1. Caro Professore,
prima di valutare alcuni aspetti specifici del nuovo abbreviato disegnato dalla
c.d. Riforma
Cartabia, vorrei chiederTi quale sia il tuo giudizio complessivo
sulla stessa.
È una manovra ampia e complessa, sulla
quale non è possibile esprimere un giudizio secco, come se si volesse
attribuire un voto al legislatore.
Le innovazioni si irradiano in tutto
il sistema della giustizia penale, e si spingono in profondità anche dal punto
di vista culturale. Alcune sono sicuramente condivisibili, poichè consentono di
perseguire l’obiettivo di rendere efficiente la procedura penale senza entrare
in contrasto con i principi del giusto processo. Mi vengono in mente, ad
esempio, le previsioni sulla trattazione cartolare delle impugnazioni che
consentono di agevolare la gestione della procedura e, nel contempo,
riconoscono all’interessato il diritto di chiedere, ove lo ritenga per
interloquire con il giudice e le altre parti, che l’udienza si svolga in
presenza.
D’altro canto, molte disposizioni
muovono in direzione assolutamente contraria e sacrificano oltremodo il diritto
di difesa in nome della speditezza della procedura. È quanto avviene, per
restare nella materia delle impugnazioni, con la pretesa di nuovi requisiti
formali e con la correlata - e sproporzionata - sanzione di inammissibilità collegata
all’eventuale inadempimento delle prescrizioni.
Moltissime poi sono le incognite, in
primis, quelle sulla transizione del processo nella dimensione telematica e
quelle sulla giustizia riparativa.
Solo la prassi, dunque, consentirà di
saggiare l’impatto concreto di queste novella e poter trarre un bilancio.
Detto questo, sono sempre più convinto
di quanto avevo scritto in un’altra occasione sempre sulle vostre pagine: è probabilmente
giunto il momento di una riflessione radicale che conduca non tanto all’ennesima
riforma (che peraltro sembra essere già in cantiere), ma al varo di un nuovo
codice, anche per ricondurre a sistema le modifiche che si sono accumulate nel
tempo. Ma è una operazione che esige, prima ancora di qualsiasi considerazione
di natura tecnica, una convergenza su una visione condivisa del processo penale
e della sua funzione.
2. Sono mutati i requisiti di ammissibilità dell’abbreviato condizionato; adesso al requisito della necessità dell’integrazione probatoria richiesta si affianca quello dell’economia processuale rispetto ai tempi dell’istruzione dibattimentale. Quest’ultimo è un requisito con una qualche concreta funzione selettiva?
C’è da dire, innanzitutto, che le modifiche apportate al giudizio abbreviato appaiono finalizzate ad incentivare l’accesso al rito, evitando l’approdo al dibattimento delle regiudicande.
Se si adotta questa chiave di lettura, la
conclusione è che la formula attuale, rispetto a quella previgente, dovrebbe
essere una apertura alle richieste di integrazioni probatoria. Dunque, è una formula che, almeno all’apparenza,
concede margini di manovra più ampi per l’esercizio del diritto alla prova.
Soltanto la prassi, tuttavia, consentirà di accertare se si tratta di un’innovazione
capace di rimodellare la fisionomia del rito o se non si costituisca piuttosto
una modifica meramente lessicale (sul punto, Barazzetta, Le modifiche al
giudizio abbreviato, in Castronovo - Donini - Mancuso - Varraso, La riforma
Cartabia, Cedam, 2023, p. 721 e ss.).
3. La questione della restituzione in termini
per chiedere l’abbreviato al fine di beneficiare della diminuente c.d. in executivis ha
diviso la giurisprudenza di merito. Qual è la tua posizione al riguardo?
Credo che il contrasto sia stato ormai
risolto dalla Suprema Corte che ha chiarito le ragioni per le quali non è possibile
applicare la diminuente a procedimenti nei quali si è già celebrato il giudizio
di impugnazione (Cass., sez. I, 10 marzo 2023, n. 16054).
A mio avviso, però, c’è una questione sulla
quale sarebbe stato opportuno predisporre una disciplina di diritto
intertemporale ad
hoc, al fine di regolare la posizione di coloro che, al momento dell’entrata
in vigore della riforma, avevano proposto impugnazione. Più precisamente,
sarebbe stata opportuna una disposizione che riconoscesse la possibilità di
rinunciare all’impugnazione prima che fosse fissata l’udienza o, se già fissata,
in limine. In simili casi, l’abdicazione avrebbe avuto ancora una
apprezzabile capacità di deflazione del carico di lavoro della macchina
giudiziaria e avrebbe eliminato possibili disparità di trattamento. Nel
silenzio del legislatore, tuttavia, mi sembra difficile ipotizzare percorsi che
riescano a colmare la lacuna in via interpretativa.
4. Se, a seguito dell’ulteriore riduzione di
un sesto, la pena detentiva comminata dal giudice della cognizione rientra - in
astratto- tra quelle suscettibili di sostituzione, vi sono spazi normativi per
consentire un qualche intervento al riguardo del Giudice dell’esecuzione?
La scelta di affidare al giudice dell’esecuzione
il compito di applicare la diminuente di un sesto è, in realtà, foriera di una
pluralità di problemi, tutti collegati agli effetti che la riduzione della pena
può determinare per l’accesso a istituti che incidono notevolmente sulla
condizione del condannato (sulla alternativa tra il “fuori” e il “dentro” per
usare le parole del Giudice delle leggi): la concessione della sospensione
condizionale, la sospensione dell’ordine di esecuzione e, appunto, l’accesso
alle nuove sanzioni sostitutive.
In alcuni casi, il giudice dell’esecuzione ha
senz’altro i poteri per impedire che la collocazione in executivis dell’applicazione
della diminuente possa riverberare effetti negativi sulla libertà personale del
condannato. Penso, ad esempio, all’incidente di esecuzione attivato ai sensi
dell’art. 676 c.p.p. al fine di contenere l’entità della pena entro i limiti
fissati per la sospensione dell’ordine di esecuzione.
In altri casi, come avviene per la
sospensione condizionale, il raggiungimento di tale risultato appare complicato
dall’assenza di previsioni specifiche, che riconoscano al giudice dell’esecuzione
il potere di intervenire sulla sentenza per modificarne il contenuto.
E a queste ultime ipotesi appare
riconducibile la materia delle sanzioni sostitutive che sembrano appannaggio
del giudice della cognizione. Pure qui, pertanto, è difficile ipotizzare una
diversa soluzione.
5. La riduzione di un ulteriore sesto è prevista
soltanto in favore di chi, giudicato nelle forme dell’art. 438 e ss. c.p.p.,
non proponga appello. Possono esservi dei profili di incostituzionalità per l’omessa
previsione di analogo beneficio per chi non proponga impugnazione, seppur
giudicato con rito ordinario?
Se la ratio della norma è quella di
incentivare l’imputato a prestare acquiescenza alla decisione di prime cure, il
riconoscimento della diminuente non dovrebbe tollerare distinzioni determinate
dalla tipologia di procedimento - speciale oppure ordinario - all’esito del quale è stata emessa la
sentenza.
A mio avviso, nella scelta del legislatore di
collegare l’effetto premiale soltanto alla acquiescenza prestata alle sentenze
rese al termine di un giudizio abbreviato si deve intravedere un implicito
invito ad accedere a tale rito e rinunciare al dibattimento.
La tenuta costituzionale di questo assetto è quindi
vincolata alla ragionevolezza di tale opzione e alla possibilità di
giustificare un differente trattamento tra imputati.
Guido Colaiacovo è Professore associato di diritto processuale penale nell’Università di Foggia e avvocato del Foro di Sulmona.
Ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca in Diritto e Procedura penale presso la Sapienza - Università di Roma ove è stato anche assegnista di ricerca e docente presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali.
Attualmente, è titolare di contratto di docenza integrativa presso la Luiss Guido Carli di Roma.
È autore di articoli, note a sentenza e altri contributi in opere collettanee.
Nel 2015 ha pubblicato la monografia “Il latitante”, nella collana «Problemi attuali della giustizia penale», edita da Cedam e ,nel 2019, sempre nella medesima collana, la monografia «Il sistema delle misure cautelari nel mandato d’arresto europeo. La tutela della libertà personale nella procedura di consegna», nuova edizione aggiornata della precedente «Il sistema delle misure cautelari nel mandato d’arresto europeo» pubblicata nel 2018.