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11 marzo 2025

Calamandrei? E se lo leggessimo tutto ? di Daniele Livreri


Come è noto,
durante l’assemblea dell' Anm intitolata “Indipendenza della Magistratura: un bene comune da tutelare”, Antonio Albanese ha letto alcuni brani del “Discorso sulla Costituzione” di Pietro Calamandrei.  Ora, è altrettanto noto che l'illustre giurista abbia fatto parte dell'Assemblea costituente e in particolare della Commissione incaricata di elaborare il progetto di Costituzione, in veste di relatore per le parti dedicate al potere giudiziario e alla Corte costituzionale. Tuttavia, credo che se Antonio Albanese avesse letto, durante l'assemblea di ANM, alcune delle idee espresse da Calamandrei riguardo all'indipendenza della magistratura, soprattutto per ciò che concerne i rapporti col Governo, più d'uno dei partecipanti sarebbe stato percorso da un fremito.

Intendiamoci, l’allora costituente propose un testo ("una base di discussione", secondo le sue parole) intitolato “Del potere giudiziario”, in cui si faceva riferimento sin dai primi articoli all’indipendenza del giudice e del pubblico ministero (per quest'ultimo, nell’esercizio dell’azione penale e delle altre funzioni demandategli dalla legge), rifiutando un modello in cui <<il Ministro della giustizia risponda politicamente al Governo e alle Camere del buon funzionamento della giustizia>>; tuttavia Calamandrei, pur avvertendo l’esigenza di evitare il rischio di un condizionamento del potere politico sulla magistratura, temeva anche il rischio di un corpo giudiziario in conflitto con gli altri poteri. A ciò si aggiungeva il contingente tema, rispetto al quale il giurista espresse pubblicamente delle riserve, della fedeltà di una magistratura, formatasi in altro contesto storico politico, alla neonata Repubblica.      

Tutto ciò ben emerge dal resoconto sommario della seduta del 5 dicembre 1946, durante la quale la seconda sottocommissione iniziò la discussione sul potere giudiziario. Queste le parole dell’illustre giurista:  <<passando quindi ad esaminare quello che, a suo avviso, è il punto più delicato di tutta la materia, e cioè i rapporti fra la magistratura e il Governo, rileva che, con le norme previste, si avrebbe un corpo di magistrati completamente indipendente, il quale deciderebbe delle nomine, provvederebbe alla designazione ai vari uffici, autoeserciterebbe la disciplina e delibererebbe delle spese. Con una magistratura così chiusa e appartata, si potrebbero verificare conflitti con il potere legislativo o con quello esecutivo, in quanto la magistratura potrebbe, per esempio, rifiutarsi all'applicazione di una legge o attribuirsi il potere di stabilire criteri generali di interpretazione delle leggi. Un caso del genere si verificò in Francia prima della Rivoluzione e il conflitto si trascinò a lungo tra il Governo centrale del monarca e le Corti di appello.

S'impone pertanto la ricerca di un rimedio, per il quale possono aversi tre sistemi. Il primo è di lasciare le cose allo stato attuale, con un Ministro della giustizia che risponda politicamente al Governo e alle Camere del buon funzionamento della giustizia. Rileva però che in tal caso, dovendosi attribuire al Ministro Guardasigilli determinati poteri, verrebbe meno l'assoluta indipendenza della Magistratura, la quale continuerebbe ad essere controllata da un organo politico, per il tramite del Pubblico Ministero. Il secondo sistema è di ricorrere ad una rigorosa separazione tra il potere giudiziario e quelli legislativo-esecutivo, senza alcun organo di collegamento e con il primo Presidente della Corte di cassazione capo assoluto della magistratura. Ma anche così non si eliminerebbero tutti i pericoli, in quanto potrebbe sempre avvenire in astratto che il primo Presidente della Cassazione, unendosi agli altri magistrati, decidesse di rifiutarsi all'applicazione di una legge. Rimane allora un terzo sistema, intermedio, da lui proposto nel suo progetto, ma per il quale dichiara di avere egli stesso dei dubbi, consistente nella creazione di un «Procuratore generale commissario della giustizia» rappresentante l'organo di collegamento tra Magistratura e Governo. Tale commissario avrebbe in parte la figura del magistrato, in quanto sarebbe scelto tra i Procuratori generali della Corte d'appello o di Cassazione, e in parte quella di rappresentante politico, in quanto sarebbe nominato dal Presidente della Repubblica su designazione della Camera, prenderebbe parte alle sedute del Consiglio dei Ministri con voto consultivo e risponderebbe di fronte alle Camere del buon andamento della magistratura. Di modo che, essendo tale commissario il capo dell'organo di accusa, con potere disciplinare sui magistrati, ove si verificassero nell'interno del corpo giudiziario inconvenienti di carattere politico, a lui potrebbesi far carico di non aver saputo esercitare le sue funzioni. Qualche cosa di simile si ha nell'ordinamento inglese, con qualche differenziazione che potrebbe essere indicata, ove l'argomento dovesse essere approfondito.

Ritiene che rispetto agli inconvenienti che le altre due soluzioni indubbiamente presentano, questa terza possa essere presa in considerazione, anche perché, personalmente, non è del tutto favorevole a concedere alla Magistratura il massimo dell'indipendenza. In un momento particolarmente delicato come l'attuale, in un regime che, essendo sorto da poco e dovendo consolidarsi in un certo numero di anni, ha bisogno della assoluta fedeltà di tutti i suoi organi, potrebbe essere pericoloso riconoscere alla Magistratura un'autonomia assoluta, quando sulla fedeltà del corpo giudiziario alla Repubblica possono ancora nutrirsi dei dubbi>> (resoconto al link).

Chissà se qualcuno inviterà Antonio Albanese a leggere questo resoconto, in modo da rendere a Calamandrei la complessità del suo pensiero.