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06 settembre 2021

LE OMBRE DELLA RIFORMA CARTABIA - di Aldo Casalinuovo (*)

Prosegue sul nostro blog il dibattito sulla Riforma Cartabia (il piano completo al link). Dopo gli interventi di Giorgio Spangher (link), Bartolomeo Romano (link), Paolo Ferrua (link), il confronto tra Cataldo Intrieri (link) e Marco Siragusa (link), e gli interventi di Daniele Livreri (link) Michele Passione (link) , Daniele Carra (link) e di Filippo Giunchedi (link), ospitiamo con vero piacere l'intervento di Aldo Casalinuovo




La riforma Cartabia approda al Senato per il definitivo via libera e, naturalmente, tiene banco nel dibattito politico ed in quello tecnico/giuridico. E’ indubbio che la maggiore novità in essa prevista sia quella costituita dalla improcedibilità per decorso di un tempo prestabilito nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, che determinerà per l’appunto la “fine” del processo, la sua irreversibile caducazione (con possibilità di proroghe diversamente modulate secondo il titolo di reato). Interrotta la prescrizione del reato in via definitiva dopo la sentenza di primo grado, il processo si estinguerà se non si giungerà alla sentenza di appello nei successivi due anni e a quella della Cassazione nell’ulteriore anno dopo la sentenza di secondo grado (rispettivamente tre anni e un anno e sei mesi nel regime transitorio previsto fino al 2024). Si tratta di una previsione normativa che ricorda molto da vicino la biblica foglia di fico: onde rimediare alla assurda abolizione della prescrizione del reato dopo la sentenza di primo grado (assurda in quanto abrogativa di una “storica” garanzia per il cittadino sottoposto a processo, nonché direttamente e specularmente connessa al ragionevole tempo di attuazione della c.d. “pretesa punitiva” dello Stato), si opta per una sorta di “prescrizione processuale”, finora sconosciuta al nostro ordinamento e certamente foriera di problematiche interpretative ed attuative di non poco momento, per come già ampiamente segnalato dalla migliore dottrina processual-penalistica italiana. I pentastellati che esultarono per la sciagurata introduzione dell’interruzione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, oggi votano per la c.d. prescrizione processuale, con una incomprensibile e quasi schizofrenica piroetta in cui è ben difficile trovare una sequenzialità logica, coerente e razionalmente orientata sul piano dei diritti e dei principi generali. Che l’accertamento giudiziario debba avere un termine è principio di civiltà giuridica elementare; che questo termine si debba ricollegare, così come è sempre stato, alla sfera del diritto sostanziale, e dunque alla prescrizione del reato, e non già a quella processuale, era ed è tuttora ( fino a … nuovo ordine) principio consolidato nel nostro ordinamento. C'e' da chiedersi, allora, se modifiche così invasive e direttamente incidenti su segmenti strutturali dell'ordinamento penale corrispondano davvero ad una necessità di sistema, ovvero se esse non siano soltanto il frutto avvelenato (con relative appendici) di una ottusa e demagogica campagna propagandistica di una parte politica. Siamo, ad oggi, ad una sorta di surreale gioco dell'oca, che riporterà, alla fine, alla medesima casella di partenza: quella, cioè, in cui sta scritto che l'accertamento penale, nel suo completo arco, non può giammai protrarsi senza termine conclusivo (come avrebbero voluto i fautori della "prescrizione mai") ma deve avere un limite temporale massimo prestabilito dalla legge, in virtù di un superiore ed

inderogabile principio di civiltà giuridica e della sacrosanta aspettativa della collettività ad una risposta del sistema in tempi ragionevoli (non per nulla il principio della ragionevole durata del processo ha assunto, dal 1999, rango costituzionale). In buona sostanza, ciò che ieri avveniva con la prescrizione del reato, domani avverrà con la prescrizione del processo, ovvero con l'improcedibilità (pur, come detto, tra non trascurabili incognite di natura interpretativa ed attuativa). Ed allora, che senso avrà avuto lo stravolgimento della complessa e delicata trama dell'ordinamento penale in alcuni dei suoi più significativi e consolidati passaggi? Che senso avrà avuto l’accidentato percorso politico-parlamentare dalla prima riforma Bonafede sulla prescrizione a quella odierna della ministra Cartabia? Nessun senso, se non quello di soddisfare (in modo peraltro del tutto effimero) l'ipnotica ed ossessiva ripetizione di rozze parole d'ordine atte a suggestionare, assecondandola, l'opinione pubblica meno avvertita e più istintiva del nostro Paese. Alle originarie e lineari previsioni dei padri del diritto - patrimonio della nostra cultura giuridica - si sostituiranno le alchimie imperfette e pasticciate delle mediazioni politiche al ribasso, figlie di una fase storica nazionale assai controversa e non esattamente esaltante. L'evidente tendenza a depotenziare ed indebolire la funzione della difesa nei gradi di giudizio successivi al primo, completa poi il quadro francamente allarmante della riforma in procinto di essere approvata anche al Senato. Nel processo di appello e nel giudizio di cassazione, infatti, si stabilizzano le norme emergenziali introdotte a causa della pandemia. I giudizi di impugnazione saranno regolarmente trattati con rito camerale non partecipato, ovvero con mero contraddittorio scritto, e dunque i difensori non potranno intervenire per la discussione orale, a meno che non procedano a formulare espressa richiesta in tal senso. Sarà necessaria, altresì, una specifica dichiarazione di elezione di domicilio a pena di inammissibilità dell’impugnazione, mentre si dovranno disciplinare in sede di attuazione della delega insidiosi ampliamenti delle cause di inammissibilità degli atti di impugnazione in appello e in Cassazione. Modifiche che, all’evidenza, hanno un solo scopo: quello di ridimensionare l’intervento della difesa nei giudizi di impugnazione ed addirittura di rendere più difficoltoso l’accesso al grado di giudizio sovraordinato. Una visione di palese arretramento sul piano del compiuto esercizio del diritto di difesa che non può in alcun modo essere condivisa ed anzi dovrà con forza – nei margini di residua possibilità - essere contrastata.

(*) Aldo Casalinuovo: è avvocato penalista dal 1986. È stato componente della Giunta Ucpi dal 2002 al 2006,  presidente della Camera Penale "A. Cantafora" di Catanzaro dal 2006 al 2012, vicepresidente del Consiglio delle Camere Penali dal 2010 al 2012. Attualmente è componente del COA di Catanzaro