Sezioni

Sezioni

15 luglio 2024

"Pianeta carcere": per il Prof. Adelmo Manna si devono superare il sistema penale carcerocentrico e i conseguenti profili di costituzionalità.

 

 



  Il "pianeta carcere" è sistematicamente fuori controllo, abbiamo chiesto ad un luminare della dottrina  penale italiana, come il prof. Adelmo Manna, se ciò non sia dovuto ad un male radicale del nostro sistema delle pene. Il prof. Manna ci ha concesso risposte di ampio respiro, accettando anche qualche provacazione.        

Gentile Professore, vede una correlazione tra il nostro sistema delle pene e il sovraffollamento che caratterizza le carceri italiane?

-         Certamente sussiste tale correlazione, giacché il nostro sistema penale è ancora sostanzialmente carcero centrico, nel senso che, dopo l’introduzione delle misure alternative alla detenzione, nel 1975, e le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, nel 1981, e le successive modifiche e integrazioni, comunque il sistema penale italiano ruota sempre sul carcere e le alternative al carcere e per questa ragione è un sistema penale ove la “punizione” è ancora sostanzialmente affidata alla privazione della libertà personale e ciò spiega non solo il sovraffollamento carcerario, giacché da 45 mila unità, che è il nostro limite massimo, siamo giunti a oltre 61 mila unità, ma spiega anche ovviamente l’aumento dei suicidi in carcere che, si badi, riguarda non solo i detenuti, ma talvolta anche le guardie carcerarie, perché il carcere è una istituzione “totale”, per dirla con Michel Foucault, per cui lo stesso carcere che forse è utopico abolire totalmente, dovrebbe, tuttavia, essere limitato a determinate categorie di criminalità e cioè: a) la criminalità organizzata; b) la criminalità terroristica; c) i gravi delitti di sangue, ove la custodia, anche cautelare, è purtroppo necessaria per tutelare la collettività.

 

Quali i rimedi?

-         In primo luogo bisogna, a mio avviso, intendersi, perché esistono e si discute di rimedi che tuttavia potrebbero non essere risolutivi, come ad esempio la liberazione anticipata speciale, che porta ad uno sconto di pena da 45 a 75 giorni, proposta, in particolare, dall’on. Rita Bernardini, con encomiabili scioperi della fame ed ora anche della sete. Non c’è dubbio che tale rimedio, laddove fosse definitivamente varato, potrebbe dare un aiuto, ma non più di tanto perché è evidente che il problema è molto più vasto del rimedio che si propone. Altro rimedio che molti suggeriscono, come ad esempio Luigi Manconi, su di un articolo apparso su La Repubblica del 10 luglio 2024, pag. 25, dal titolo ”Carceri, l’inferno e l’amnistia tabù”, nonché alcuni interventi su Il Riformista e L’Espresso della prof.ssa Paola Balducci, è quello di varare un provvedimento di amnistia e/o indulto, che sicuramente sarebbe un rimedio assai più rilevante rispetto al precedente, come sostiene anche Giuseppe Amarelli con riferimento in particolare all’indulto (Sovraffollamento carcerario: aspettando l’efficientamento delle pene sostitutive, subito un indulto proprio condizionato, in Sistema penale, 21 maggio 2024). L’ostacolo tuttavia che rende estremamente difficoltosa la strada che porta al varo di un provvedimento di amnistia e/o indulto è la modifica costituzionale, che, onde evitare la notevole messe che in passato si aveva di amnistie e di indulti, ha previsto una maggioranza di 2/3 delle assemblee parlamentari per varare tali tipi di provvedimenti e, va da sé , che in una situazione conflittuale tra maggioranza e opposizione, in particolare come quella attuale, diventi estremamente problematico raggiungere tale maggioranza qualificata. La riprova infatti è che l’ultimo provvedimento di amnistia riguarda reati commessi entro il 24 ottobre del 1990, mentre l’indulto si ebbe a metà degli anni 2000, ma solo perché intervenne in Parlamento addirittura il Santo Padre, Papa San Giovanni Paolo II. Questo rimedio, quindi, purtroppo allo stato non sembra assolutamente di pratica fattibilità.

 

Possiamo trarre esempi da altre realtà europee?

-         Certamente uno sguardo comparatistico potrebbe fortemente aiutare il legislatore e ciò lungo le seguenti direttrici: a) in primo luogo sarebbe decisamente opportuno introdurre come pene principali le pene pecuniarie non come attualmente avviene con il metodo di commisurazione a somma complessiva, bensì con quello c.d. a tassi giornalieri. Il sistema è così configurato: il numero dei tassi è commisurato alla gravità del fatto e all’intensità dell’elemento psicologico, mentre l’entità del tasso è commisurata alla capacità economica del reo. Se a ciò aggiungiamo la variante c.d. a tempo, ideata dal giurista tedesco Jurgen Baumann, ciò comporta che al soggetto condannato venga periodicamente sottratta dallo Stato una parte delle sue entrate, per cui in tal modo si abbassa stabilmente il suo standard di vita e ciò spiega perché nei Paesi dove è stata introdotta la pena pecuniaria a tassi giornalieri, cioè la Germania e la Gran Bretagna, nonché i Paesi del nord Europa, si è stimato che l’85% delle pene irrogate dal giudice penale sono pene pecuniarie e solo il 15% sono pene detentive. Con l’Associazione “Nessuno tocchi Caino” si è infatti stimato che se fosse introdotto tale modello di pene pecuniarie, il numero dei detenuti scenderebbe vistosamente anche in Italia da oltre 60 mila a soltanto 3.500; b) ovviamente per ottenere tale risultato non basterebbe l’introduzione della pena pecuniaria a  tassi giornalieri, ma essa dovrebbe essere accompagnata anche dalla pene interdittive intese come pene principali, che hanno infatti dimostrato, soprattutto nei reati economici ed in quelli contro la pubblica Amministrazione, una notevole efficacia sia general-, che special-preventiva, tanto è vero che, ad es. in Francia, il giudice penale già dal lontano 1975, può applicare per l’appunto come pene principali le sanzioni interdittive; c) alle sezioni interdittive andrebbero poi aggiunte le c.d. pene prescrittive cioè comportanti un obbligo di fare, che possono risultare molto utili sia con riguardo ai reati ambientali, in particolare con riferimento all’inquinamento, sia anche, ad es., con riguardo ai reati connessi agli stupefacenti, perché può risultare molto utile e soprattutto “risocializzante” che uno spacciatore o anche un detentore di notevoli quantità di sostanze stupefacenti sia obbligato, sotto il controllo del servizio sociale, ad es., a ripulire i giardini pubblici dalla siringhe infette. Da ultimo vanno ricordate le shame sanctions, cioè le pene della vergogna, molto utilizzate negli USA, che potrebbero essere potenziate anche da noi, giacché nel nostro sistema penale esiste soltanto la pubblicazione della sentenza penale in uno o più giornali (sia consentito, per maggiori approfondimenti, il rinvio a Manna-Sereni, Diritto penale, parte generale, teoria e prassi, Milano, W.K., 2024, spec. 547 ss.). Non va, infine, dimenticata la c.d. giustizia riparativa anche se non è ancora entrata a regime, proprio perché ha suscitato alterne contrastanti visioni, alcune positive, ma altre assai problematiche, soprattutto perché la pubblica opinione, alimentata dai mass-media, non sembra ancora preparata ad accettare un percorso di “intesa autore-vittima” sotto la direzione di un mediatore, che comporta anche nell’ambito dell’ufficio di mediazione un processo parallelo a quello penale, ove non hanno voce in capitolo né i difensori delle parti e nemmeno il giudice, tanto è vero che autorevoli esponenti della dottrina processualpenalitica, come, in particolare, Oliviero Mazza, di cui si segnala, anche qui, un recente intervento su P.Q.M., settore qualificato de Il Riformista, ha di nuovo manifestato le sue perplessità a livello costituzionale, per contrasto soprattutto con la presunzione di innocenza.

 

Ma un sistema delle pene carcerocentrico, come quello del codice Rocco, è confacente al volto costituzionale della pena disegnato dall’art. 27 Cost., soprattutto con riferimento all’ergastolo?

-         L’ergastolo, in particolare, ed a maggior ragione, il c.d. ergastolo ostativo, si pone in insanabile contrasto con l’art. 27, terzo comma, della Costituzione, sia sotto il profilo dell’umanità della pena, sia sotto quello della tendenza alla rieducazione/risocializzazione del condannato. E’ però risaputo che la Corte costituzionale, già nelle sue prime pronunce, a questo riguardo, ha sempre salvato l’ergastolo, ma attraverso un istituto che agisce ab externo, cioè la liberazione condizionale che tuttavia non solo comporta con l’ergastolo ostativo la sua utilizzabilità dopo addirittura 30 anni di reclusione, ma soprattutto non è un beneficio che può essere sicuramente concesso, perché richiede che il soggetto abbia dato prova di una condotta in carcere assolutamente irreprensibile ed in tale ultimo caso bisogna anche stare attenti che non si tratti di una tragica finzione, come è avvenuto nel caso di Angelo Rizzo, uno degli autori del massacro del Circeo, che quando è uscito in liberazione condizionale, ha ucciso due donne, l’amante e la figlia della stessa. Più in generale, quindi, sarebbe opportuno anche qui tenere conto di alcuni importanti progetti di riforma del codice penale come quello elaborato dalla Commissione diretta dal compianto prof. Carlo Federico Grosso, che, infatti, aveva sostituito l’ergastolo con una pena massima fino a 30 anni di reclusione. È altresì importante uno sguardo di carattere comparatistico perché la pena massima detentiva prevista in Germania è di 20 anni di reclusione ed ancor meno lo è in Norvegia, come dimostra il caso della strage avvenuta a Breivik. Più in generale, per le ragioni dianzi indicate, un sistema penale quale quello derivante dal codice Rocco, anche con tutte le modifiche apportate, non risulta ancora confacente ad un volto costituzionale della pena, proprio perché integra un modello ancora di carattere sostanzialmente carcero centrico, mentre, se fossero introdotte le pene totalmente diverse dal carcere che abbiamo elencato, ciò potrebbe contribuire notevolmente a rendere il sistema penale conforme all’art. 27, terzo comma, Cost.

 

Scusi la provocazione, ma quello dei “murati vivi” è forse solo un falso problema, posto che – per come ha sostenuto la Corte di cassazione[1] – la disciplina dell’esecuzione consente di escludere in concreto la perpetuità della pena? 

-         Conosco la giurisprudenza della Cassazione che Lei cita e senza dubbio è vero in linea generale che l’esecuzione consente di escludere in concreto la perpetuità della pena, ma, appunto, mi permetto di aggiungere, in linea purtroppo soltanto tendenziale, perché, ad esempio, tornando all’ergastolo ostativo se il soggetto non collabora con l’autorità giudiziaria diventa estremamente difficile integrare quello che un grande giurista del passato e direttore di carcere, come Alessandro Margara, denomina il “carcere della speranza”.

 

 ((*) Adelmo MANNA:  Professore emerito di Diritto penale presso l'Università di Foggia e Avvocato cassazionista in Roma.

 



[1] Cassazione penale sez. I, 16/06/2021, (ud. 16/06/2021, dep. 24/11/2021), n.43285