Concludiamo le nostre analisi agostane sulla Riforma Cartabia (il piano completo al link). Dopo gli interventi dei professori Giorgio Spangher (link), Bartolomeo Romano (link), Paolo Ferrua (link), il confronto tra Cataldo Intrieri (link) e Marco Siragusa (link), e gli interventi di Daniele Livreri (link) Michele Passione (link) e Daniele Carra (link), siamo onorati di pubblicare il commento dell'avv. prof. Filippo Giunchedi
1. La breve esperienza del ricorso al contraddittorio cartolare nei giudizi di appello e di legittimità in luogo della partecipazione delle parti quale conseguenza della necessità di evitare occasioni di contagio e diffusione del virus, viene riproposto con il D.D.L. A.C. 2435 e gli emendamenti apportati dal Governo lo scorso 14 luglio.
Il quadro composito che emerge dal testo finale può sintetizzarsi in questi termini:
a) la celebrazione del giudizio di appello dovrà avvenire mediante «rito camerale non partecipato», a meno che l’imputato ed il suo difensore non richiedano la trattazione orale (art. 7 lett. g);b) nei casi non contemplati dall’art. 611 c.p.p. la trattazione dei ricorsi per cassazione dovrà avvenire «con contraddittorio scritto senza l’intervento dei difensori», a meno che le parti non facciano richiesta di celebrazione in pubblica udienza o in camera di consiglio partecipata (art. 7 lett. h-quater);c) si potrà ovviare alla omessa richiesta di trattazione orale formulata dalle parti in due ipotesi: c’) qualora sia la Cassazione stessa a ritenerla necessaria (art. 7 lett. h-quater, secondo periodo); c’’) quando la Cassazione intenda dare al fatto una diversa qualificazione giuridica (art. 7 lett. h-quater, ultimo periodo).
A tacer della pessima tecnica utilizzata che lascia aperti non pochi interrogativi, come, ad esempio, se vi sia identità tra il rito camerale non partecipato previsto per l’appello e il contraddittorio cartolare applicabile al giudizio di legittimità; oppure se il contraddittorio scritto previsto per il giudizio di cassazione sia estensibile anche al Procuratore Generale e non solo alle parti private, considerato che il riferimento è all’«intervento dei difensori».
Si tratta di aspetti che emergono ictu oculi e che destano non poche perplessità sulla “perizia” con la quale sono stati predisposti i criteri direttivi deformanti un testo – quello originario – di pregevole fattura sul piano sistematico.
Di seguito evidenzierò quelli che, a mio avviso, costituiscono i punti critici della direttiva relativa allo specifico profilo del contraddittorio in sede di impugnazione, non limitandomi, però, alla sola pars destruens, ma, in un’ottica costruttiva, cercherò di offrire qualche idea (pars costruens) tesa a migliorare un contraddittorio che non necessariamente deve sempre e solo avvenire mediante la partecipazione delle parti.
Procederò trattando in un primo momento del giudizio di appello per volgere, poi, a quello di legittimità, riservandomi nell’ultimo paragrafo qualche spunto.
2. Nel giudizio di appello – al pari, seppur con le eccezioni sottolineate al punto c) del precedente paragrafo, del procedimento di cassazione – il modello utilizzabile di default è quello del «rito camerale non partecipato», da intendersi – cum grano salis – quale contraddittorio cartolare così come si verifica nel modello delineato dall’art. 611 c.p.p., con decisione da parte del giudice di appello fondata solo ed esclusivamente sul contraddittorio instaurato dalle parti mediante gli scritti (atto di appello, motivi nuovi, memorie, note di replica, etc.) con eventuale celebrazione di udienza partecipata a seguito di richiesta dell’imputato o del suo difensore.
Come anticipato, non ritengo possa negativizzarsi in assoluto un modello che, prima ancora che venisse introdotto dal legislatore per far fronte alla necessità di evitare occasioni di incontro volte a prevenire il rischio del contagio, veniva applicato con frequenza nella prassi quotidiana per l’abitudine di non pochi difensori di riportarsi ai motivi di impugnazione. Semmai, va sottolineata l’imprescindibilità del confronto in udienza onde consentire un contraddittorio effettivo che sia di ausilio a parti e giudice. E sotto questo profilo, per il giudizio di cassazione la previsione di un contraddittorio orale instaurato direttamente per volontà della Cassazione (art. 7 lett. h-quater, secondo periodo), pare rispondere proprio a questa (indiscutibile) necessità.
Rimettere l’opzione per la trattazione orale al solo imputato (e al suo difensore), francamente desta qualche perplessità, posto che la necessità di dover ricorrere al contraddittorio orale può sorgere anche in capo al Procuratore Generale o al giudice stesso, interessato a cogliere aspetti poco chiari o non adeguatamente sviluppati negli scritti difensivi, sollecitando durante la relazione i necessitati chiarimenti e approfondimenti. Non mi risulta comprensibile, quindi, la ragione per cui questa possibilità sia prevista per il solo giudizio di legittimità.
3. Di certo maggiormente consolidata risulta l’applicazione del modello del «contraddittorio scritto» per la trattazione dei ricorsi per cassazione, anche se non mi appare chiaro se l’inciso «senza l’intervento dei difensori» debba intendersi riferito a tutte le parti (private e pubblica) o, invece, come parrebbe suggerire l’agevole comprensione del lessico utilizzato, non sia applicabile al Procuratore Generale.
Nella prima ipotesi, saremmo al cospetto di un’inescusabile trascuratezza del dato normativo testuale; mentre nella seconda si determinerebbe una perequazione tra parte pubblica e parti private che, ragionevolmente, risulterebbe destinata a spingere queste ultime a richiedere la trattazione orale, per l’impossibilità di realizzare quel contraddittorio cartolare applicabile nel modello delineato dall’art. 611 c.p.p., rispettoso delle condizioni di parità richieste dalla stessa Grundnorm (arg. ex art. 111, comma 2, Cost.). Diversamente si svilupperebbe un analogo parallelo con il modello di trattazione a partecipazione eventuale dettato dall’art. 127 c.p.p., applicabile in una serie di casi, primo tra tutti quello relativo ai ricorsi in materia cautelare, ove per prassi, indipendentemente dalla presenza del difensore, il Procuratore Generale partecipa all’udienza, ivi rassegnando le conclusioni.
Sicuramente apprezzabile risulta la possibilità posta in capo alla Cassazione di instaurare, indipendentemente dalla volontà delle parti, il contraddittorio orale, vuoi per la necessità di approfondire – magari su sollecitazione del Presidente del Collegio assegnatario del ricorso – alcuni temi trattati nel ricorso o non oggetto di replica da parte delle altre parti o per disquisire in ordine all’ipotizzata diversa qualificazione giuridica del fatto; aspetto quest’ultimo rispettoso dell’obiter dictum della decisione della Corte europea nell’affaire Drassich.
Occorrerà, poi, disciplinare con perizia magistrato legittimato a disporre la trattazione orale, modi e tempi dell’iniziativa adottata ex officio.
4. Mettendo à-côté le (doverose) critiche al testo del legislatore, vi sono alcuni correttivi che consentirebbero di migliorare la qualità di un modello – quello a contraddittorio cartolare – sicuramente utile per ricorsi non connotati da aspetti di particolare problematicità.
Innanzitutto, occorre chiarire – ed emendare – quei profili – sopra sottolineati – che destano perplessità in ordine alla distinzione tra le tipologie di contraddittorio applicabile al giudizio di appello e a quello di legittimità.
Allo stesso modo, vi è un altro aspetto che consentirebbe di rendere effettivo il diritto di difesa anche mediante il ricorso al contraddittorio cartolare. Si tratta di idea che ho avuto modo di sviluppare insieme ai Colleghi del Comitato scientifico della Camera penale “Franco Bricola” di Bologna e consiste nella necessità di rendere ostensibili alle parti non solo i relativi scritti onde consentire la replica nel segno del contraddittorio, ma anche la relazione del giudice, di modo che le parti possano comprendere la “fedeltà” della stessa al giudizio di primo grado, alla relativa sentenza e ai motivi di impugnazione.
Il suggerimento che si propone, pertanto, è quello che il giudice (di appello e di legittimità) predisponga la relazione prima delle repliche cartolari e la relativa comunicazione alle parti, così da rendere il contraddittorio meno vacuo.
Un ulteriore spunto di riflessione è legato alla scarsa considerazione offerta dal legislatore al ruolo dell’oralità. Questa consente di poter fruire della capacità persuasiva della dialettica. Il ricorso al contradditorio cartolare rappresenta, infatti, una soluzione di compromesso che trascura come le argomentazioni delle parti costituiscano attività processuale decisiva a tutti gli effetti, principalmente in quei giudizi ove il giudice, per la struttura del procedimento, non gode di una percezione diretta delle prove, come nelle impugnazioni, e non solo quando si argomenti intorno a fatti e relative prove, ma anche in quelle ipotesi in cui la discussione abbia ad oggetto questioni giuridiche apparentemente distanti dal fenomeno gnoseologico.
Conseguentemente, per la sua rilevanza, alla discussione dovrà ricorrersi in tutte quelle occasioni in cui si riterrà che la stessa possa costituire un quid pluris sul piano della persuasività. È sufficiente pensare ai sommi insegnamenti contenuti nell’Ars oratoria di Cicerone e alla Institutio Oratoria di Quintiliano per comprendere quanto sia insopprimibile il connubio retorica e dialettica, ovvero quell’efficace abbinamento tra linguaggio parlato e comunicatività del corpo che, seppur non aprioristicamente rinunciabile in termini assoluti, costituisce l’essenza del processo penale non certo per un capriccio dettato dalla vanità dell’oratore, ma proprio in quanto efficace per il convincimento del giudice.
Filippo Giunchedi
Associato di Diritto processuale penale
nell’Università Niccolò Cusano di Roma