Sezioni

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29 febbraio 2024

Procedimento trattato, in sede di legittimità, con il cd. “rito Covid” – Documenti nuovi o non presenti in atti che la difesa intende produrre per chiederne l’acquisizione a fini decisori – Termine per la trasmissione, a mezzo posta elettronica certificata, alla cancelleria della Corte di cassazione – Indicazione – Ragioni.

 


La Seconda Sezione penale ha affermato che, nel procedimento trattato, in sede di legittimità, con il cd. “rito Covid”, i documenti nuovi o, comunque, non presenti in atti che la difesa intende produrre al fine di chiederne la formale acquisizione per la loro utilizzazione a fini decisori devono essere trasmessi alla cancelleria della Corte di cassazione, a mezzo posta elettronica certificata, improrogabilmente “entro il quinto giorno antecedente l’udienza”, in quanto tale termine, previsto ex art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 37, convertito – in parte qua senza modificazioni – nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, per il deposito delle conclusioni (e più favorevole di quello di “quindici giorni prima dell’udienza” previsto dall’art. 611 cod. proc. pen., nel testo vigente prima dell’entrata in vigore della novella di cui al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, per il deposito di motivi nuovi e memorie) ha natura generale, in assenza di una specifica disciplina riguardante le produzioni documentali.

Sentenza Numero: 7140, deposito del 16 febbraio 2024 al link


28 febbraio 2024

Diritti di copia: il Ministero ribadisce il no all'uso del cellulare per fotografare i documenti analogici

Con provvedimento del 16 gennaio u.s., la direzione generale degli affari interni del Ministero della giustizia ha ribadito il pregresso orientamento, secondo cui l'estraneo all'amministrazione non potrà acquisire copia dei documenti cartacei presenti al fascicolo, tramite strumenti o dispositivi informatici nella sua disponibilità, quali i cellulari, così sottraendosi al pagamento dei diritti.(post al link)

Anche noi ribadiamo la nostra tesi espressa in un post del 01.08.2021: richiedere i diritti di copia a chi deve acquisire i documenti necessari a difendersi è ingiusto. In tal senso, il ricorso a mezzi di riproduzione in possesso dell'interessato potrebbe essere una buona soluzione: lo Stato non dovrebbe impiegare risorse per fotocopiare gli atti e l'utente provvederebbe da sè ad acquisire la copia.  

27 febbraio 2024

E' legittima l'omessa previsione di incompatibilità a svolgere le funzioni di giudice del dibattimento per chi abbia celebrato l'udienza predibattimentale ?

 


Nel caso di specie il giudice del Tribunale di Siena, all'esito dell'udienza predibattimentale, disponeva la prosecuzione del giudizio davanti ad altro giudice, ai sensi dell'art. 554 ter c.p.p.. Sennonchè egli subentrava nel ruolo del diverso giudice. 

Tuttavia, il giudice dell'udienza filtro ritenva che l’udienza di comparizione predibattimentale, là dove sia stata disposta la prosecuzione del giudizio davanti ad un giudice diverso, <<è sede e luogo di un’attività giurisdizionale, in ultima analisi, atta a generare la cd."forza della prevenzione", per il Giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale>>, di talchè sollevava <<la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 34, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al successivo giudizio dibattimentale il Giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale che ha fissato la data dell’udienza dibattimentale davanti ad un giudice diverso, per la prosecuzione del giudizio>>. (ordinanza al link) 

23 febbraio 2024

Lo specifico mandato a impugnare vale anche per le ordinanze

Nel caso di specie,  il difensore interponeva ricorso avverso un'ordinanza che dichiarava l'inammissibilità dell'appello. Il ricorso non risultava corredato da mandato ad impugnare, come richiesto dal novellato art. 581 cod.proc.pen.. 

Nondimeno, nella fattispecie scrutinata dalla corte poteva dubitarsi della necessità di tale mandato, posto che l'art. 581 1 comma quater richiede un mandato rilasciato dopo la sentenza. Tuttavia per la corte si tratta di un <<dubbio che deve essere agevolmente fugato, posto che l'intero art. 581 cod.proc.pen., nel disciplinare la proposizione delle impugnazioni, fa riferimento a tutti i provvedimenti suscettibili di appello o ricorso per cassazione, come si evince anche dal primo comma, lì dove si richiede l'indicazione del "provvedimento" impugnato. Quanto detto consente di ritenere che il successivo comma 1-quater, nel far riferimento al mandato ad impugnare rilasciato "dopo la pronuncia della sentenza" contiene una mera imprecisione formale, evidentemente richiamando la sola "sentenza", ma in concreto disciplinando l'impugnazione di qualsivoglia provvedimento ultimativo della fase di giudizio e, quindi, anche l'ordinanza che dichiari l'inammissibilità>>.(sentenza al link)


22 febbraio 2024

Maggior termine ad impugnare: non vale per l'appello cartolare

Con ordinanza n. 5193/24, la seconda sezione ha affermato il principio di diritto secondo cui il maggior termine accordato al difensore dell'assente, per impugnare il provvedimento oggetto di censura, NON si applica in caso di ricorso avverso una sentenza pronunciata all'esito di giudizio di appello camerale non partecipato. Infatti, la corte ha osservato che <<in tema di impugnazioni, nel caso in cui il giudizio di appello sia stato trattato con procedimento camerale non partecipato e non sia stata avanzata tempestiva istanza di partecipazione ex art. 598-bis, comma 2, cod. proc. pen., l'imputato appellante non può considerarsi "giudicato in assenza", in quanto, in tal caso, il processo è celebrato senza la fissazione di un'udienza alla quale abbia diritto di partecipare, sicché, ai fini della presentazione del ricorso per cassazione, lo stesso non potrà beneficiare dell'aumento di quindici giorni del termine per l'impugnazione previsto dall'art. 585, comma 1-bis, cod. proc. pen.>> (ordinanza al link)  

Invero, la corte aveva già precisato che <<il termine aggiuntivo di 15 giorni previsto dall'art. 585, comma 1-ter cod. proc. pen. si applica, esplicitamente, solo ed esclusivamente agli imputati dichiarati assenti secondo la previsione di cui agli artt. 420 e 420-bis cod. proc. pen....)>>(ordinanza al link)

In sintesi, a fronte di un appello cartolare, il difensore dell'imputato non godrà del maggior termine ad impugnare.

Tuttavia, val la pena notare che la sesta sezione implicitamente ha mostrato diverso avviso affermando che <<non sono previste particolari differenze ai fini della disciplina dell'assenza a seconda che il giudizio si svolga con un mero contraddittorio cartolare ex art. 598-bis cod. proc. pen. o con la partecipazione delle parti ex artt. 599 e 602 cod. proc. pen. Ai sensi dell'art. 598-ter, comma 1, cod. proc. pen., l'imputato appellante "non presente all'udienza di cui agli artt. 599 e 602 è giudicato in assenza anche fuori dei casi di cui all'art. 420 bis". Lo stesso avviene nel caso in cui si proceda con il c.d. rito cartolare, in camera di consiglio ai sensi dell'art. 598-bis cod. proc. pen., senza la partecipazione delle parti, ricavandosi tale assimilazione dalla disposizione di cui al comma 4 dell'art. 598-ter cit. che prevede la sospensione del processo per difetto delle condizioni per procedere in assenza sempre e solo nel caso di imputato non appellante>> (sentenza al link) 

La soluzione adottata dalla seconda sezione di legittimità suscita il dubbio che, non applicandosi il disposto del comma 1 bis dell'art. 585 "cada" anche la previsione di cui all'art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen., secondo cui ove si sia proceduto in assenza, il difensore può impugnare soltanto se munito di specifico mandato all'uopo conferitogli. La correlazione tra le due norme è invero pacificamente rivelata dalla relazione della Commissione di studio per la elaborazione di proposte di riforma del processo penale, istituita con d.m. 16/03/2021, secondo cui la previsione di uno specifico mandato ad impugnare <<è accompagnata dall'allungamento dei termini per impugnare a favore del difensore>>.


21 febbraio 2024

La parte civile NON deve eleggere domicilio per l'impugnazione


La quinta sezione della Corte di legittimità (rel. M. Brancaccio) ha precisato che, nonostante l'art. 581 1 co. ter c.p.p. preveda, a pena di inammissibilità, che le parti private e i loro difensori depositino, congiuntamente all'impugnazione, l'elezione o dichiarazione di domicilio ai fini della notifica del decreto di citazione a giudizio, tale regola non si applica nei confronti della parte civile, del responsabile civile e del soggetto civilmente obbligato per la pena pecuniaria. Infatti, tale adempimento risulterebbe inutile ed eccessivamente formalistico, posto che in ragione degli artt. 100, commi 1 e 5, e 154, comma 4, cod. proc. pen., le menzionate parti private hanno, ad ogni effetto di legge, domicilio presso il difensore, cui andranno rese le notifiche.    (sentenza al link) 

Si noti che la sentenza è giunta al suddetto dictum dopo avere richiamato i principi del fair trail stabiliti dall'art. 6 della Convenione EDU, come interpretati dalla Corte di Strasburgo. 

20 febbraio 2024

La "settima" ritiene il ricorso non manifestamente infondato e annulla la condanna

 

In questo blog abbiamo più volte formulato dubbi in ordine alla opinibilità del criterio che distingue la manifesta infondatezza (causa di inammissibilità della impugnazione) rispetto alla infondatezza (causa di rigetto). 

Ci pare che una recente pronuncia della settima sezione confermi tale tesi. 

A fronte di un ricorso per il quale l'addetto allo spoglio aveva  evidentemente creduto che il ricorso fosse manifestamente infondato, rimettendolo alla sezione stralcio, quest'ultima ha però ritenuto che <<il ricorso dell'imputato che si duole della violazione di legge, del vizio di motivazione e del travisamento della prova in ordine alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 625, n. 7 cod. pen. non è manifestamente infondato>>.(sentenza al link)

Divergenza di opinioni tra due consiglieri di cassazione da ascrivere alla mole di lavoro, oppure frutto di margini di differenza tra le due fattispecie di infondatezza assolutamente opiniabili?  

 

19 febbraio 2024

Il numero di detenuti in espiazione pena tra due e quattro anni continua a salire. Brutto segno.


A seguito della Relazione al Parlamento del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale ci eravamo occupati dell'aumento del numero dei detenuti, nonostante il sicuro successo delle misure alternative alla detenzione, ampiamente intese (post al link).  

A seguito della pubblicazione sul sito ministeriale della serie storica (2005-2023) dei detenuti per durata della pena inflitta, riteniamo opportuno tornare sull'argomento (statistica ministeriale al link).

Infatti alcuni dati meritano attenzione: anzitutto il numero complessivo dei ristretti in espiazione è significativamente in ascesa. Infatti a fronte di 36.676 detenuti in espiazione al 2005, a fine del 2023 il dato è pari a  a 44.174. 

Ma ciò che colpisce è l'andamento del numero di detenuti in esecuzione di pene detentive c.d. brevi. Se infatti il dato dei condannati in espiazione di pene fino ad un anno e due anni è diminuito rispetto al 2005, è anche vero che il trend di questi ultimi è in costante progressione dal 2020 (quando era pari a 2.128 persone), avendo raggiunto la rilevante cifra di 2.915 individui.

Ma soprattutto suscita degli interrogativi il quantum dei detenuti in espiazione di pene detentive tra due e tre anni, lievitato da 4.159, nel 2005, a 4.704, e quello inerente i detenuti in espiazione di pene tra tre e quattro anni, passato da 4.970, sempre nel 2005, a 4.987.

Dunque, nonostante l'ampliamento del catalogo di misure alternative latamente intese e di pene cui esse sono applicabili, le pene detentive brevi restano un aspetto assai significativo della esecuzione intramuraria

Forse, ci vorrebbe un'analisi approfondita del perchè i numeri del pianeta carcere, nonostante tutte le riforme, continuino a progredire, talora anche rispetto a condannati in espiazione di pene detentive brevi.     




 

16 febbraio 2024

Utilizzabilità delle intercettazioni in un altro procedimento: la quinta penale rimette nuovamente la questione alle sezioni unite

 



La quinta sezione penale della corte di cassazione, con l’ordinanza al link, ha rimesso alla decisione delle sezioni unite il seguente quesito di diritto:

se la disciplina del regime di utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi, di cui all'art. 270, comma 1, cod. proc. pen. - nel testo introdotto dall'art. 2 del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2020, n. 7 e anteriore al decreto-legge 10 agosto 2023, n. 105, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 pttobre 2023, n. 137 - operi nel caso in cui il procedimento nel quale sono state compiute le intercettazioni e il procedimento diverso siano stati iscritti successivamente al 31 agosto 2020 ovvero nel caso in cui solo quest'ultimo sia stato iscritto dopo tale data. 

15 febbraio 2024

Quando la motivazione è complessa, anche la cassazione può ritardare il deposito della motivazione

 




La Seconda Sezione penale ha affermato che il rinvio alle disposizioni concernenti le decisioni di primo grado, contenuto nell’art. 617, comma 1, cod. proc. pen., rende applicabile la previsione di cui all’art. 544, comma 3, cod. proc. pen. anche alle sentenze della Corte di cassazione, nel caso in cui la motivazione risulti, in ragione del numero delle parti e/o del numero e della gravità delle imputazioni, “di particolare complessità”, sicché è legittimo fissare un termine per il deposito in misura superiore a giorni trenta, fino a un massimo di giorni novanta. (In motivazione, la Corte, avendo affermato il principio in una pronunzia di annullamento con rinvio della decisione oggetto di impugnativa, ha aggiunto che la questione assume concreta rilevanza a seguito dell’introduzione della previsione di cui all’art. 344-bis, comma 8, cod. proc. pen.).

Scarica la sentenza cass. pen., sez. II, n. 3129/2024 al link  

13 febbraio 2024

Imputato assente: mandato specifico anche per il ricorso per cassazione

 



Ricorso per cassazione – Proposto da difensore privo di specifico mandato ad impugnare rilasciato dopo la sentenza – Dichiarazione di inammissibilità senza formalità di procedura ex art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen. – Applicabilità.

La Seconda Sezione penale ha affermato che, nel caso di ricorso per cassazione proposto, in violazione dell’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen., da un difensore privo di specifico mandato ad impugnare rilasciato successivamente alla pronunzia della sentenza, è possibile dichiarare l’inammissibilità dell’impugnazione con procedimento “de plano” ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen.

Scarica la sentenza cass. pen., sez. II, n. 4800/20224, al link

12 febbraio 2024

LA MAGISTRATURA ONORARIA E LA PREVISIONE DI UN CONCORSO AD HOC- di Sabrina Argiolas*

 

 

Nonostante i magistrati onorari di Tribunale da oltre vent’anni smaltiscano le gravi pendenze del carico giudiziario, garantendo una produttività statistica ben superiore al 50 %, è bastata un articolo della bozza del nuovo decreto sul Pnrr per dare il via ai numerosi comunicati che, oltre a teorizzare profili di illegittimità costituzionale, esprimevano chiare valutazioni denigratorie nei confronti dei magistrati onorari da parte delle associazioni dei magistrati professionali e delle associazioni della classe forense.

Ed il tutto largamente diffuso ed amplificato sia da quotidiani e che da riviste specializzate.       

La causa scatenante può essere ricondotta ad una bozza del nuovo decreto sul Pnrr, circolata nella tarda serata del 31.01.2024, ove all’art. 27 viene previsto che <<al fine di assicurare il raggiungimento degli obbiettivi>> si autorizza il Ministero della Giustizia a <<bandire nell’anno 2024 un concorso straordinario per il reclutamento di magistrati onorari>>, da assegnare ai Tribunali ove si manifestano le maggiori carenze di organico; si tratterebbe di un concorso costituito da una prova scritta e riservato ai circa 4.000 magistrati onorari, tra giudici onorari e vice procuratori onorari, con almeno 6 anni di esercizio nelle funzioni, senza demerito, senza essere stati revocati o incorsi in sanzioni disciplinari. I vincitori sarebbero esentati dal tirocinio di 18 mesi.

Naturalmente, la soluzione della questione non potrà fare riferimento al D.L.vo Luogotenenziale n. 352 del 30 aprile 1946 ed al D. L.vo del Capo provvisorio dello Stato n. 1601 del 23 dicembre 1947, con il quale tra il 31 dicembre del 1946 e il 7 dicembre del 1947 furono immessi senza concorso dapprima 200 tra vicepretori onorari e laureati in giurisprudenza (scelti tra quelli con alte votazioni) e poi altri 262, i cosiddetti “togliattini”, dal nome del Guardasigilli che firmò il decreto. All’epoca mancavano dall’organico oltre 1.000 magistrati sui 4.967 previsti e si intese in questo modo coprire la metà delle vacanze nei rispettivi ruoli di Pretore, Giudice e Sostituto Procuratore, in attesa dei 335 uditori che presero servizio con i successivi bandi di concorso.

Non vi è dubbio che l’art. 106 primo comma della Costituzione, laddove stabilisce che le <<nomine dei magistrati hanno luogo per concorso>>, esprima la chiara scelta del Costituente per la regola generale secondo cui i magistrati ordinari – i quali, istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario, esercitano la funzione giurisdizionale – sono nominati a seguito dell’espletamento di un pubblico concorso; regola rispetto alla quale costituisce eccezione la possibilità prevista dal terzo comma della stessa disposizione, che, su designazione del CSM, siano chiamati all’ufficio di consiglieri di cassazione, per meriti insigni, professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati che abbiano quindici anni d’esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori.

La suddetta regola generale del pubblico concorso è stata individuata come quella più idonea a concorrere ad assicurare la separazione del potere giurisdizionale dagli altri poteri dello Stato e la sua stessa indipendenza, a presidio dell’ordinamento giurisdizionale, posto dalla Costituzione, elemento fondante dell’ordinamento della Repubblica.

Il Costituente non ha, però, previsto in termini assoluti l’esclusività dell’esercizio della giurisdizione in capo alla magistratura nominata a seguito di pubblico concorso.

Infatti, il Costituente si è dovuto confrontare con una situazione di fatto che, già all’epoca e da lungo tempo, vedeva l’esercizio della giurisdizione anche da parte di una magistratura non già ordinaria, intesa come professionale nominata a seguito di concorso pubblico, ma onoraria, seppur nominata diversamente da quella attuale.

E la situazione che si é in concreto verificata, specchio della necessità sorta nell’amministrazione della Giustizia in conseguenza delle carenza di organico nei ruoli della magistratura professionale e del sempre maggiore aumento del contenzioso civile e penale registratosi nel tempo, ha determinato un sempre maggior impiego della magistratura onoraria, lasciata sino a pochi giorni fa – sotto la forte spinta di una procedura d’infrazione UE - in un quadro di precariato mortificante ed insoddisfacente.

É innegabile che da tempo ormai il “Sistema Giustizia” sia avvolto in un contesto critico che richiede non solo riforme in ambito processuale civile e penale, ma anche interventi sulle farraginose procedure concorsuali, possibilmente usufruendo delle risorse già pronte e disponibili, tali da renderle più adeguate ai tempi, in termini di celerità ed efficienza della pubblica amministrazione.

Le criticità esasperate dall’emergenza pandemica da COVID-19 e le condizioni dettate per il Pnrr non hanno fatto altro che evidenziare la crisi che già inesorabilmente era in atto nel “Sistema Giustizia”, richiedendo interventi tempestivi; pertanto, il Pnrr non ha determinato misure aggiuntive rispetto a quelle ordinarie.

Nessuna ipotesi di illegittimità costituzionale è stata sollevata in relazione alle ben note modifiche delle procedure dei concorsi pubblici, tendenti alla semplificazione e funzionali all’attuazione del Pnrr, per il rafforzamento della capacità amministrativa e dell’efficacia della Giustizia.

In particolare, nessuna pronuncia di illegittimità costituzionale ha colpito il Decreto Legge che riduceva il numero delle prove scritte per il concorso in magistratura nel periodo post COVID.

Nessuna ipotesi di illegittimità costituzionale è stata sollevata in relazione all’analoga disposizione, dettata nell’ambito della Legge n. 130/2022 per la riforma della giurisdizione tributaria per il reclutamento dei nuovi giudici tributari professionali mediante concorso. In particolare, nell’ambito della più generale riflessione contenuta nel Pnrr sulle criticità delSistema Paese” e sulle riforme “di contesto” necessarie per superarle, l’iniziativa legislativa si è indirizzata non solo verso le modifiche del processo civile e penale e dell’organizzazione degli uffici giudiziari, ma anche della giustizia tributaria con «interventi volti a ridurre il contenzioso tributario e i tempi della sua definizione». A tal fine deve osservarsi che con la Legge n. 130/2022 è stata prevista una riserva di posti in favore dei giudici tributari onorari per i concorsi che saranno indetti come magistrato tributario di ruolo, indicando tra i requisiti la presenza nel ruolo unico dei giudici tributari istituiti dalla Legge n. 183/11, con anzianità delle funzioni di almeno 6 anni.

Non appare comprensibile la riluttanza espressa dalle associazioni della magistratura e della classe forense ad applicare le procedure semplificate, legittime per ogni altro settore, alla magistratura onoraria, considerato l’enorme supporto quotidiano, costante nel corso di almeno vent’anni, utile a garantire ai cittadini una giustizia efficiente e celere. Già con il Parere del Consiglio di Stato reso in data 23.03.2017 n. 464/2017, rifacendosi all’esperienza legislativa del 1974 – con la Legge n. 217/1974 i vicepretori onorari venivano stabilizzati, conservando l'incarico a tempo indeterminato e con lo stipendio spettante ai magistrati di tribunale - veniva indicata al Legislatore la possibilità di percorrere la via breve, in particolari condizioni di emergenza; ma anche alla luce delle dichiarazioni rese in data 16 dicembre 2020 dal Presidente della Corte Costituzionale all’atto del suo insediamento, nonché della sentenza n. 41/2021 della stessa Corte Costituzionale, che auspicavano il progressivo assorbimento della magistratura onoraria nella magistratura ordinaria, il Legislatore veniva sollecitato ad un pronto intervento sul punto.  

Pertanto, non sussiste una questione d’illegittimità costituzionale in relazione al concorso ad hoc previsto dall’art. 27 della bozza di decreto sul Pnrr per i magistrati onorari, per il cui  status - oltre ai riconoscimenti della CEDU e della Corte di Giustizia Europea – l’Italia si ritrova nella grave condizione di essere sottoposta dalla Commissione Europea alla procedura d’infrazione.  

* La dott.ssa Sabrina Argiolas sin dall’anno 1999 svolge le funzioni di magistrato onorario, prima in qualità Vice Procuratore Onorario presso la Procura della Repubblica di Palermo e dal 2005 in qualità di Giudice Onorario di Tribunale presso il Tribunale di Palermo, ove tutt’ora esercita le sue funzioni in modo esclusivo. Per la situazione determinatasi nel periodo 2010-2012 – per il carico lavorativo e l’impegno richiestole, venendo meno la stessa possibilità materiale di continuare a dedicarsi in modo continuativo allo svolgimento della professione di Avvocato, richiedeva la cancellazione dall’Albo Avvocati del Consiglio dell’Ordine di Termini Imerese.
A seguito di elezioni straordinarie, indette a seguito dell’emissione del D.L.vo 31
maggio 2016 n. 92 e svoltesi nei giorni 24-25 luglio 2016, veniva eletta in rappresentanza dei Giudici Onorari di Pace del Distretto di Palermo, quale componente della Sezione Autonoma del Consiglio Giudiziario della Corte d’Appello di Palermo, sino al 5 ottobre 2020.