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12 maggio 2021

La Riforma del Processo penale - 10.2 Procedibilità e contravvenzioni- Le risposte del pubblico ministero, Silvia Siracusa (*)

Per la rubrica "La Riforma del Processo Penale", ora nella partizione "Il processo che verrà" del nostro blog, ospitiamo l'intervento sul progetto di riforma del giudizio monocratico con quattro domande al Pubblico Ministero, Silvia Siracusa.
Il piano completo dell'opera è consultabile sulla pagina dedicata di questo blog (link).
Il progetto di legge per la “DELEGA AL GOVERNO PER LA MODIFICA DEL CODICE DI PROCEDURA PENALE, DEL CODICE PENALE E DELLA COLLEGATA LEGISLAZIONE SPECIALE E PER LA REVISIONE DEL REGIME SANZIONATORIO DELLE CONTRAVVENZIONI”, è all’esame, in sede referente, della Commissione Giustizia della Camera dei deputati, che ha anche svolto numerose audizioni inerenti il testo della riforma.




 

1. L’art. 8 del disegno di legge introduce la procedibilità a querela per il reato di lesioni stradali gravi, condivide questa riforma e se sì non le pare un’occasione mancata per estendere a molti altri reati tale condizione di procedibilità? 

 Posto che la ratio della legge n.41 del 2016 - delineando nell’art. 590 bis c.p. non già forme circostanziate dell’illecito di cui all’art. 590 c.p. bensì un autonomo delitto di lesioni personali stradali, gravi (cioè con un riconoscimento di prognosi superiore a gg. 40) o gravissime, perseguibile d’ufficio sia nell’ipotesi base di cui al comma 1, caratterizzata dalla generica violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, sia nelle ipotesi aggravate di cui ai commi successivi - è stata indubbiamente quella di inasprire il trattamento sanzionatorio per questa tipologia di reati ritenuti di particolare allarme sociale, prima di esprimere la mia opinione su ciò che mi viene richiesto, ritengo opportuno operare un distinguo a mio avviso indispensabile.

L’ipotesi base è certamente connotata da un minore disvalore della condotta e del grado della colpa rispetto a quelli delle più gravi ipotesi di cui ai commi successivi, caratterizzate dalla consapevole assunzione di rischi irragionevoli; basta considerare che, nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di lesioni colpose provocate con totale esclusione della volontarietà dell’evento da parte dell’autore della condotta.

Il primo comma racchiude, inoltre, diverse fattispecie in cui il soggetto attivo non deve essere necessariamente il conducente di un veicolo a motore (si pensi a chi guida una bicicletta o altro analogo mezzo di trasporto) e che hanno come presupposto la violazione di una qualsiasi norma del codice della strada diversa da quelle contemplate nei commi successivi.

Anche la Corte Costituzionale pur non ritenendo fondate le diverse questioni di legittimità sollevate con riferimento al regime della procedibilità dell’art. 590 bis c.p. - ha comunque ritenuto auspicabile un intervento finalizzato a rendere procedibile a querela tutte le ipotesi contemplate nell’articolo in oggetto con la sola esclusione di quelle di cui al comma 2. I giudici delle leggi hanno infatti posto l’accento sul profilo di un’evidente disparità di trattamento tra il reato di lesioni stradali, procedibile d’ufficio da marzo del 2016, e quello di lesioni in ambito sanitario laddove, anche se più gravi o maggiormente incisive nella sfera della salute dell’individuo, sono comunque procedibili a querela di parte; siffatto differente regime di procedibilità è ancora meno plausibile se si considera che la responsabilità in ambito sanitario è stata oggetto di numerosi interventi legislativi che comunque non hanno inciso sulla procedibilità.    

Fatta questa doverosa premessa, ritengo di condividere la proposta - inserita nel progetto di legge attualmente all’esame della Commissione giustizia della Camera - di modificare la norma penale riconducendo nell’alveo della procedibilità a querela di parte anche il reato di lesioni colpose gravi commesse in ambito stradale mantenendo l’esclusione per quelle gravissime e ciò in un‘otticachiaramente deflattiva e di utilizzo dell’espediente penale solo ove voluto.

A mio avviso deve essere dunque ripristinata la possibilità per la persona offesa di azionare un procedimento penale solo dietro presentazione di un atto querelatorio per evitare il paradosso che nonostante una serie di variabili entrate in gioco (quali ad esempio un intervenuto risarcimento del danno cagionato e/o la volontà di rimettere la querela da parte del danneggiato) - che di fatto possono rendere non più necessario e/o opportuno l’esercizio dell’azione penale - il procedimento debba comunque andare avanti.

Certo è anche vero che, allo stato attuale, esistono altri validi strumenti di definizione anticipata e celere nelle ipotesi di conclamata lievità quali l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p.p. - in realtà poco utilizzato almeno nella prassi giudiziaria palermitana - ovvero nei casi meno lievi una richiesta di sospensione per messa alla prova ai sensi dell’art. 168 bis c.p., strumenti questi che consentono una definizione con estinzione al ricorrere di determinati presupposti; tuttavia, ripristinando la procedibilità a querela di parte nell’ipotesi di cui all’art. 590 bis c.p.,si verrebbe ad evitare la messa in moto del meccanismo procedimentale penale con evidente dispendio di energie e di tempo.

Analogamente ritengo sarebbe stato opportuno estendere siffatta modifica legislativa anche ad altre fattispecie di reato perseguibili d’ufficio come ad esempio quei reati contravvenzionali in cui sia possibile individuare una persona offesa titolare del diritto di proporre querela (quali ad esempio le ipotesi previste dagli artt. 659, 660 e 674 c.p.) anche se è pur vero che il regime di procedibilità d'ufficio è il connotato comune a tutte le contravvenzioni laddove soltanto per i delitti è possibile distinguere il regime di procedibilità a querela da quello d'ufficio in ragione dell'incidenza su interessi disponibili o meno. La stessa Corte Costituzionale - pur concludendo per la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento al regime di procedibilità dell’art. 660 c.p. - non ha mancato di rilevare come possa apparire inattuale ricomprendere nella contravvenzione in esame le molestie perpetrate col mezzo del telefono nei confronti di soggetti determinati, i cui effetti sovente restano in una sfera privata, segnalando incidentalmente l'opportunità di un intervento legislativo in materia.

Per quanto attiene invece ai delitti, il decreto legislativo n. 36/2018 (“Disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 16, lettera a) e b), e 17, della legge 23 giugno 2017, n.103”) ha già operato una trasformazione di taluni reati procedibili d’ufficio in reati a querela; nello specifico, sono state colpite da tale modifica quelle fattispecie criminose che si caratterizzano per il valore privato dell’offesa o per il suo modesto valore offensivo e, dunque, di minore allarme sociale (a titolo esemplificativo i reati contro la persona che sono puniti con la sola pena pecuniaria o detentiva, non superiore ai 4 anni). Per le altre tipologie di reato di particolare allarme sociale invece mi sembra corretto ed opportuno mantenere l’attuale regime di procedibilità d’ufficio.


 

2. Il medesimo articolo prevede la remissione tacita della querela in caso di ingiustificata omessa comparizione a dibattimento della persona offesa citata a testimoniare. Quale il suo giudizio al riguardo? 


Condivido pienamente questa previsione rappresentando che peraltro è già una prassi consolidata presso il Tribunale di Palermo procedere in tal senso limitatamente ai reati contro il patrimonio (nella specie truffa ed appropriazione indebita) e con lo specifico avvertimento che l’eventuale assenza della persona offesa regolarmente citata senza addurre un legittimo impedimento viene valutata dal giudicante quale remissione tacita della querela.

Ritengo che l’assenza ingiustificata in dibattimento di una persona offesa - che a suo tempo ha deciso di azionare un procedimento penale per far valere i suoi diritti ed ottenere, se del caso, anche un ristoro dei danni - debba essere considerata quale comportamento concludente di una sopravvenuta volontà di non volere più perseguire penalmente l’autore di quella determinata fattispecie delittuosa commessa in suo danno.

Tutto questo avrebbe un’indubbia valenza deflattiva e andrebbe a beneficio della celerità e dell’economia dibattimentale in ossequio al principio della ragionevole durata del processo consacrata, come noto, dall’art. 111, comma 2, Cost.

Anche la Suprema Corte, di recente, ha ribadito il principio di diritto secondo cui: “Integra remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale del querelante previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l’eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela”; secondo i giudici di legittimità, dunque, perché possa essere validamente considerata una tacita remissione della querela è indispensabile che il querelante sia stato preventivamente avvisato delle conseguenze giuridiche del comportamento omissivo e benché siffatto avvertimento non sia espressamente previsto in nessuna disposizione normativa rappresenta una prassi non solo del tutto “legittima” bensì persino “auspicabile” al fine di rafforzare le esigenze informative della persona offesa.

Analogamente, qualora il querelato - previamente avvertito dal giudicante in ordine al significato della sua mancata comparizione - non si presenti alla udienza di comparizione si dovrebbe presumere da tale atteggiamento che il predetto non abbia intenzione di ricusare la remissione della querela e che, quindi, intenda “accettare” tale remissione e le relative conseguenze (emissione di sentenza a non doversi procedere per intervenuta estinzione del reato).

Gli avvisi da parte del giudice sono finalizzati, nella sostanza, a far emergere l’eventuale venir meno del “perdurante interesse della persona offesa all’accertamento delle responsabilità penali” e permettono di escludere “sin dalle prime battute lo svolgimento di sterili attività processuali destinate a concludersi comunque con un esito di improcedibilità dell’azione penale o di estinzione del reato”.

 

3. L’art. 9 riduce il criterio di ragguaglio tra le pene detentive e quelle pecuniarie dagli attuali 235 euro al giorno a 180 euro. Non le pare un tasso di conversione troppo alto, se si aspira davvero a “deflazionare, incassando”?

 Si lo ritengo certamente un tasso di conversione troppo elevato, per non dire esoso, come tale inaccessibile alla stragrande maggioranza dei soggetti che si trovano ad affrontare un processo penale in veste di imputato. Ne è prova il fatto che nelle aule giudiziarie palermitane di rado si sceglie di definire la posizione con una conversione della pena detentiva eventualmente da infliggere, sola o congiunta a pena pecuniaria, in quanto siffatto meccanismo risulta assai oneroso e ciò in evidente contrasto con i principi di uguaglianza sostanziale e di finalità rieducativa della pena di cui agli articoli 3 co2 27 co. 3 della CostituzioneSecondo l’originaria previsione, il ricorso alla sostituzione della pena pecuniaria avrebbe dovuto evitare a quei soggetti ritenuti responsabili di reati di modesta gravità di scontare pene detentive troppo brevi per potere impostare un reale percorso riabilitativo ma sufficienti a produrre i gravi effetti di lacerazione del tessuto familiare, sociale e lavorativo scaturenti dall’ingresso in carcere mentre, di fatto, si è trasformato in un privilegio per i soli condannati abbienti.

Lstessa Consulta ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata al riguardo evidenziando come la sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria sia diventata eccessivamente onerosa per molti condannati segnalando, quindi, l'opportunità di revisione degli attuali, farraginosi meccanismi di esecuzione forzata e di conversione in pene limitative della libertà personale “nella consapevolezza che soltanto una disciplina della pena pecuniaria in grado di garantirne una commisurazione da parte del giudice proporzionata tanto alla gravità del reato quanto alle condizioni economiche del reo, e assieme di assicurarne poi l’effettiva riscossione”, possa costituire una seria alternativa alla pena detentiva.

Sarebbe dunque opportuno operare un rinvio non solo all’art. 133 ter (in materia di rateizzazione della pena pecuniaria) ma anche all'art. 133 bis per consentire al giudice di adeguare, nel caso concreto, l’ammontare della pena pecuniaria applicata in sostituzione di quella detentiva alle condizioni economiche effettive del reo, aumentandola o riducendola sino ad un terzo, nel rispetto dei criteri di uguaglianza sostanziale e ragionevolezza, nonché di finalismo rieducativo della pena irrogata.

 

4La successiva disposizione prevede nuove cause estintive delle contravvenzioniCondivide la riforma e se sì non le pare però troppo timida: dalla lettura della lett. a) dell’art. 10 pare che la riforma non interessi le contravvenzioni punite con sola penadetentiva, si escludono le contravvenzioni connesse a delitti (lett. b), e per quest’ultimi non si è minimamente pensato a cause estintive.    

Condivido questo aspetto della riforma che mira ad estinguere, già nella fase delle indagini preliminari, alcune fattispecie contravvenzionali secondo il meccanismo delineato nell’art. 10 lettera a) facendo rilevare che sarebbero interessati da siffatta modifica numerosi reati atteso che la maggior parte sono puniti con ammenda o con pena alternativa residuando poche ipotesi sanzionate con la sola pena detentiva.

L'individuazione di un gruppo di reati contravvenzionali - così come indicato nella successiva lettera b) dell’art. 10 - in relazione ai quali, fermo restando per la polizia giudiziaria l'obbligo di riferire al pubblico ministero la notizia di reato, il procedimento penale rimarràsospeso fino alla scadenza del termine che sarà concesso al contravventore per l'adempimento delle prescrizioni impostegli al fine di elidere le conseguenze dannose o pericolose del reato e per il pagamento di una somma di denaro (con possibilità, in alternativa, della prestazione di lavoro di pubblica utilità), ricalca un modello di estinzione del reato già sperimentato per le contravvenzioni in materia di sicurezza sul lavoro e in materia ambientale. Tale intervento consentirebbe, inoltre, di evitare al reo e al sistema giudiziario la celebrazione di un procedimento penale per reati meno gravi ogniqualvolta l'adempimento delle prescrizioni e il pagamento di una sanzione pecuniaria o la prestazione di lavoro di pubblica utilità garantiscono in tempi rapidi il ripristino dell'ordine giuridico violato dall'illecito e l'eliminazione di ogni conseguenza dannosa, effettiva o potenziale, derivante dallo stesso.

 

 


(*) Silvia Siracusa: Vice Procuratore Onorario in servizio presso la Procura della Repubblica di Palermo dal 2003. Laureata in giurisprudenza con la votazione di 110/110 presso l’Università degli Studi di Palermo, ha conseguito nel 2007 presso l’Università “Lumsa” di Palermo il diploma di Master Universitario di II livello in “Diritto di famiglia e giustizia penale minorile”.