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31 luglio 2021

La Riforma del Processo penale - 6.2 la riforma delle Indagini Preliminari - Le risposte del pm, Maria Bambino (*)

Per la rubrica "La Riforma del Processo Penale", pubblichiamo l'intervento del pubblico ministero Maria Bambino relativo alla sezione "Indagini Preliminari" della riforma "fu" Bonafede.
La nuova rubrica sottopone alcune domande a un giudice, un pubblico ministero, un avvocato e ad un docente universitario.
Il piano completo dell'opera, incluse le modifiche e i commenti alla Riforma Cartabia, è consultabile sulla pagina dedicata di questo blog (link).







  1. Ritiene che la riforma dell’art. 125 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale  avrà un reale effetto deflattivo? 

La previsione della nuova regola di giudizio di cui all’art. 3 lett. a) del disegno di legge di riforma che impone al pubblico ministero di avanzare richiesta di archiviazione “quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari risultano insufficienti o contraddittori o comunque non consentono una ragionevole previsione di accoglimento della prospettazione accusatoria nel giudizio”, è chiaramente finalizzata alla necessità di limitare il numero di procedimenti in relazione ai quali l’organo dell’accusa deve esercitare l’azione penale, selezionando, all’esito della fase delle indagini preliminari, i soli procedimenti effettivamente meritevoli di essere sottoposti al vaglio dibattimentale.

L’approccio del legislatore della riforma appare però eminentemente nominalistico e infatti nella prassi degli uffici di procura le formule contemplate già ricorrono con frequenza nelle richieste di archiviazione avanzate al giudice per le indagini preliminari.

Esaurite le attività di indagine, la valutazione da parte del pubblico ministero degli elementi raccolti, implica necessariamente una lettura combinata della formula di cui all’art. 125 disp. att. c.p.p. (“il pubblico ministero presenta al giudice la richiesta di archiviazione quando ritiene l’infondatezza della notizia di reato perché gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio”) e della formula contenuta nell’art. 425 c.p.p. (come modificato dalla legge 16.12.1999, n. 479), che ha in particolare introdotto nel comma 3 la previsione in forza della quale il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio”. 

Elemento di novità è quindi unicamente rappresentato dall’introduzione della necessità che il pubblico ministero proceda ad una valutazione in ordine “alla ragionevole previsione di accoglimento della prospettazione accusatoria nel giudizio”, non essendo più sufficiente la mera sostenibilità dell’ipotesi accusatoria nella fase processuale.

Si tratta a ben vedere di novità soltanto apparente. La previsione di accoglimento dell’ipotesi accusatoria invero si impone al pubblico ministero ai fini delle determinazioni in ordine all’esercizio dell’azione penale anche sulla base del vigente assetto codicistico, posto che l’organo dell’accusa deve in ogni caso procedere tenendo conto della prospettiva che una eventuale sentenza di condanna potrà essere pronunciata all’esito del giudizio solo se l’imputato risulti colpevole del reato contestato al di là di ogni ragionevole dubbio ai sensi dell’art. 533 c.p.p.

La regola di giudizio da ultimo indicata presuppone – a codice di rito invariato – che il pubblico ministero acquisisca al proprio patrimonio conoscitivo ogni elemento relativo alla vicenda trattata, anche favorevole alla persona sottoposta a indagini, come peraltro imposto dall’art. 358 c.p.p. Nell’ipotesi in cui le indagini restituiscano elementi indicativi della non colpevolezza dell’indagato, dovrà necessariamente essere avanzata richiesta di archiviazione, proprio sul presupposto implicito che la prospettazione accusatoria non potrà trovare accoglimento nel successivo iter processuale.

Gli intenti della riforma sono condivisibili e devono essere valutati positivamente, anche se ritengo che la modifica oggetto di commento non potrà portare gli effetti deflattivi sperati. 

  1. Il disegno di legge rimodula i termini di durata delle indagini preliminari e prevede che, scaduto il termine delle stesse, il pubblico ministero, ove non abbia assunto una qualche determinazione entro termini specifici, dovrà procedere ad una discovery delle indagini compiute. Qual è il suo giudizio al riguardo? 

L’art. 3 lett. e) del disegno di legge di riforma ha introdotto l’obbligo in capo al pubblico ministero di notificare l’avviso del deposito della documentazione relativa alle indagini espletate e della facoltà di prenderne visione ed estrarne copia, decorsi i termini specificamente previsti. 

L’intento della riforma è quello di introdurre meccanismi procedurali che rendano più celere l’attività “definitoria” del pubblico ministero, ma non tiene conto dell’esistenza di un sistema di controllo sulla tempestività dell’operato degli uffici di procura, affidato alle procure generali e previsto dall’art. 412 c.p.p., ai sensi del quale “il procuratore generale presso la corte di appello, se il pubblico ministero non esercita l’azione penale o non richiede l'archiviazione nel termine previsto dall’articolo 407 comma 3 bis, dispone, con decreto motivato, l’avocazione delle indagini preliminari. Il procuratore generale svolge le indagini preliminari indispensabili e formula le sue richieste entro trenta giorni dal decreto di avocazione”, sistema che prevede l’adempimento periodico di specifici obblighi informativi da parte dei magistrati della procura per rendere effettivo il suddetto controllo.

Pur reputando essenziale garantire la rapida definizione della fase delle indagini preliminari a tutela sia delle persone sottoposte a indagini (in ragione dei riflessi negativi che la pendenza di un procedimento penale inevitabilmente produce in ambiti diversi da quelli strettamente legati alla contingente vicenda giudiziaria) sia delle persone offese dai reati, credo che la discovery anticipata prevista dalla riforma non sia uno strumento idoneo a tale scopo. Non è infatti prevista alcuna conseguenza procedurale in ipotesi di inosservanza da parte del pubblico ministero delle nuove prescrizioni.

L’introduzione dell’istituto in commento sarebbe stata più utile se accompagnata dal riconoscimento espresso in capo ai soggetti interessati di prerogative e facoltà analoghe a quelle previste dall’art. 415 bis c.p.p., anche nell’ottica di garantire un effettivo esercizio del diritto di difesa in una fase antecedente a quella della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini. 

  1. La lettera g) dell’art. 3 del disegno di legge prevede che l’inerzia del pubblico ministero per “negligenza inescusabile” costituisca illecito disciplinare, ma non è più armonico con gli intenti della riforma prevedere una forma di decadenza dall’azione? 

La riforma mira a introdurre un sistema sanzionatorio di carattere disciplinare a carico del pubblico ministero che ometta di procedere alla discovery nei termini indicati o che, dopo aver ritualmente notificato l’avviso di deposito, non presenti richiesta di archiviazione o non eserciti l’azione penale nel termine di trenta giorni dalla richiesta del difensore della persona sottoposta alle indagini o della parte offesa, nelle ipotesi di negligenza inescusabile.

In questo caso sembra che il legislatore persegua finalità di natura esclusivamente punitiva nei confronti dei rappresentanti dell’accusa, senza prevedere alcuna conseguenza di carattere processuale a fronte delle inerzie che vorrebbe contrastare, con la conseguenza che nessun effetto realmente positivo si produrrà sul singolo procedimento. È verosimile infatti che l’effetto deterrente della minaccia della sanzione disciplinare, che dovrebbe indurre i pubblici ministeri ad attivarsi per definire celermente il procedimento, sarà limitato, in quanto le condizioni di sovraccarico di lavoro in cui versano molti Uffici di procura difficilmente consentiranno di ravvisare nell’inerzia del pubblico ministero una situazione di negligenza inescusabile.

  1. La riforma rimette alle singole Procure l’individuazione di criteri di priorità “al fine di selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre”, La giudica una riforma opportuna?

L’intento del legislatore è anche in questo caso da apprezzare, posto che il principio di obbligatorietà dell’azione penale risulta di fatto inoperante – in base a inevitabili scelte di priorità dei singoli magistrati fondate però su criteri non determinati né trasparenti – a fronte dell’elevatissimo numero di notizie di reato che quotidianamente ciascun pubblico ministero gestisce, soprattutto nell’ambito di uffici di piccole dimensioni, penalizzati da croniche scoperture di personale e da limitatissime risorse. 

Rimettere ai singoli procuratori, in sinergia con il procuratore generale e il presidente del tribunale e sulla base “delle indicazioni condivise nella conferenza distrettuale dei dirigenti degli uffici requirenti e giudicanti”, l’individuazione dei criteri di priorità, se da un lato reca con sé il vantaggio della “prossimità territoriale” e quindi la conoscenza approfondita dei fenomeni criminali che più interessano una determinata area geografica, dall’altro potrebbe determinare disparità nel trattamento di notizie di reato omogenee, inevitabilmente conseguenti alla diversa sensibilità dei singoli capi degli uffici. Sarebbe pertanto a mio parere opportuna la elaborazione di linee guida a un livello sovraordinato rispetto a quello individuato dalla riforma che, al di là delle peculiarità delle diverse realtà territoriali, assicuri il rispetto del principio di uguaglianza, che lo stesso principio di obbligatorietà dell’azione penale è diretto a garantire.  



(*) Maria Bambino è sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo