Con la sentenza che si annota (sentenza al link), la II sezione della Suprema corte ha ribadito la natura di misura di sicurezza della confisca c.d. allargata, sì confermandone l'applicabilità anche per gli illeciti realizzati prima della loro inserzione tra i c.d. reati "spia" ex art. 240 bis c.p..
Tuttavia nel caso de quo la Corte, smentendo alcuni suoi precedenti arresti, ha affermato che il superiore principio riguarda anche la dimensione probatoria dell'istituto della confisca allargata. Più esattamente la Corte nomofilattica ha ritenuto che, sebbene la possibilità di addurre i redditi da evasione, quale causa giustificativa di acquisti sproporzionati al reddito dichiarato, sia venuta meno soltanto con la L. 161/2017, il divieto probatorio sussiste anche nei processi che abbiano ad oggetto acquisti antecedenti alla legge de qua.
Al di là della sua rilevanza per il mutamento di indirizzo sopra indicato, la pronuncia induce alcune riflessioni.
Vi è invero che i ricorrenti avevano già richiamato in sede di riesame l'arresto di legittimità poi smentito dalla Corte.
Nondimeno il Tribunale del riesame aveva del tutto pretermesso il tema sollevato dagli interessati, i quali proponevano ricorso di legittimità.
La Corte regolatrice ha testualmente affermato che <<l'importanza del tema è di tutta evidenza>>, nondimeno la lacuna motivazionale risulta irrilevante perché la possibilità di estendere retroattivamente il diverso regime probatorio è mera questione di diritto e la soluzione da dare alle questioni di diritto non attiene al contesto della giustificazione.
All'esito del giudizio la corte ha rigettato i ricorsi, condannando gli interessati alle spese.
Ora v'è da chiedersi se a fronte di una questione fondata su svariate pronunce di legittimità, la cui importanza è di tutta evidenza, sollevata dalla difesa e non vagliata dai Giudici territoriali, la Corte di cassazione, nel rigettare il ricorso, non dovrebbe davvero escludere ogni colpa dell'interessato e astenersi dal pronunciare la condanna alle spese.