[…]in funzione del carattere "cartolare" del giudizio, (...) la nozione di intervento dell'imputato non può essere intesa restrittivamente nel senso di presenza fisica, ma come partecipazione attiva e cosciente, con garanzia effettiva dei diritti e facoltà di cui è titolare[…]".
In conclusione, nonostante le restrizioni da pandemia il diritto di difesa deve essere posto nelle condizioni di dispiegarsi per intero, soprattutto quando il titolare, attraverso il difensore, lo sollecita con specifica istanza di trattazione orale.
(*) Albertina Pepe: Avvocato iscritta all'albo degli avvocati di Roma e Patrocinante in Cassazione. Laureata presso l’Università degli studi di Salerno con tesi in Procedura Penale sui riti alternativi dal titolo: il giudizio abbreviato e la Legge “Carotti” n 479/1999. É altresì componente della commissione di Procedura Penale e Difese d'Ufficio presso il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma (link) e componente della rivista CENTOUNDICI della Camera Penale di Roma (link)