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30 luglio 2024

Modifica dell'imputazione senza avvisi all'imputato: se la sentenza non è nulla, va riformata - Corte d'appello di Palermo, sez. I, n. 2203/2024

 



Processato per il delitto previsto e punito dall'art. 386 c.p., l'imputato è condannato in prime cure per il delitto previsto dall'art. 390 c.p..

Egli appella la sentenza dolendosi della sua nullità e, nel merito, chiedendone la riforma.

La Corte d'appello di Palermo, sezione prima penale, con la sentenza n. 2203/2024 al link, rigetta l'eccezione di nullità della sentenza, e riqualifica il fatto come originariamente contestato (art. 386 c.p.), censurando la diversa qualificazione del primo giudice (art. 390 c.p.). Quindi ribalta la sentenza di primo grado, che riforma integralmente, assolvendo l'imputato perché il fatto non costituisce reato.

Il caso è interessante per affrontare la questione della nullità della sentenza ex art. 522 c.p.p. per violazione del paragrafo 3 a) e b) dell'art. 6 della Convenzione EDU in combinato disposto con il paragrafo 1 dello stesso articolo, che prescrive un equo processo. 

Nel caso in esame, infatti, l'imputato è stato condannato per un reato, procurata inosservanza di pena, che non era indicato nel rinvio a giudizio e che non gli era stato comunque comunicato in alcuna fase del processo.

E ciò senza che mai venisse comunicata all'imputato, da parte del Tribunale, l'eventualità di così diversamente riqualificare il fatto e, quindi, impedendo all'imputato di conoscere natura e motivi dell'accusa e di preparare per tempo la sua difesa.

Non rileva, sul punto, la identità del fatto storico. E ciò per le considerazioni che seguono.

Le norme delle quali discutiamo prevedono:

  • Art.386 c.p.: “Chiunque procura o agevola l'evasione di una persona legalmente arrestata o detenuta per un reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.”;
  • Art. 390 c.p.: “Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato, aiuta taluno a sottrarsi all'esecuzione della pena è punito con la reclusione da tre mesi a cinque anni se si tratta di condannato per delitto, e con la multa da euro 51 a euro 1.032 se si tratta di condannato per contravvenzione”.

E' evidente già come le due fattispecie si riferiscano a presupposti diversi: nella prima l'agente procura o agevola l'evasione del soggetto che si trova già in stato di arresto o detenzione; nella seconda l'agente aiuta il soggetto condannato a sottrarsi all'esecuzione non ancora in atto.

E' noto come in applicazione delle norma della Convenzione Edu e dei criteri elencati nella sentenza CEDU Drassich c/ Italia L'imputato ha diritto ad essere informato della natura e dei motivi dell'accusa formulata a proprio carico, ivi compresa la qualificazione giuridica del fatto reato, e del diritto di disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la difesa.” (Corte europea diritti dell'uomo, Sez. II, 11/12/2007, n. 25575/04).

E' appena il caso di evidenziare che il noto caso Drassich, nel quale l'Italia ha riportato condanna innanzi alla Corte EDU, riguardava un magistrato che condannato per corruzione propria e ricorrente in cassazione, si era visto riqualificare il fatto dal giudice di legittimità nel delitto di corruzione in atti giudiziari. Identico, in quel caso, il fatto storico (danaro o utilità contro atto contrario ai doveri d'ufficio), la Corte EDU aveva statuito nel senso ricordato. Ciò a dimostrazione che la identità storica del fatto contestato non sana la nullità dedotta laddove il giudice non “attivi” i meccanismi di doverosa informazione.

Pertanto il primo giudice avrebbe dovuto comunicare la sua intenzione di riqualificare il fatto nella fattispecie contenuta all'art. 390 c.p. in tempo utile all'imputato per preparare la sua difesa e comunque prima della emanazione della sentenza, della quale deve quindi pronunciarsi la nullità.

Infatti con le sentenze nn. 348-349 del 2007 la Corte Costituzionale ha avuto modo di chiarire che, qualora dovesse sorgere un contrasto tra normativa interna e la Convenzione, i giudici interni, saranno chiamati a ricorrere “all’interpretazione conforme”, principio chiaramente enunciato nella cd. “sentenza Pupino” (Corte di giustizia delle Comunità europee, grande sez, 16 Giugno 2005, Pupino M.) ove si legge che “applicando il diritto nazionale, il giudice del rinvio chiamato ad interpretare quest’ultimo è tenuto a farlo per quanto possibile alla luce della lettera e dello scopo della decisione quadro al fine di conseguire il risultato perseguito da questa”, quindi tra le possibili interpretazioni che il giudice possa operare deve scegliere quella conforme al diritto sovranazionale; tale principio richiamato in queste sentenze ottiene applicazione anche nei confronti della C.e.d.u.; il giudice interno, infatti, deve tentare di risolvere il contrasto in via interpretativa adottando quella soluzione che dia alla norma interna un significato conforme e orientato ai principi e alla lettera della Convenzione.

Ne discende che un non corretto esercizio del potere da parte del giudice, che riqualifica il reato ex art. 521 c.p.p., comma 1, senza garantire le prerogative difensive e i principi regolatori del giusto processo, implica la iniquità del processo per violazione delle norme C.e.d.u..