Nel 2016 le SS.UU.
rilevavano che il nostro sistema sanzionatorio “gravita tolemaicamente
intorno alla detenzione muraria” (SS.UU. 36272/2016), rilevando
però l’opera riformatrice di tale sistema che si stava perseguendo attraverso
l’istituto della messa alla prova.
Tuttavia, per quanto
possa apparire paradossale, i dati sembrano indicare che all’epoca la detenzione
muraria avesse meno forza gravitazionale di quanto ne abbia oggi, e ciò
sebbene da allora sia la Corte costituzionale (41/18) che il legislatore hanno
posto in essere ulteriori interventi
volti ad ampliare gli istituiti alternativi al carcere. Sembra invero che le
soluzioni offerte più che costituire un’alternativa alla detenzione muraria
abbiano finito per integrare un universo parallelo a quello carcerario, le cui
dimensioni non si riducono.
Al riguardo un magistrato assai
sensibile al tema ha considerato che i numeri della detenzione intramuraria,
nonostante l’aumento delle persone ammesse a misure di comunità, non accennano
a diminuire e, anzi, tornano a crescere dopo la flessione della pandemia ( R.
De Vito, “Relazione al Parlamento 2023: i «sette anni in Tibet» del Garante
Nazionale delle persone private della libertà personale”, in QG).
Cerchiamo di cogliere il
significato di quanto affermato con l’ausilio di alcuni numeri, con una
precisazione: ai fini del presente scritto si farà riferimento ai soli
detenuti in espiazione definitiva.
A giugno 2014 i condannati
in carcere erano pari a 36.926, l’ultimo dato di maggio
2023 ci indica un numero pari a 42.050.
Eppure i soggetti che beneficiano della messa alla messa alla prova sono
25.970.
E’ evidente che la messa
alla prova, istituto di sicuro successo, non abbia dispiegato alcun effetto sul
numero dei detenuti.
Analoghe considerazioni
riguardano le misure alternative al carcere. Infatti al 15.06.2023
i soggetti in carico agli Uffici per esecuzione penale esterna con riguardo
alle sole misure alternative risultano pari a 40.075. Il dato ascende
a 81.515 se si considera ogni tipo di misura, compresa la messa alla prova.
Si potrebbe ritenere che i
diversi istituti che consentono un’alternativa alla detenzione non riescano ad
erodere i numeri della popolazione carceraria perché essi afferiscono reati
puniti meno gravemente, lì dove invece i
condannati a titolo definitivo in esecuzione muraria sarebbero in espiazione di
reati puniti assai gravemente. Si tratterebbe tuttavia di una replica non
fondata.
Una tabella contenuta nella
Relazione al Parlamento del Garante nazionale dei diritti delle persone private
della libertà personale (pag. 215) consente di verificare che a marzo 2023 ben 8.579
detenuti stavano scontando una pena da tre anni in giù. Attenzione una
pena inflitta ab origine e non residua. Ciò significa che circa
il 20,68 % dei detenuti è entrato in carcere per eseguire una pena non superiore
a 3 anni.
Confrontando questa tabella con quella dispensata nella relazione dell’anno precedente si nota che il numero di ingressi per pene contenute è cresciuto in termini assoluti.
Procedendo poi al raffronto
in termini percentuali si può rilevare che anche in termini relativi la
presenza di persone in espiazione di pene brevi è cresciuta (dal 19,29 %
del 28.04.22 al il 20,68 % del 30.03.
u.s.).
Purtroppo non si dispone del
dato dei soggetti privati della libertà condannati ad una pena fino 4 anni e
quindi ammissibili all’affidamento in prova.
Ad ulteriore smentita della
tesi secondo cui il numero dei condannati in detenzione stia aumentando perché aumentano
i reati più gravi si può rilevare che secondo i dati diffusi dal Garante rispetto
al 2016 si è registrata una consistente diminuzione di reati gravi (omicidi
volontari: - 25 percento; associazione mafiosa: - 36 percento, rapine: - 33
percento).
Ricapitoliamo: diminuiscono
i reati più gravi, ma il numero di condannati in esecuzione muraria, anche di
pene brevi, si sta incrementando, eppure le misure in esecuzione esterna negli
anni sono notevolmente aumentate.
Ed allora ci pare opportuno
concludere con le parole di un Giudice del Tribunale di Nuoro <<si
corre il serio rischio di vedere associata all’area della pena carceraria – i
cui movimenti di espansione o contrazione tendono sempre di più a rimanere
indifferenti alle riforme normative – una sempre più vasta zona di repressione
penale extra-penitenziaria (o semi-penitenziaria), con il risultato globale
di un aumento complessivo del controllo sociale. È un pronostico facilitato
dalla vicenda storica del nostro come di altri sistemi penitenziari: l’implementazione
del ventaglio normativo di strumenti alternativi al carcere è stata
accompagnata da un logico aumento dei numeri dei soggetti in esecuzione
esterna, ma da nessuna significativa riduzione dei tassi di incarcerazione>>
(R. De Vito “Fuori dal carcere? La “riforma Cartabia”, le sanzioni
sostitutive e il ripensamento del sistema sanzionatorio” in Qg).