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30 luglio 2021

Processo e riforma: l'intervento del professor Giorgio SPANGHER


Siamo onorati di ospitare il commento del Professor Giorgio Spangher sulla riforma del processo penale, della quale ormai da tempo ci stiamo occupando (link).


La giustizia penale è un fatto complessivo, in cui tutto deve tenersi: ipotesi incriminatrici, provvedimento di accertamento, sistema sanzionatorio.


Il processo è lo strumento con il quale si verifica se un fatto è avvenuto, se è riconducibile ad una ipotesi criminosa, se una persona lo ha o non lo ha commesso, e se è responsabile o no e quale è la sanzione applicabile.


Nell’affrontare il tema della riforma, sia in prospettiva ordinaria (Bonafede) sia in quella europea (Lattanzi e Cartabia), seppur con impostazioni diverse, il primo profilo, quello dell’elefantiasi del carico delle incriminazioni, è cresciuto in modo esponenziale ed in ordine ad esso non ci sono segnali di arretramento.

Conseguentemente, si è scaricato solo sul processo l’onere di affrontare i problemi di efficienza, con il rischio di attenuare le garanzie e prevedere doppi e tripli binari, regole, eccezioni e accezioni delle deroghe, con successione di interventi correttivi ed affestellamenti di previsioni, nonché espandersi dell’intervento giurisprudenziale.

Si è conseguentemente operato sugli altri due strumenti, integrandoli.


Il punto di forza della riforma è costituito dalla modifica del sistema sanzionatorio, facendo della pena pecuniaria e delle sanzioni sostitutive al carcere, l’elemento fondamentale.

Intangibili le entità sanzionatorie delle fattispecie incriminatrici, si sono ipotizzate alcune loro riscritture suscettibili di superare spesso la loro vocazione carcerocentrica.

Questo dato ha permesso di collegare il sistema sanzionatorio ai percorsi processuali ed in particolare alla loro premialità.

In altri termini, la logica del decongestionamento processuale, volano per l’accelerazione dei tempi processuali è stata individuata nelle ipotesi di anticipata exitstrategy che sono risultate notevolmente ampliate sia nel novero, sia nei contenuti, sia nelle soglie di accesso.


In breve sintesi, solo per profili essenziali, sono state così previste:

- ampliamento di prestazioni determinate da un ente accertatore;

- archiviazione meritata sul modello dei reati ambientali e di quelli sulla violazione della disciplina della sicurezza su posti di lavoro;

- le già riferite situazioni di particolare tenuità del fatto e di sospensione e messa alla prova;

- condotte riparatorie;

- sentenza inappellabile di non doversi procedere in caso di assenza dell’imputato;

- ampliamento delle condizioni per l’emissione del decreto penale di condanna;

- abbattimento della metà della pena nel patteggiamento ed esclusione delle ipotesi attualmente escluse;

- spostamento del rito abbreviato condizionato al dibattimento;

- eliminazione delle ipotesi attualmente escluse connesse al concordato in appello. 

 Il quadro è stato completato dalle regole di giudizio (archiviazione e sentenza di non luogo), fattuali e non prognostiche, dalla insussistenza dei presupposti per una condanna, dalla contrazione delle tutela civilistiche, a favore di una prospettiva di tutela della vittima, dalla decisione di improcedibilità in caso di soggetti irreperibili, da criteri di priorità nelle indagini, rendendo più trasparenti le previsioni.


Completano il panorama, teso ad una adesione della difesa alla premialità, la sospensione della prescrizione con la sentenza di primo grado e la ipotizzata tipizzazione dei motivi di appello, oltre al combinato ricorso al rito camerale ed alla cartolarizzazione.
    
La proposta, oltre all’irrisolto tema della prescrizione e dei successivi sviluppi del procedimento di impugnazione, ha ricevuto critiche, palesi ed occulte, fra le quali quelle relative al giudizio di appello, ai criteri di priorità, alla monocraticità del giudizio d’appello del rito monocratico, alle regole di giudizio, solo per segnalare quelle attorno alle quali si è  coagulato il maggio consenso.

Di tutto ciò, per evitare un consolidarsi e sommarsi di riserve e critiche ha tenuto conto il Ministro che doveva anche affrontare il tema – impegnativo, giuridicamente e politicamente – della prescrizione.

Concentrandosi sui riti, la linea emersa, anche in relazione al mutato impianto strutturale, condizionato dalla reintroduzione dell’appello, e della necessità di valutare i tempi processuali in relazione alla sospensione (cessazione) della prescrizione con la sentenza di primo grado, ha finito per indurre il Governo ad una riconsiderazione complessiva delle proposte Lattanzi.

Probabilmente, anche per le resistenze emerse – sotto traccia, come detto - ad una accentuata premialità, si sono ridimensionati gli accessi ai riti speciali, consegnando all’improcedibilità il controllo sui tempi ragionevoli del processo, dopo la cessazione del decorso della prescrizione. 


Così, sono state ridotte le soglie di accesso per la messa alla prova che ha incorporato l’archiviazione meritata, per effetto del riconoscimento al p.m. della possibilità di una iniziativa in tal senso; è ritornato nell’alveo della tradizione l’abbreviato condizionato, non più collocato in limine al dibattimento; non è stata riproposta né la premialità nei limiti della metà, ne l’esclusione delle attuali preclusioni per il rito abbreviato; si sono meglio calibrate le ipotesi di competenza del giudice monocratico.

Sono stati confermati i percorsi estintivi delle indagini preliminari e il concordato in appello senza preclusioni oggettive. Non è stata riproposta la riduzione della presenza degli interessi civili.

Si sono cercati compromessi virtuosi, di cui allo stato è difficile ipotizzare l’esito, soprattutto con riferimento alle new entry della improcedibilità, mentre si può dire che per i riti speciali a contenuto premiale è mancato un po’ di coraggio, ma come si dice, il meglio, a volte, è nemico del bene.