03 agosto 2021

Una soluzione pasticciata - L'intervento del professor Bartolomeo ROMANO sulla riforma penale

Come avevamo anticipato, nel mese di agosto sospenderemo le pubblicazioni giurisprudenziali. Tuttavia, la Riforma del processo penale è un tema di stretta attualità che abbiamo seguito sin dall'inizio nella pagina dedicata (link), al quale abbiamo riservato anche l'ultimo documento del Direttivo della nostra Camera Penale (Il topolino, la montagna e Brecht - al link).
Siamo quindi onorati di ospitare il contributo del professor Bartolomeo ROMANO, che per il nostro blog aveva già commentato i lavori della Commissione Cartabia (link).
Il contributo che pubblichiamo oggi segue quello del professor Giorgio Spangher (link) e anticipa quello del professor Paolo Ferrua che pubblicheremo prossimamente.






Da quando si è insediato il Governo Draghi, il Ministro Cartabia ha ribadito più volte, del tutto condivisibilmente, che occorreva riaffermare il principio della ragionevole durata del processo, in linea con l’art. 111 della Costituzione e con l’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Implicitamente, ciò significava superare la sospensione (rectius: eliminazione) della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, voluta dal precedente ministro Bonafede, che molti avevano tradotto, efficacemente, con “fine processo mai” (mutuando una espressione, in passato, legata all’ergastolo).

Ma la questione, evidentemente, era particolarmente delicata se la Cartabia ha ritenuto di dover partire dal disegno di legge Bonafede, affidando la redazione di eventuali emendamenti alla Commissione Lattanzi, da lei stessa nominata. Poi, tra le due soluzioni ipotizzate dalla Commissione, ha scelto quella meno ragionevole: quella di aggiungere alla prescrizione sostanziale di Bonafede una improcedibilità connessa ai successivi gradi di giudizio. Una soluzione, a mio avviso, pasticciata, sulla quale noti colleghi processualpenalisti hanno formulato fondate critiche. Dubbi riaffermati dal Collega Spangher anche in questo blog (link).

Poi, la via scelta è stata ulteriormente complicata, in seguito a prese di posizione di talune forze politiche e, soprattutto, di una parte, la solita, della magistratura, ed anzi di certi pubblici ministeri, assecondati dal sindacato delle toghe, l’ANM, e seguiti da una parte del Consiglio Superiore della Magistratura.

Innanzitutto, si prevede una norma transitoria, in base alla quale, fino al 31 dicembre 2024, il tempo limite oltre il quale il giudice dichiara improcedibile il giudizio è di 3 anni in secondo grado e di un anno e 6 mesi in Cassazione.

Ma soprattutto, a fronte della previsione generale di due anni per l’appello e uno per il giudizio in Cassazione, a regime, si introduce un triplo regime derogatorio.

Il primo riguarda tutti i reati (e non più solo alcuni). Nei giudizi di particolare complessità i termini sono prolungabili dal giudice di un anno in appello e di sei mesi in Cassazione. Nel periodo transitorio, però, con le proroghe si potrà arrivare rispettivamente a quattro anni e a due anni nella prima fase di applicazione della riforma.

Il secondo regime speciale riguarda i reati aggravati dal metodo mafioso o dall’agevolazione alla mafia (articolo 416-bis.1 del codice penale). Qui dopo la prima proroga i termini possono essere prorogati fino a un massimo di altre due volte, per un totale di tre. Quindi, nel periodo transitorio si parte da tre anni in appello e aggiungendo tre proroghe si arriva fino a sei anni. A regime si partirà da due anni, quindi si scenderà a cinque. In Cassazione, invece, nel periodo transitorio si parte da 18 mesi: aggiungendo tre proroghe di sei mesi ciascuna si arriva a un totale di tre anni. A regime bisogna calcolare una base di un anno, e quindi al massimo si potrà prolungare fino a due anni e mezzo.

Infine, la terza eccezione: per associazione di stampo mafioso, voto di scambio politico-mafioso, reati di terrorismo, violenze sessuali e associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti i termini di base sono gli stessi, ma le proroghe sono rinnovabili all’infinito.

Non credo che questo quadro possa reggere ad un eventuale vaglio di costituzionalità, sia perché il principio della ragionevole durata dei processi vale per tutti i reati, sia per la possibile disparità di trattamento tra imputati di reati diversi. In ogni caso, e mi sembra un punto centrale, si consegna ai magistrati il potere di scegliere la durata dei processi: aumentando ulteriormente un potere discrezionale del quale poi molti politici, a posteriori, si lamentano.

Bartolomeo Romano

Ordinario di Diritto penale nell’Università di Palermo

e già componente del Consiglio Superiore della Magistratura

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