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30 ottobre 2020

Durata delle indagini e controlli del giudice. Un caso complesso tra avocazione e richieste inammissibili di incidente probatorio: il GIP di Palermo mette ordine


Il caso: a seguito della presentazione della richiesta di archiviazione, opposta dalla persona offesa, viene fissata l'udienza ex art 409 comma 2 c.p.p.. Nelle more, la Procura Generale avoca le indagini e, all'udienza camerale, revoca la richiesta di archiviazione. Il GIP restituisce gli atti all'ufficio di Procura. A questo punto, l'ufficio di Procura presenta una richiesta di proroga delle indagini e una richiesta di incidente probatorio. Sulla richiesta di proroga, il GIP si pronuncia con un rigetto (di seguito al link 👉 l'ordinanza GIP di rigetto della richiesta di proroga delle indagini preliminari). Con un'altra ordinanza del medesimo procedimento il GIP dichiara inammissibile la richiesta di incidente probatorio della Procura Generale. L'ordinanza è impugnata con ricorso in Cassazione dalla Procura Generale perché ritenuta atto abnorme e, all'udienza del 22 ottobre 2020, la Quarta Sezione penale della Corte Cassazione - rg. 15169/2020 - con sentenza ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura Generale. Per la singolarità e la complessità della vicenda diamo intanto informazione dell'esito del giudizio di Cassazione, del quale ci occuperemo nuovamente non appena sarà depositata la sentenza della Suprema Corte.

In questo commento affronteremo la prima questione, attinente la richiesta di proroga delle indagini, che riguarda un tema più volte affrontato su questo blog: i termini di durata delle indagini preliminari e i controlli giurisdizionali.

Il procuratore generale non ha funzioni di “supplenza” del pubblico ministero; nel sistema processuale la sua funzione è quella di “agire collateralmente” al giudice per le indagini preliminari nell’attività di controllo dell’operato del pubblico ministero.

Valga ad esempio: il pubblico ministero chiede l’archiviazione e il GIP, che controlla l’operato del PM, può imporgli l’azione (l'imputazione coatta) o l’investigazione (un supplemento investigativo); il GIP può farlo autonomamente oppure a seguito di una “sollecitazione” proveniente dalla persona offesa opponente. In entrambi i casi il GIP impone l’azione o l’investigazione e fissa l’udienza camerale. Il procuratore generale, a sua volta informato della richiesta, ha la possibilità di avocare le indagini e “subentrare” al pubblico ministero.

Nel caso in esame l’avocazione è stata effettuata a seguito dell’opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione.
La “surroga” che il procuratore generale ha esercitato avocando le indagini attinge quindi la richiesta del pubblico ministero ex art. 412 co. 2 c.p.p..
La norma prevede la possibilità per il procuratore generale di avocare le indagini del pubblico ministero non in funzione di un supplemento investigativo, ma in ragione della possibilità di determinare diversamente le richieste dell’Organo dell'accusa modificandole (ad esempio revocando la richiesta di archiviazione). A conferma dell'assunto, si osservi come l’art. 412 co. 2 c.p.p. non preveda alcuna disciplina sul termine, come invece avviene nell'ipotesi contemplata dal comma 1 (30 giorni). 
Opinando diversamente, si dovrebbe concludere nel senso che il termine di 30 giorni previsto al comma 1 valga (a cascata) anche per l’ipotesi del comma 2 dell'art. 412 co. 2 c.p.p., sicché il procuratore generale potrebbe avocare ex art. 412 co. 1 c.p.p. disponendo di un termine di 30 giorni sia per investigare ulteriormente sia per determinarsi diversamente dal PM, dopo che l’opposizione della persona offesa provochi la fissazione dell’udienza di cui all’art. 409 c.p.p.. In questo caso sarebbe dirimente l’avviso al procuratore generale. 
Se così fosse – come osserva correttamente il GIP nell'ordinanza che ha dichiarato inammissibile la richiesta di incidente probatorio - la richiesta di proroga avanzata dal procuratore generale sarebbe tardiva perché presentata l'8/11/2019 e cioè oltre il termine di 30 giorni dal momento in cui il procuratore generale ha avuto conoscenza dell’udienza ex art. 409 c.p.p. (cioè il 20/09/2019). Invero, soltanto dal momento in cui il procuratore generale ha avuto conoscenza dell’udienza può esercitare i suoi poteri di avocazione
Se dunque il termine dei 30 giorni previsto dall’art. 412 co. 1 c.p.p.  operasse anche per l’ipotesi prevista dall'art. 412 co. 2 c.p.p., esso decorrerebbe dalla notifica dell'avviso dell'udienza e non dal momento dell’emissione del decreto di avocazione, come ha sostenuto il procuratore generale nel ricorso per cassazione. 
A ragionare diversamente, il procuratore generale potrebbe impiegare discrezionalmente tutto il tempo che gli occorre per emettere il decreto di avocazione con il rischio di provocare una situazione di (inammissibile) stasi del procedimento. Il che non risponde né alla lettera né allo spirito del codice.
Invero, se il termine fosse di 30 giorni la decorrenza dovrebbe fissarsi al momento in cui il procuratore generale abbia conoscenza delle condizioni (qui l'avviso dell'udienza) in presenza delle quali gli è consentito il potere di avocazione.
Ma nel processo accusatorio, che è ispirato a princìpi di fairness, la decadenza dal termine è ancorata alla conoscibilità della facoltà ad esso collegataÈ così possibile, ad esempio, impugnare un provvedimento dal momento in cui se ne ha effettiva conoscenza (per esemplificare: il pubblico ministero e la difesa possono impugnare entro 15 giorni la sentenza con motivazione contestuale e il termine decorre dal momento della conoscenza, cioè della lettura in udienza. L'analogo potere di impugnazione del procuratore generale è invece collegato all’effettiva conoscenza della sentenza con la conseguenza che, nell'esempio dato, il termine di 15 giorni decorre non dal momento della lettura della sentenza ma da quello della notifica al Procuratore Generale).
Ritornando al caso in esame, il pubblico ministero ha chiesto il 2/5/2019 l’archiviazione (il termine di indagine scadeva il 24/7/2019, cioè 83 giorni dopo). 
Se, in ipotesi, il procuratore generale avesse avuto conoscenza della richiesta del pubblico ministero lo stesso 2/5/2019 e nel medesimo giorno avesse avocato le indagini, avrebbe certamente potuto utilizzare gli 83 giorni residui. 
Ma il procuratore generale ha avuto conoscenza della possibilità di avocare le indagini quando era spirato il termine. Il procuratore generale sostiene che gli 83 giorni residui andrebbero “in recupero”, e dovrebbero sommarsi con decorrenza dal momento dell’emissione del decreto di avocazione (03/10/19). Il che non pare condivisibile.
Infatti, la decorrenza del termine va computata dal momento in cui il procuratore generale ha avuto conoscenza della possibilità di esercitare i poteri di avocazione (cioè dal 20/9/19). Sostenere che i residui 83 giorni vadano “in recupero” significherebbe “abbandonare ad un tempo di nessuno” il periodo compreso tra il 24/7/19 e il 20/9/19 con conseguenze inammissibili
Dall'assunto in tesi discende che, ove si consideri la regola del comma 2 dell'art. 412 c.p.p. è soggetta al termine dei 30 giorni prevista dal comma 1, il termine sarebbe comunque spirato nella data in cui il procuratore generale ha chiesto la proroga delle indagini (8/11/19). Ed è quel che ha correttamente osservato il GIP nella sua ordinanza dichiarativa dell'inammissibilità della richiesta di incidente probatorio. 
In alternativa, ma con conseguenze nel caso di specie sono analoghe a quelle appena esaminate, sarebbe più conforme al dettato codicistico ritenere che la regola dell’art. 412 comma 2 c.p.p. prescinda da un termine (e non a caso esso non è previsto dalla lettera della norma). 
Ne seguirebbe che il potere di avocazione previsto dall’art. 412 comma 2 c.p.p. sarebbe “svincolato” da quello finalizzato alle indagini previsto dal comma 1, e ciò in quanto il potere di avocazione qui in esame sarebbe esclusivamente finalizzato alla rivalutazione delle richieste del pubblico ministero; rivalutazione per la quale non avrebbe alcun senso prevedere un termine.
Come osserva correttamente il procuratore generale nel suo ricorso per cassazione le ipotesi di avocazione sono tante.
Tuttavia un fatto è certo: il procedimento penale è codificato sulla fisiologia del suo procedere (id est: un pubblico ministero che diligentemente compie le indagini), mentre non contempla, neppure in ipotesi, l'eventualità patologica (un organo inquirente che ometta le investigazioni. Peraltro, sarebbe un illecito).
Il codice prevede infatti le ipotesi di avocazione non per il caso della totale omissione, ma per l'eventualità della incompletezza delle indagini del pubblico ministero; incompletezza rilevabile da chi (PG oppure GIP) ha il compito di “verificarne” l'operato. 
In alternativa, ma con risultati analoghi, laddove il PM non si determini sulle richieste finali dell'indagine (archiviazione oppure azione penale), il codice prevede che lo stallo trovi soluzione nel potere del procuratore generale, ex art. 412 co. 1 c.p.p., di avocare a sé il fascicolo per completare le indagini. In questo caso, coerentemente, il legislatore ha previsto un termine (di 30 giorni) secondo le regole che disciplinano lo svolgimento delle indagini preliminari entro un “certo termine”.
L'ipotesi del comma 2 dell'art. 412 cit. è invece diversa: qui il procuratore generale “subentra” non in funzione della supplenza investigativa, ma con riferimento alle richieste e alle determinazioni assunte dal pubblico ministero in esito alle indagini. Ne abbiamo conferma nell’art. 421 bis c.p.p. che conferisce al giudice analogo potere di controllo con la facoltà di integrare l'incompletezza delle indagini del PM e di coinvolgere, in surroga a quest'ultimo, il procuratore generale. 
Infine, rispetto alle questioni in esame, non rilevano le altre ipotesi di avocazione connesse con il coordinamento degli uffici del pubblico ministero previste dall’art. 372 c.p.p.
In conclusione: il termine di indagini è certamente scaduto alla data del 24/7/2019. 
Il procuratore generale ha avocato la possibilità di determinare diversamente le richieste dell'organo inquirente ma non l'ha fatto ai fini di un'indagine ulteriore; l'ha fatto in funzione delle richieste da sottoporre al GIP. 
Ne segue che il procuratore generale avrebbe potuto, come ha fatto, revocare la richiesta di archiviazione ed esercitare l’azione penale oppure avrebbe potuto all’udienza camerale insinuare nel GIP il dubbio della incompletezza delle fonti di prova così da sollecitare i supplementi investigativi ex officio (previsti sia in questa fase sia in quella dell'udienza preliminare ex art. 421 bis c.p.p. ).
Il giudice per le indagini preliminari si è quindi correttamente pronunciato per un non liquet, ed ha rigettato la richiesta di proroga delle indagini avanzata dal procuratore generale, confermando la inammissibilità della richiesta di proroga giusta la irritualità e la decorrenza del termine.


Aggiornamento: è stata pubblicata la sentenza della Sez. IV Cass. pen. 30287-2020.

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