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02 marzo 2021

RIMESSA ALLE SEZIONI UNITE LA QUESTIONE RELATIVA ALLA MISURA CAUTELARE DEL DIVIETO DI AVVICINAMENTO ALLA PERSONA OFFESA - di Viviana Torreggiani (*)




Con ordinanza del 29 gennaio 2021, la Sezione Sesta della Cassazione, rilevato il perdurante contrasto giurisprudenziale relativo all’applicazione dell’art. 282 – ter cpp, ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione: 
Se nel disporre la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa, ex art. 282 – ter cpp, il giudice deve necessariamente determinare specificatamente i luoghi oggetto di divieto” (notizia di decisione n. 1/2021).

Chiamata a decidere in merito alla legittimità della misura applicata dal Tribunale di Palermo nei confronti di un indagato per il reato di maltrattamenti in famiglia nei confronti della madre, in assenza dell’indicazione specifica dei luoghi rispetto ai quali è stato imposto il divieto di avvicinamento alla persona offesa, la Sezione remittente svolge un’ interessante ricognizione dei contrasti interpretativi sorti in merito alla determinatezza della misura dalla sua introduzione, rilevando come la lettera della legge non offra indicazioni dirimenti circa la correttezza e l’adeguatezza delle contrastanti opzioni interpretative.

Introdotta nel nostro ordinamento con il D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito dalla legge 23 aprile 2009, n. 38 (misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori) quale peculiare strumento di repressione del reato di “atti persecutori” (art.612-bis cp, stalking), il “divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima” disciplinato dall’art. 282-ter c.p.p. è una misura cautelare personale, di tipo coercitivo, di generale portata applicativa, con la quale il giudice prescrive all’indiziato di non avvicinarsi a luoghi, determinati, che siano abitualmente frequentati dalla persona offesa, ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa (comma 1).

Dall’introduzione della norma si sono sviluppati tre filoni interpretativi.

Il primo, contrassegnato dall’introduzione della figura del reato di atti persecutori e dalla conseguente necessità di adeguare la misura del divieto di avvicinamento di cui all’art. 282-ter, comma 1 c.p.p. ad avere indotto parte della Giurisprudenza di legittimità “a modulare sulla persona fisica della vittima del reato, e non sui luoghi dalla stessa frequentati, il contenuto delle prescrizioni accessorie al divieto di avvicinamento, atteso che nelle relative fattispecie la condotta oggettodella temuta reiterazione assume spesso i connotati della persistente ed invasiva ricerca di contatto con la vittima in quanto tale”. In tal senso si è espressa più volte la Quinta Sezione (Sez. 5, n. 18139 del 26/03/2018, Rv. 273173; Sez. 5, n. 28677 del 14/03/2016, C., Rv. 267371; Sez. 5, n. 48395 del 2014, Rv. 264210; Sez. 5, n. 36887 del 2013, Rv. 257184; Sez. 5, n. 19552 del 2013, Rv. 255113; Sez. 5, n. 19552 del 2013, Rv. 255512; Sez. 5, n. 13568 del 2012, Rv. 253297; Sez. 5, n. 13568 del 16/01/2012, Rv. 253296 ed altre), trovando riscontro anche in una decisione della Sezione remittente (Sez. 6, n. 42021 del 13/09/2016, C., Rv. 267898) con “l’affermazione che la specificazione dei luoghi trova giustificazione solo quando le modalità della condotta non manifestino un campo di azione che esuli dai luoghi che costituiscono punti di riferimento della vita, dovendo invece il divieto di avvicinamento essere riferito alla stessa persona offesa e non ai luoghi dalla stessa frequentati ove la condotta di cui si teme la reiterazione si connoti per la persistente e invasiva ricerca di contatto con la vittima, ovunque questa si trovi (Sez. 5, n. 30926 del 08/03/2016, S., Rv. 267792)”. Tale interpretazione si collocherebbe, peraltro, nel solco dell’ “adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva 2011/99/UE in tema di ordine di protezione europeo, avvenuto con l’emanazione del d. lgs. 11 febbraio 2015, n. 9, atteso che tra le misure poste a base dell’ordine di protezione vi è anche il divieto di cui all’art. 282-ter cod. proc pen., che risulta particolarmente efficace ove adottato in forma rafforzata.”

Il secondo filone, all’interno della stessa Quinta Sezione (Sez. 5 n. 27798 del 04/04/2013, S., Rv. 257697; Sez. 5, n. 28225 del 26/05/2015, F., Rv. 265297; Sez. 5, n. 5664 del 10/12/2014, B., Rv. 262149 ed altre) nonché rispetto ad alcune decisioni della Sezione remittente, centrate queste ultime in prevalenza sulla diversa figura di reato di maltrattamenti (Sez. 6, n. 8333 del 22/01/2015, R., Rv. 262456; Sez. 6, n. 14766 del 18/03/2014, F., Rv. 261721; Sez. 6, n. 26819 del 07/04/2011, C. Rv. 250728 iniziatrice del diverso indirizzo) che afferma, invece, la necessità, per il giudice della cautela, di indicare i luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa soggetti a inibitoria: ”Secondo tale orientamento ermeneutico, infatti, la specificazione dei luoghi s’impone al fine di consentire al provvedimento di assumere una conformazione completa, che ne favorisca l’esecuzione ed il controllo delle prescrizioni funzionali al tipo di tutela che si intende assicurare. Completezza e specificità del provvedimento costituiscono, inoltre, garanzia del giusto contemperamento tra esigenze di sicurezza, imperniate sulla tutela della vittima e minor sacrificio della persona sottoposta ad indagini”.

La Sezione Sesta, rileva come l’impiego della congiunzione ‘o’ , utilizzata nel primo comma della norma, non appaia “decisivo né per sostenere che quando il divieto di avvicinamento riguardi la persona fisica del soggetto tutelato dalla misura, possa prescindersi dalla indicazione dei luoghi da questi abitualmente frequentati né per affermare che quella indicazione debba indefettibilmente accompagnare la prescrizione del divieto di avvicinamento.”

Secondo il Collegio remittente, e’ “in relazione alle concrete esigenze di tutela che si vogliono garantire con l’imposizione della misura, in rapporto alle peculiari modalità di esplicazione delle condotte illecite e particolarmente al loro profilo statico o dinamico nonché al tipo di reato configurabile (è d’uopo pensare come poli terminali della riflessione alle due figure paradigmatiche degli artt. 572 e 612-bis cod. pen.) che dovrà misurarsi lo sforzo interpretativo, non necessariamente in termini di alternatività delle indicate opzioni, bensì con l’adozione delle opportune precisazioni circa i limiti di applicazione delle prescrizioni secondo le necessità richieste dalla specificità del caso.”

Soluzione, quest’ultima, adottata dal filone “intermedio” delineato in una decisione della stessa Sesta Sezione (segnalata dal Massimario nella citata relazione n. 19 del 2016) n. 28666 del 23/06/2015, J.A.K.W.S. (non massimata) secondo la quale “l’art. 282-ter cod. proc. pen. consente di modulare il divieto di avvicinamento sia guardando ai luoghi frequentatati dalla vittima che prendendo, come parametro di riferimento, direttamente il soggetto che ha patito l’azione delittuosa, potendo l’iniziativa cautelare essere strutturata imponendo all’indagato di tenersi ad una certa distanza dalla vittima”; “un’unica misura con contenuto flessibile da declinare a seconda delle esigenze di neutralizzazione del rischio di reiterazione imposte dal caso di specie”. Quando il provvedimento si limiti a fare riferimento alla persona offesa e non anche ai luoghi da questa frequentati, non è necessario “delimitare, attraverso l’indicazione di luoghi ben individuati, il perimetro di operatività del divieto”; viceversa quando il provvedimento faccia anche riferimento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, “il divieto di avvicinamento deve necessariamente indicare in maniera specifica e dettagliata i luoghi rispetto ai quali è inibito l’accesso all’indagato”.

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La peculiarità della misura, in relazione alla sempre più crescente diffusione dei reati relativamente ai quali trova maggiore applicazione (codice rosso), necessitava della sollecitata chiarezza interpretativa, soprattutto dopo l’introduzione, ad opera della L. 69/2019, del nuovo reato previsto dall’art. 387 – bis C.p. (Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa). Tale norma punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni chi viola gli obblighi delle misure indicate negli artt. 282 – bis C.p.p. e 282 – ter C.p.p., il che rende, ancor più, indispensabile che la persona sottoposta a tali misure debba avere ben chiari i limiti della propria libertà di movimento e la portata delle prescrizioni impostegli al fine di non incorrere nell’ulteriore reato. L’applicazione della misura dovrà, inoltre, sempre contemperare le cogenti esigenze di cautela della vittima con i diritti della persona sottoposta a misura (art. 13 Cost.). 

Non ci resta che attendere la decisione delle Sezioni Unite.
Per scaricare la sentenza, depositata successivamente a questo contributo, cliccare sul link.

(*) Viviana Torreggiani:
Avvocato del Foro di Mantova è stata Presidente della Camera Penale Lombardia Orientale, Sezione di Mantova dal 2014 al 2018. Già componente dell’Osservatorio per la Deontologia e la qualità del Difensore istituito dalla Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane e Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Mantova dal 2004 al 2014, dal 2014 è Consigliere Distrettuale di Disciplina presso il CDD di Brescia. Si occupa di diritto penale, diritto di famiglia e dei minori. Collabora con la rivista on-line IL PENALISTA, ed. Giuffrè, ed è referente della redazione scientifica locale. È coautore della “Consulenza tecnica”, collana Officina del diritto, ed. Giuffrè, anno 2017 e Autore degli artt. 96-108 cpp del ”Codice di procedura penale”, le Fonti del diritto italiano, a cura di Giovanni Canzio e Renato Bricchetti, ed. Giuffrè, anno 2017. Buon ultimo, è una nostra cara amica che ringraziamo per il contributo che siamo felici di ospitare.