Signor Presidente della Camera penale di Trapani, caro Marco
Vorrei poter ritenere che il DM 4 luglio 2023, con cui si è estesa l’area degli atti penali che gli avvocati dovranno d’ora in poi depositare solo ed esclusivamente in via telematica, si riferisca solo ai casi che nel codice sono previsti come da depositare nella cancelleria del magistrato cui sono diretti, e non anche ai casi che la legge processuale consente di depositare direttamente in un’udienza.
Mi conforta in questa lettura il “luogo” di deposito espressamente indicato nell’incipit dell’art. 1 DM cit. come “Negli uffici…”; ed ora anche il Provvedimento dell’11 luglio 2023 del Direttore Generale dei Sistemi Informativi Automatizzati presso il Ministero della Giustizia, contenente le “specifiche tecniche” di tale deposito telematico, il quale all’art. 2, comma 1, chiarisce che “Il presente provvedimento contiene le disposizioni relative al deposito con modalità telematica, al di fuori del contesto dell’udienza, attraverso il PDP degli atti individuati dall’articolo 1 del decreto del Ministro della Giustizia del 4 luglio 2023”.
Più di un dubbio in verità sorgerebbe, tuttavia, proprio se si considerano i singoli atti (del difensore) che l’art. 1 DM cit. elenca come da depositare esclusivamente in via telematica. Cito ad esempio l’indicazione dell’atto di costituzione di parte civile, che il DM accompagna dal richiamo non solo dell’art. 76 c.p.p. (che identifica il tipo di atto) ma anche dell’art. 78 c.p.p., che appunto concerne invece le formalità della costituzione in parola, stabilendo, com’è noto, che essa “è depositata nella cancelleria del giudice che procede o presentata in udienza”. Questo ulteriore (e non necessario) richiamo, da parte del DM, potrebbe indurre infatti a ritenere che anche la costituzione “in udienza” oggi debba essere sostituita dal deposito dell’atto in via telematica.
Ad ulteriori dubbi conduce poi già la considerazione del primo atto che nel DM in parola è elencato come da depositare esclusivamente in via telematica, ossia l’atto – alquanto raro, in realtà – di ricusazione del giudice. Si tratta innanzitutto, e com’è noto, di un atto che – come tanti altri di quelli successivamente indicati, come la querela, la denuncia, ecc. – non è mai del difensore, ma della persona, il legale potendo solo essere incaricato di proporlo in forza di procura speciale (che indichi anche i motivi). Ma il problema pratico che pone l’obbligo di deposito telematico di un atto del genere è che esso, come si sa, secondo il codice va presentato “assieme ai documenti, nella cancelleria del giudice competente a decidere” (art. 38, comma 3, c.p.p.): il quale è un giudice necessariamente diverso (e in genere superiore) rispetto a quello del procedimento in cui il difensore risulti accreditato. Mi chiedo pertanto come mai possa avvenire un deposito (telematico) del genere, attesi i criteri attualmente imposti dal sistema in vigore per essere “autorizzati” ad interagire in un procedimento.
Altrettanto misterioso risulta come possa avvenire il deposito attraverso il portale telematico (stando sempre alle regole di accesso al sistema al momento esistenti) di un atto come la non accettazione del mandato da parte dell’avvocato (indicato al numero 15 dell’art. 1 del DM) – dato che proprio in quel procedimento il legale non si sarà appunto “accreditato” – oppure la denuncia da parte del privato cittadino (numero 45, art. 1 cit.) o la querela – dato che non può esistere ancora un procedimento con un numero – e meno ancora un atto come la rinuncia alla querela (numero 51), che secondo il codice non deve essere affatto indirizzata all’autorità giudiziaria (dato che questa, non potendovi essere stata querela, non è ancora intervenuta), bensì all’interessato (o a un suo rappresentante).
Gli esempi potrebbero continuare, le norme del DM in effetti essendo tutt’altro che chiare, e proprio per il fatto di voler accomunare nella disciplina atti processuali tra i più disparati e assai diversi tra loro. È dunque auspicabile, quanto necessario, un chiarimento da parte ministeriale che serva a sgombrare almeno la maggior parte dei dubbi destinati a sorgere.
Laddove infatti il deposito telematico venisse interpretato, magari da taluni uffici e non altri, come destinato ad esempio a sostituire il deposito o la presentazione anche di quegli atti che, secondo il codice di procedura, possono essere compiuti in udienza, la conseguenza sarebbe invero assai seria, dato che in questi casi il momento dell’udienza entro il quale è consentito dal codice compiere l’atto è previsto di solito a pena di decadenza. Perciò, di fatto il termine di decadenza verrebbe arretrato, dato che il deposito telematico non può che essere eseguito prima del giorno di quell’udienza (quanto meno perché occorre che il sistema “lo accetti” e che, per ovvia prudenza, il difensore si munisca dell’attestazione dell’avvenuto deposito da esibire eventualmente al Giudice).
Va anche soggiunto che la norma regolamentare in commento sembra apportare un contributo tutt’altro che decisivo all’efficienza del processo penale, ossia all’obiettivo che dichiara di voler perseguire la legge di delega (d.lgs n. 150/2022), e ciò non solo per i dubbi di lettura come sopra appena tratteggiati, ma anche per il fatto che lo stesso obbligo di deposito telematico, imposto all’avvocato, non è imposto anche all’altra parte necessaria di ogni processo penale, ossia al Pubblico Ministero, neanche con riguardo al compimento del medesimo tipo di atti (ad es., la ricusazione del giudice, la nomina del consulente tecnico di parte, la richiesta di incidente probatorio, la presentazione della lista dei testimoni, periti o consulenti tecnici, ecc.). Il che – oltre a introdurre una differenza di trattamento difficilmente comprensibile – rende già solo per questo del tutto improbabile che si possa velocizzare o comunque migliorare l’efficienza del processo, perché in effetti non si istituisce un “fascicolo telematico” del processo penale, ma solo si pone al difensore un obbligo di deposito telematico dei propri atti.
Vorrei poter ritenere che il DM 4 luglio 2023, con cui si è estesa l’area degli atti penali che gli avvocati dovranno d’ora in poi depositare solo ed esclusivamente in via telematica, si riferisca solo ai casi che nel codice sono previsti come da depositare nella cancelleria del magistrato cui sono diretti, e non anche ai casi che la legge processuale consente di depositare direttamente in un’udienza.
Mi conforta in questa lettura il “luogo” di deposito espressamente indicato nell’incipit dell’art. 1 DM cit. come “Negli uffici…”; ed ora anche il Provvedimento dell’11 luglio 2023 del Direttore Generale dei Sistemi Informativi Automatizzati presso il Ministero della Giustizia, contenente le “specifiche tecniche” di tale deposito telematico, il quale all’art. 2, comma 1, chiarisce che “Il presente provvedimento contiene le disposizioni relative al deposito con modalità telematica, al di fuori del contesto dell’udienza, attraverso il PDP degli atti individuati dall’articolo 1 del decreto del Ministro della Giustizia del 4 luglio 2023”.
Più di un dubbio in verità sorgerebbe, tuttavia, proprio se si considerano i singoli atti (del difensore) che l’art. 1 DM cit. elenca come da depositare esclusivamente in via telematica. Cito ad esempio l’indicazione dell’atto di costituzione di parte civile, che il DM accompagna dal richiamo non solo dell’art. 76 c.p.p. (che identifica il tipo di atto) ma anche dell’art. 78 c.p.p., che appunto concerne invece le formalità della costituzione in parola, stabilendo, com’è noto, che essa “è depositata nella cancelleria del giudice che procede o presentata in udienza”. Questo ulteriore (e non necessario) richiamo, da parte del DM, potrebbe indurre infatti a ritenere che anche la costituzione “in udienza” oggi debba essere sostituita dal deposito dell’atto in via telematica.
Ad ulteriori dubbi conduce poi già la considerazione del primo atto che nel DM in parola è elencato come da depositare esclusivamente in via telematica, ossia l’atto – alquanto raro, in realtà – di ricusazione del giudice. Si tratta innanzitutto, e com’è noto, di un atto che – come tanti altri di quelli successivamente indicati, come la querela, la denuncia, ecc. – non è mai del difensore, ma della persona, il legale potendo solo essere incaricato di proporlo in forza di procura speciale (che indichi anche i motivi). Ma il problema pratico che pone l’obbligo di deposito telematico di un atto del genere è che esso, come si sa, secondo il codice va presentato “assieme ai documenti, nella cancelleria del giudice competente a decidere” (art. 38, comma 3, c.p.p.): il quale è un giudice necessariamente diverso (e in genere superiore) rispetto a quello del procedimento in cui il difensore risulti accreditato. Mi chiedo pertanto come mai possa avvenire un deposito (telematico) del genere, attesi i criteri attualmente imposti dal sistema in vigore per essere “autorizzati” ad interagire in un procedimento.
Altrettanto misterioso risulta come possa avvenire il deposito attraverso il portale telematico (stando sempre alle regole di accesso al sistema al momento esistenti) di un atto come la non accettazione del mandato da parte dell’avvocato (indicato al numero 15 dell’art. 1 del DM) – dato che proprio in quel procedimento il legale non si sarà appunto “accreditato” – oppure la denuncia da parte del privato cittadino (numero 45, art. 1 cit.) o la querela – dato che non può esistere ancora un procedimento con un numero – e meno ancora un atto come la rinuncia alla querela (numero 51), che secondo il codice non deve essere affatto indirizzata all’autorità giudiziaria (dato che questa, non potendovi essere stata querela, non è ancora intervenuta), bensì all’interessato (o a un suo rappresentante).
Gli esempi potrebbero continuare, le norme del DM in effetti essendo tutt’altro che chiare, e proprio per il fatto di voler accomunare nella disciplina atti processuali tra i più disparati e assai diversi tra loro. È dunque auspicabile, quanto necessario, un chiarimento da parte ministeriale che serva a sgombrare almeno la maggior parte dei dubbi destinati a sorgere.
Laddove infatti il deposito telematico venisse interpretato, magari da taluni uffici e non altri, come destinato ad esempio a sostituire il deposito o la presentazione anche di quegli atti che, secondo il codice di procedura, possono essere compiuti in udienza, la conseguenza sarebbe invero assai seria, dato che in questi casi il momento dell’udienza entro il quale è consentito dal codice compiere l’atto è previsto di solito a pena di decadenza. Perciò, di fatto il termine di decadenza verrebbe arretrato, dato che il deposito telematico non può che essere eseguito prima del giorno di quell’udienza (quanto meno perché occorre che il sistema “lo accetti” e che, per ovvia prudenza, il difensore si munisca dell’attestazione dell’avvenuto deposito da esibire eventualmente al Giudice).
Va anche soggiunto che la norma regolamentare in commento sembra apportare un contributo tutt’altro che decisivo all’efficienza del processo penale, ossia all’obiettivo che dichiara di voler perseguire la legge di delega (d.lgs n. 150/2022), e ciò non solo per i dubbi di lettura come sopra appena tratteggiati, ma anche per il fatto che lo stesso obbligo di deposito telematico, imposto all’avvocato, non è imposto anche all’altra parte necessaria di ogni processo penale, ossia al Pubblico Ministero, neanche con riguardo al compimento del medesimo tipo di atti (ad es., la ricusazione del giudice, la nomina del consulente tecnico di parte, la richiesta di incidente probatorio, la presentazione della lista dei testimoni, periti o consulenti tecnici, ecc.). Il che – oltre a introdurre una differenza di trattamento difficilmente comprensibile – rende già solo per questo del tutto improbabile che si possa velocizzare o comunque migliorare l’efficienza del processo, perché in effetti non si istituisce un “fascicolo telematico” del processo penale, ma solo si pone al difensore un obbligo di deposito telematico dei propri atti.
Luigi Tramontano
(*) Luigi Tramontano: avvocato del Foro di Palermo dal 1998, iscritto all’Albo dei Cassazionisti
dal 2010 e socio di Camera Penale di Trapani, ha collaborato, per diversi anni, con la rivista “Il Foro
Italiano”, sezione penale, sotto la direzione del Prof. Giovanni
Fiandaca, pubblicando diverse note a sentenze e
una decina di articoli.
Dal 1993 al 1998 ha svolto le funzioni di Vice Pretore Onorario presso la Pretura di Palermo. Dal 1998 al 2007, oltre ad esercitare la professione di avvocato, ha insegnato diritto penale – per singoli temi – presso la Scuola di Perfezionamento delle discipline giuridiche dell’Università di Palermo, diretta dal Prof. Galasso.
Ha svolto le funzioni di relatore in diversi convegni, tra i quali, da ultimo quello organizzato dall’associazione Logos e Ius, e tenutosi a Palermo presso l’Aula Magna del Palazzo di Giustizia, il 23 ottobre 2019, dal titolo “La prescrizione non è una cura”, e quello tenutosi presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Palermo il 29 marzo 2019, dal titolo “Tutela dei migranti e libertà fondamentali. Lo Stato di diritto e la vicenda Diciotti”.
una decina di articoli.
Dal 1993 al 1998 ha svolto le funzioni di Vice Pretore Onorario presso la Pretura di Palermo. Dal 1998 al 2007, oltre ad esercitare la professione di avvocato, ha insegnato diritto penale – per singoli temi – presso la Scuola di Perfezionamento delle discipline giuridiche dell’Università di Palermo, diretta dal Prof. Galasso.
Ha svolto le funzioni di relatore in diversi convegni, tra i quali, da ultimo quello organizzato dall’associazione Logos e Ius, e tenutosi a Palermo presso l’Aula Magna del Palazzo di Giustizia, il 23 ottobre 2019, dal titolo “La prescrizione non è una cura”, e quello tenutosi presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Palermo il 29 marzo 2019, dal titolo “Tutela dei migranti e libertà fondamentali. Lo Stato di diritto e la vicenda Diciotti”.