Ci pare opportuno dare conto della ordinanza n. 9231
della III sezione civile (ordinanza al link), resa il 22.03. ultimo scorso, per il suo rilievo, anche per i processualpenalisti.
La pronuncia offre poi l'occasione per qualche spunto
di riflessione non esclusivamente giudiziario.
Giova anzitutto
ricostruire il fatto da cui è scaturita la vicenda sub iudice.
Nella procedura
esecutiva n. 4/2012, pendente innanzi al Tribunale di Lanciano, una
società si aggiudicava, mercè la vendita senza incanto del 19/6/2015, un
compendio immobiliare per il prezzo di Euro 450.000,00,
versando tempestivamente il saldo del prezzo.
Tuttavia, a seguito di un aggiornamento della documentazione ipotecaria, emergeva che
nei registri immobiliari era stato trascritto successivamente al
pignoramento, un sequestro preventivo penale ex art. 321 c.p.p.. Di detto sequestro non
era stata data notizia nè nell'elaborato peritale, nè nell'avviso di vendita.
L'aggiudicatario chiedeva allora di revocare l'aggiudicazione, all'evidenza
temendo, anche in correlazione alla giurisprudenza vigente, la prevalenza del
provvedimento penale, e di ottenere la restituzione delle somme versate a
titolo di prezzo.
Il giudice dell'esecuzione accoglieva tale istanza <<con
ordinanza del 28/10/2015, provvedimento col quale - stante la
necessità di attendere l'esito del procedimento penale (potenzialmente idoneo a
sfociare in confisca dell'immobile e, conseguentemente, nell'improseguibilità
del processo esecutivo) - revocava l'aggiudicazione, sospendeva la procedura
espropriativa e disponeva la restituzione all'aggiudicataria delle somme
versate>>.
Tuttavia la banca creditrice formulava opposizione con ricorso del 16/11/2015.
Il Tribunale di Lanciano - con la sentenza n. 111 del 19/4/2019 - accoglieva
l'opposizione e annullava il provvedimento del giudice dell'esecuzione.
La società aggiudicataria adiva la Corte di cassazione, la banca resisteva
con controricorso.
Col primo motivo di ricorso la ricorrente deduceva <<la violazione
e falsa applicazione "dei principi giurisprudenziali in
subiecta materia" e dell'art. 2915 c.c >>. In altri termini si lamentava
che il Tribunale avesse accolto l'opposizione <<esclusivamente
argomentando sull'ordo temporalis delle formalità pubblicitarie, in
base al quale il sequestro, trascritto successivamente al pignoramento, non può
costituire gravame pregiudizievole per l'aggiudicataria>>.
Diversamente la ricorrente rappresentava che per la giurisprudenza di legittimità il
sequestro penale determina, dapprima, la quiescenza e, poi, l'improseguibilità
del processo esecutivo in caso di accoglimento della richiesta di confisca,
giacché <<le esigenze pubblicistiche sottese al sequestro penale comportano comunque la
sua prevalenza sul pignoramento anteriormente trascritto>> (cfr. Cass.,
Sez. III civ. n. 30990 del 30.11.2018).
Col secondo motivo, la ricorrente denunciava <<l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio
che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dall'omessa indicazione del
sequestro penale negli atti della procedura esecutiva>>.
Il gravame veniva dichiarato inammissibile per inosservanza dei requisiti di contenuto-forma prescritti dall'art.
366 c.p.c.
E ciò giacché <<la ricorrente ha mancato di illustrare la
motivazione della sentenza del Tribunale di Lanciano, di cui è riportato
soltanto il dispositivo, elemento di per sé insufficiente a comprendere il
percorso logico rispetto al quale sono state svolte le censure. In secondo
luogo, non sono stati trascritti nel ricorso gli atti della procedura che la
ricorrente, col secondo motivo, assume essere stati trascurati dal giudice di
merito>>.
Ma quella che per la Corte integra la lacuna più grave è il generico
riferimento al tipo di sequestro trascritto, non essendo all'uopo sufficiente
il richiamo all'art. 321 c.p.p.
Si noti al riguardo che, nel ragionamento della Corte, l'omissione assume
particolare rilevanza perché, secondo la più recente giurisprudenza la disciplina prevista
dal Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione <<è
applicabile esclusivamente alle ipotesi di confisca ivi previste o da norme che
esplicitamente vi rinviano (come l'art. 104 bis disp. att. c.p.p.), con
conseguente prevalenza dell'istituto penalistico sui diritti reali dei terzi
che, solo se di buona fede, possono vedere tutelate le loro ragioni in sede di
procedimento di prevenzione o di esecuzione penale; viceversa, la predetta
disciplina non è suscettibile di applicazione analogica a tipologie di
confisca diverse, per le quali, nei rapporti con le procedure esecutive civili,
vige il principio generale della successione temporale delle formalità nei
pubblici registri, sicché, ai sensi dell'art. 2915 c.c., l'opponibilità del vincolo penale
al terzo acquirente in executivis dipende dalla trascrizione del
sequestro che, se successiva all'acquisto, impedisce la posteriore
confisca del bene acquisito dal terzo pleno iure>> (Cass. sez.
III civ. n. 28242 del 10.12.2020).
Nondimeno la Corte ha dato conto che antecedentemente al citato arresto del
2020, <<le interferenze tra il sequestro penale e le procedure
esecutive pendenti sono state oggetto di un orientamento non univoco>>.
Vi è invero che proprio la III sezione civile della medesima Corte aveva
statuito che <<in ragione della ritenuta prevalenza delle esigenze pubblicistiche penali
insite nel procedimento volto alla misura di sicurezza patrimoniale, si era
statuito che la garanzia reale, anche se precedentemente iscritta, CEDE SEMPRE
di fronte al sequestro e alla confisca, eccettuato il solo caso in cui il
trasferimento del bene pignorato sia intervenuto anteriormente alla confisca >> (Cass.
sez. 3 civ. 22814 del 7.10.2013).
Il citato indirizzo è stato successivamente confermato, con alcune
precisazioni. Infatti, pur rilevandosi che gli effetti della confisca penale,
di qualunque natura, del bene prevalgono sui diritti dei terzi (nella specie, i
creditori aventi diritti reali di garanzia iscritti anteriormente), si è
precisato che ciò trova un limite nell'intervenuto provvedimento di aggiudicazione
in favore di un terzo, in sede di esecuzione forzata prima della confisca
(Cass. sez. III civ. n. 30990 del 30.11.2018).
Diversamente la giurisprudenza penale aveva già affermato che, tenendo
conto del disposto dell'art. 2915 c.c., l'opponibilità del vincolo penale
al terzo acquirente dipende dalla trascrizione del sequestro antecedente al
pignoramento immobiliare (Cass. pen., Sez. 3, Sentenza n. 51043 del
3/10-9/11/2018).
Con specifico riguardo al legittimo affidamento dell'aggiudicatario di un
immobile poi confiscato un’ulteriore pronuncia giurisprudenza civile ha
considerato che l'interesse dello Stato al sequestro penale o alla confisca ex L.575/1965, che già disciplinava
le misure di prevenzione, è sempre recessivo rispetto a quello del terzo
che si sia reso aggiudicatario del bene (Cass. III sez. civ 3709 del 2019).
Tuttavia secondo l'ordinanza che si annota soltanto con la decisione di
Cass. sez. III civ. n. 28242 del 10.12.2020 <<l'ordo
temporalis delle formalità pubblicitarie è stato riconosciuto quale
regola generale per disciplinare l'interferenza tra l'acquisto in
executivis e le misure di prevenzione patrimoniale>>. Dunque
la confisca può pregiudicare l'acquisto solo se il sequestro è stato trascritto
in data antecedente al pignoramento immobiliare.
Il suddetto principio trova una rilevante eccezione nel c.d. Codice
antimafia (D.Lgs. n. 159 del 2011) per il quale l'istituto penalistico
prevale sui diritti reali dei terzi e il processo esecutivo pendente diviene
automaticamente improseguibile (seppur temporaneamente) sin dal momento della
trascrizione del sequestro - e nelle ulteriori ipotesi che a tale disciplina
rinviano (art. 104-bis disp. att. c.p.p.).
Così ricostruita l'evoluzione giurisprudenziale in subiecta materia,
per la Corte i giudici circondariali di Lanciano <<hanno fondato la
propria decisione proprio sulla predetta regola generale (l'ordo temporalis
delle formalità pubblicitarie), statuendo che il sequestro penale, trascritto
successivamente al pignoramento, non poteva costituire gravame pregiudizievole
per l'aggiudicataria>>.
Se questo è il principio cui fare riferimento, ben si coglie- almeno
apparentemente- perché i giudici nomofilattici hanno ritenuto gravemente
viziato il ricorso che non abbia specificato le ragioni per le quali nel caso
di specie non si applicavano le regole generali, ma quelle ex art. 55 D.Lgs.
159/2011 (eventualmente anche tramite rinvio, ex art. 104 bis d. att.
c.p.p.).
All'esito del giudizio, la Corte ha disposto <<la compensazione delle spese del giudizio di legittimità, in quanto l'orientamento giurisprudenziale sopra descritto (e rilevante ai fini della completezza del ricorso introduttivo) si è formato soltanto in epoca successiva al deposito del ricorso per cassazione>>. Tuttavia ai sensi DPR 115/2002, art.13 comma 1 quater la ricorrente è chiamata al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis qualora dovuto.
La pronuncia appare meritoria, posto che cerca di ribadire il ragionevole principio di cui all’art. 2915 c.c., fondato sul chiaro riferimento all’ordo temporalis delle formalità pubblicitarie. Si tratta infatti di formalità accessibili e facilmente comprensibili.
Tuttavia se ci si pone nell’ottica della società ricorrente è intuibile il contorno kafkiano della vicenda.
Nel 2015 la società ricorrente si rende
aggiudicataria di un bene per 450.000 euro, pagando tempestivamente l’importo
indicato. Facile desumere l’importanza dell’investimento per la società, non
soltanto in termini economici, ma probabilmente anche strategici.
Nondimeno quel bene era già oggetto di un
sequestro penale non menzionato nell’elaborato peritale, né nell’avviso di
vendita, ma che se conosciuto avrebbe
probabilmente indotto a diverse scelte imprenditoriali, almeno in termini di spesa.
Verosimilmente la società a fonte del
mutato scenario, si sarà rivolta ad un legale che avrà cercato di districarsi in
un quadro giurisprudenziale tutt’altro che univoco e comunque orientato a riconoscere
la prevalenza della misura penale.
A quel punto l’aggiudicataria,
a fronte del chiaro rischio di perdere l’immobile comprato per le sue esigenze
imprenditoriali, ha tentato di svincolarsi dall’acquisto e in un primo tempo riusciva
a ottenere ragione.
La banca creditrice che su
quegli importi contava evidentemente di ottenere il soddisfo, ancorchè parziale delle sue pretese, ha
interposto opposizione nel novembre 2015 e la decisione è
giunta nell’aprile 2019. Si noti a
beneficio di chi imputa le lungaggini processuali alle dilazioni frapposte dalle
parti private che in questo caso non pare davvero che alcuno potesse avere
interesse a portarla per le lunghe.
Il ricorrente ha proposto un ricorso
fondato sulla giurisprudenza dell’epoca, la Corte di legittimità ha dichiarato in
questi giorni l’impugnazione inammissibile adducendo a ragione principale un arresto
giurisprudenziale sopravvenuto rispetto a quello sulla cui scorta si è redatto
il ricorso e ha dato carico all’aggiudicatario di versare
nuovamente il contributo unificato, già pagato.
Strumento evidentemente pensato per scoraggiare ricorsi pretestuosi, lì dove
pacificamente non doveva ritenersi tale quello di cui si discute.
La società nel frattempo per sette anni è rimasta aggiudicataria
di una res litigiosa, che si spera
abbia avuto una qualche utilità per l’azienda.
E’ accettabile tutto ciò?