20 novembre 2020

Breve rassegna cursoria dei principi sedimentati in tema di infortunio sul lavoro subito da socio lavoratore di cooperativa e precisazioni in tema di c.d. causalità della colpa - di Francesco Crimi (*)

Siamo onorari di pubblicare il commento  del prof. avv. Francesco Crimi, amico di lunga data della Camera Penale di Trapani e del Lapec e Giusto processo di Trapani [in calce potrete comprendere le ragioni dell'amicizia].


di Francesco Crimi (*)


La recente sentenza di legittimità che offre alimento al presente contributo si caratterizza per la presenza di numerosi e importanti chiarimenti in materia di responsabilità penale a seguito di infortunio sul lavoro subito dal socio lavoratore di una società cooperativa.

Si chiarisce anzitutto che in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro, i soci lavoratori delle cooperative sono equiparati ai lavoratori subordinati.

Si ribadisce, poi, che la definizione di "datore di lavoro", riferendosi a chi ha la responsabilità della impresa o dell'unità produttiva, ricomprende anche il legale rappresentante di un'impresa cooperativa; con l’ovvio corollario secondo cui il presidente e legale rappresentante di una cooperativa di lavoro deve essere considerato destinatario delle norme antinfortunistiche quando a questa spetti di eseguire delle opere.

Si afferma, poi, che il datore di lavoro risponde dell'infortunio occorso al lavoratore, in caso di violazione degli obblighi, di portata generale, relativi alla valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali siano chiamati ad operare i dipendenti, e della formazione dei lavoratori in ordine ai rischi connessi alle mansioni, anche in correlazione al luogo in cui le stesse devono essere svolte; e ciò in quanto proprio attraverso l’adempimento di tale obbligo il datore di lavoro rende edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti. Ove egli non adempia a tale fondamentale obbligo, sarà chiamato a rispondere dell'infortunio occorso al lavoratore, laddove l'omessa formazione possa dirsi causalmente legata alla verificazione dell’evento.

Tali precipitati decisori, che si muovono nel solco di un sedimentato orientamento giurisprudenziale, sono stati calati nello stampo della vicenda concreta sottoposta al sindacato della Corte di cassazione e che ai fini del presente contributo si delinea con riferimento ai dati empirico-fattuali più rilevanti: il Tribunale di Alessandria, all'esito di giudizio abbreviato, aveva condannato l’imputato Tizio - concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante e operata la diminuente per il rito speciale eletto - alla pena di mesi 10 di reclusione, concedendo il beneficio della sospensione condizionale della pena, dichiarandolo responsabile del reato di omicidio colposo aggravato e di cui all’art. 589, commi 1 e 2, cod. pen. perché, nella qualità di Presidente della società cooperativa a responsabilità limitata X, cagionava per colpa il decesso di Caio, socio lavoratore della cooperativa addetto all'abbattimento degli alberi, a seguito di acuta insufficienza cardio-circolatoria conseguente a shock emorragico secondario a dissezione dell'aorta toracica discendente e lacerazione della vena cava superiore in soggetto con gravi lesioni traumatiche toraco-addominali.

Nello specifico Caio, unitamente al figlio, era intento ad abbattere alcuni pioppi sul terreno di proprietà del committente; dopo aver proceduto a realizzare la c.d. "tacca di direzione" alla base dell'albero per determinarne appunto la direzione di caduta ed aver ultimato il taglio di abbattimento, la pianta cadendo urtava con i rami l'albero vicino e andando a colpire con la base del tronco il torace di Caio cagionava allo stesso gravi lesioni a seguito delle quali il lavoratore decedeva.  

Quanto ai parametri cautelari illuminanti la condotta omissiva antidoverosa  contestata all’imputato i giudici del merito rinvenivano la colpa specifica nella violazione di plurime norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e in particolare:

- d.lgs. art. 28, comma 2, lett. b), per aver omesso di indicare nel documento di valutazione dei rischi lavorativi le idonee misure di prevenzione e protezione attuate in relazione alla mansione di operaio addetto all'abbattimento piante;

- d.lgs. n. 81 del 2008, art. 28, comma 2, lett. d), per aver omesso di individuare nel documento di valutazione dei rischi lavorativi le procedure per l'attuazione delle idonee misure di prevenzione e protezione da realizzare in relazione alle lavorazioni di abbattimento piante;

- d.lgs. n. 81 del 2008, art. 37, comma 1, per non aver fornito al lavoratore Caio le necessarie informazioni e la adeguata formazione in merito ai rischi e alle procedure da adottare relativamente alla mansione di operaio addetto all'abbattimento piante.

Avverso la sentenza della Corte distrettuale l’imputato ha avanzato, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione, affidandolo a due motivi di censura, tra cui, per quanto interessa ai fini del presente contributo, sulla omessa motivazione del giudice a quo in ordine alla contestazione di insussistenza in concreto della causalità della colpa.

La difesa del ricorrente riteneva che, non essendo l’imputato mai stato messo a conoscenza del tipo di lavoro che il socio lavoratore aveva deciso di effettuare autonomamente, con propria attrezzatura e sulla base degli accordi intercorsi direttamente con il committente, il datore di lavoro e imputato Tizio non sarebbe stato messo nelle condizioni di far precedere il lavoro dalla relativa valutazione del rischio con riferimento alla singola lavorazione; con l’ovvio corollario che non poteva essere addebitata al ricorrente la violazione di una regolare cautelare in relazione ad una modalità operativa attuata autonomamente dal lavoratore e al datore di lavoro, dunque, totalmente ignota.

Per il vero la Suprema Corte di cassazione nel ritenere il motivo infondato e inconferente la denunciata insussistenza del requisito strutturale c.d. della causalità della colpa, coglie l’occasione per riaffrontare tale delicata tematica in materia di imputazione colposa dell’evento naturalistico nell’ambito delle attività a rischio di base consentito, vale a dire di quelle attività che pur rischiose risultano giuridicamente autorizzate in quanto socialmente utili. 

Sul punto si evidenzia come in tema di responsabilità colposa non qualsiasi evento riconducibile causalmente alla condotta trasgressiva dell’agente possa essergli imputato, ma solo quello evitabile con la condotta non trasgressiva. 

Ai fini della imputazione colposa, infatti, occorre accertare, oltre al nesso di causalità materiale, altresì la c.d. causalità della colpa, vale a dire la sussumibilità dell'evento determinato dalla condotta trasgressiva di una regola cautelare nel novero di quegli eventi che la stessa norma mirava a scongiurare.

Ciò in quanto mentre l'accertamento del nesso di causalità materiale ha ad oggetto la mera concatenazione causale e naturalistica degli accadimenti e, dunque, la relazione fra la condotta effettivamente tenuta e l'evento verificatosi; per contro la causalità della colpa opera su un differente piano, quello normativo, dal momento che occorre non già domandarsi come le cose sono andate ma come sarebbero potute andare ove il soggetto avesse posto in essere la condotta doverosa omessa e osservante la regola cautelare, vale a dire quale sia la sua effettiva efficacia impeditiva dell’evento (sul punto, in dottrina si rinvia agli autorevoli contributi di F. VIGANÒ, Riflessioni sulla c.d. "causalità omissiva" in materia di responsabilità medica, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, p. 1697; P. VENEZIANI, Causalità della colpa e comportamento alternativo lecito, in Cass. pen., 2013, p. 1225; I. GIUGNI, Causalità della colpa e circolazione stradale tra prassi applicative e dubbi irrisolti, in Dir. pen. cont., fasc. 1/2017).

Il rimprovero colposo, in altri termini, deve tenere conto della specifica finalizzazione preventiva della norma cautelare, nel senso che in tanto potrà operare un tale rimprovero in quanto si accerti che la realizzazione di un fatto di reato poteva essere evitato mediante l'esigibile osservanza delle norme cautelari violate. Non risulta, dunque, sufficiente che il risultato offensivo tipico si sia prodotto come conseguenza meramente naturalistica di una condotta inosservante di una determinata regola cautelare, occorrendo altresì che il risultato offensivo corrisponda proprio a quel pericolo che la regola cautelare violata intendeva fronteggiare. Occorre, cioè, che il rischio che la norma cautelare intendeva schermare si sia effettivamente realizzato nel concreto prodursi dell’evento della cui imputazione si discute.

In conclusione, l’inosservanza di una specifica regola cautelare non comporta l’imputazione di tutti gli eventi cagionati in concreto, ma solo di quelli del tipo che la norma mira a prevenire; sempre che sussista l’effettiva evitabilità dell’evento cagionato ove l’agente avesse osservato le regole cautelari.   

Nel caso sottoposto all’esame del Giudice di legittimità è stata confermata l’affermazione di penale responsabilità dell’imputato poiché l'obbligo di curare la redazione del piano di sicurezza e l'aggiornamento dello stesso, così come quello di formazione ed informazione del lavoratore, che incombe sul datore di lavoro, ha proprio il fine precipuo di preservare la sicurezza dei luoghi di lavoro e delle operazioni che in concreto si vanno a compiere.      

Ed in effetti, sul piano della causalità della colpa è emerso dal compendio probatorio in atti che la posizione di lavoro dell'infortunato Caio era precaria a causa della pendenza del terreno, della presenza di bassa vegetazione che ostacolava i movimenti, della prossimità della roggia che garantiva all'abbattitore poco spazio tra l'albero da abbattere e l'acqua corrente e quindi una via di allontanamento piuttosto precaria. Ora, dal momento che costituisce buona norma nei lavori di abbattimento pre-valutare la via di allontanamento dell'abbattitore dal luogo di taglio in quanto non è infrequente che il fusto cada in modo non previsto e colpisca l’operatore, certamente una corretta predisposizione del documento di valutazione dei rischi connessi all’attività di abbattimento delle piante e del luogo in cui tale mansione doveva compiersi e la corretta informazione nonché l’adeguata formazione del lavoratore avrebbero consentito di impedire l’evento lesivo verificatosi hic et nunc e che rientra nella finalizzazione preventiva di tali presidi cautelari. 

Logico è stato ritenuto, pertanto, dalla Suprema Corte di cassazione, l’iter motivazionale attraverso il quale il giudice di primo grado così come il giudice a quo sono pervenuti alla affermazione di penale responsabilità anche con riferimento alla sussistenza in concreto del requisito di causalità della colpa che il ricorrente lamenta essere stata trascurata; secondo tale doppia conforme, infatti, l'infortunio sarebbe avvenuto, in primis et ante omnia, proprio in conseguenza di una non corretta analisi dei rischi connessi all'esercizio della rischiosa attività di abbattimento delle piante e di una non corretta formazione del lavoratore, che svolgeva funzioni di capo squadra ed era incaricato del taglio degli alberi e non ha operato in sicurezza. E dal momento che la condotta alternativa lecita avrebbe evitato la verificazione dell’evento che i presidi cautelari indicati miravano a prevenire risulta certamente integrato nel caso concreto il c.d. momento oggettivo della colpa.

Da ultimo la Corte di legittimità ha dato condivisibilmente conto del fatto che l'attività lavorativa svolta dal socio lavoratore Caio veniva prestata alle dipendenze della società cooperativa e che tale attività non solo era svolta nell'ambito di un regolare contratto per il taglio degli alberi, attività abitualmente svolta dalla società cooperativa, ma a differenza di quanto sostenuto dalla difesa non poteva presumersi un autonomo rapporto di prestazione lavorativa svolto dalla vittima in favore del committente; sul punto considerando, altresì, che non appare certamente strano che il socio lavoratore Caio contrattasse direttamente una diversa modalità di compenso, che sarebbe comunque stato riscosso dalla società cooperativa che si occupava di tutte le incombenze amministrative.

In ragione di tutto quanto esposto anche a parere del Giudice della Nomofilachia nel caso concreto hanno trovato quartiere gli obblighi cautelari specifici sopra riportati e correttamente al datore di lavoro è stato imputato a titolo di colpa specifica l'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell'espletamento delle proprie mansioni, ha posto in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza dei detti obblighi informativi e formativi.  



(*) Francesco Crimi, è Avvocato del Foro di Torino e Professore a.c. di Diritto Penale e Penitenziario presso l'Università degli Studi di Torino-Dipartimento di Cultura, Politiche e Società-CdL in Servizio Sociale-a.a. 2020/2021.

Professore per nomina diretta di Diritto Penale presso Scuola Universitaria Interdipartimentale di Scienze Strategiche-S.U.I.S.S.-Università di Torino-CdL in Consulente Legale del Comandante dell'Esercito Italiano-a.a. 2020/2021.

Graduate in copyright (Distance learning program in Copyrightx - HarvardX and Berkman Klein Center for Internet and Society) at Harvard Law School - Cambridge (Massachussets -U.S.A.).

Dottore di Ricerca in Scienze Giuridiche-Diritto Penale Italiano e Comparato-Università degli Studi di Torino-Dipartimento di Scienze Giuridiche.

Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana nominato su proposta del Presidente del Consiglio del Ministri con d.p.r. 13/01/2017 (in G.U. n. 107 del 10/05/2017).


Nel 2014 ha vinto il Premio Avvocato Giuseppe Corso, bandito dalla Camera Penale di Trapani e dalla Sezione La.P.E.C. di Trapani “Avv. Giuseppe Corso”, con il patrocinio dell'U.C.P.I. e del La.P.E.C. di Siracusa, al fine di ricordare l’Avvocato Giuseppe Corso e il suo impegno per l’avvocatura.

Il Premio Corso è assegnato ad un Avvocato o Praticante Avvocato abilitato al patrocinio, iscritto ad un Ordine professionale nazionale, autore di uno scritto difensivo depositato in un procedimento penale nel quale abbia patrocinato (anche quale sostituto processuale) e che, alla data del bando, non abbia superato i 49 anni d'età.

Questa la motivazione del premio della commissione aggiudicatrice, composta dai signori avvocati Marco Siragusa, Michele Cavarretta, Giovanni Liotti, Vito Galluffo, Ezio Menzione, dalla professoressa Caterina Scaccianoce e dalla dottoressa Alessandra Camassa: <<L'atto predisposto dall'avvocato Francesco Crimi si caratterizza per la pregevole novità del tema trattato. La memoria difensiva ex art. 121 c.p.p. presenta una sapiente esposizione dei temi affrontati sia in relazione alla sussistenza del reato che agli aspetti oggettivo e soggettivo della fattispecie. La valutazione tiene conto dei requisiti concorsuali di rigore nella trattazione delle questioni giuridiche, dello stile, dell'efficacia delle argomentazioni e della novità del tema. Lo svolgimento consegue un risultato di particolare efficacia persuasiva>>.


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