16 giugno 2021

BREVI RIFLESSIONI SULLA COMMISSIONE LATTANZI - di Bartolomeo Romano (*)


Per la rubrica "La Riforma del Processo Penale", ora nella partizione "Il processo che verrà" del nostro blog, siamo onorati di ospitare l'intervento del Prof. Bartolomeo Romano sui lavori della Commissione Lattanzi.
Il piano completo dell'opera è consultabile sulla pagina dedicata di questo blog (link).



















1. Il tema della riforma della giustizia penale è di particolare delicatezza perché questo è un momento di atteso ed auspicato cambiamento di clima rispetto all’approccio che si è avuto negli ultimi anni al mondo della giustizia, specie al mondo della giustizia penale. Abbiamo vissuto anni nei quali prevalevano l’istinto, la pancia, le folle che in piazza invocavano pene esemplari, con le forche talvolta esposte persino in Parlamento. Abbiamo vissuto molti anni in cui chi era garantista sembrava essere fiancheggiatore della mafia; chi era avvocato era visto come un “alleato” dei criminali. Ecco: forse siamo finalmente arrivati al momento di superamento di questo lungo periodo di barbarie; forse si può iniziare a riflettere sulle questioni che riguardano la giustizia. Certo è singolare che la riforma sia spinta apparentemente oggi non tanto da esigenze interne, ma da venti europei; non tanto da richieste che vengono direttamente dal mondo più consapevole della giustizia, ma da istanze veicolate dall’economia. D’altronde, ho sempre pensato che, nel nostro Paese, la riforma della giustizia probabilmente non la avrebbe fatta un ministro della giustizia ma un ministro dell’economia: nel senso che nel nostro Paese lo stato disgraziato della giustizia penale - e non solo di quella - ha provocato un mancato sviluppo, se non un arretramento economico. Ecco dunque, quasi per una vendetta della storia, che è l’economia che tenta di riformare il diritto; è l’Europa che ci spinge a modificare ciò che noi già da soli avremmo dovuto autonomamente cambiare, se soltanto tutti avessimo letto fino in fondo l’articolo 111 della Costituzione. Articolo che proprio le Camere Penali hanno fortissimamente voluto e che è frutto di una battaglia storica dell’Unione delle Camere Penali. Voglio anche sottolineare che il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) riserva 2,3 miliardi di euro (su 191,5) alle riforme in materia di giustizia: è una cifra enorme per un’occasione storica, un’occasione talmente clamorosamente importante che non la dovremmo assolutamente perdere.


2. Ecco che tutto questo si sposa con il tentativo di superare l’era Bonafede al ministero della giustizia.

Noi purtroppo abbiamo una attuale visione della prescrizione che è quanto di più lontano ci sia dal rispetto delle regole costituzionalmente date. Siamo in presenza di una abolizione di fatto della prescrizione dopo il primo grado di giudizio: Bonafede ha inventato il diritto penale senza tempo, in cui ci sono eterni giudicabili e vittime in perenne ricerca di giustizia, senza che quella giustizia probabilmente venga loro data in tempi tali che la possano vedere con i loro occhi. Ma il ministro Bonafede ci ha anche lasciato il disegno di legge 2435. Un disegno di legge dai tratti corrispondenti alla visione del tempo. Un processo penale che in qualche modo comprime e conculca i diritti della difesa; che rende particolarmente difficile accedere riti speciali; che affida la scelta sulla priorità delle indagini addirittura ai singoli procuratori della Repubblica - mantenendo ovviamente fermo il baluardo della obbligatorietà dell’azione penale - ma in pratica dando un foglio in bianco, com’è oggi, al procuratore della Repubblica; che cerca di restringere, con il mandato specifico ad impugnare, l’appello; che inventa il giudice unico di appello. Insomma una serie di misure veramente liberticide e che si sarebbero dovute superare de plano.


3. Ma qui interviene la Ministra Cartabia. Devo dire che la Ministra si è mossa con tutta la sua cautela e con tutta la sua abilità lato sensu politica, certamente riconosciutale non soltanto ora che guida il ministero della giustizia ma anche forse in qualche passaggio pregresso. La straordinaria prudenza che la Ministra Cartabia ha messo in campo - una prudenza che certamente si può comprendere, vista la composizione, per dir così, a patchwork del governo in carica - le ha fatto immaginare di dovere partire da quel disegno di legge Bonafede a cui la Commissione Lattanzi si sarebbe dovuta rapportare predisponendo una serie di appositi emendamenti. Certo, questo potrebbe anche considerarsi un vizio di origine della Commissione Lattanzi - un vizio di origine naturalmente non dovuto alla Commissione ma a chi il mandato lo ha dato - ma devo dire che probabilmente questo mandato non è stato così fortemente accompagnato da raccomandazioni tassative, tanto che in effetti la Commissione Lattanzi ha lavorato con una certa libertà, con una certa larghezza di orizzonti, distaccandosi dal progetto Bonafede. Quindi immagino che il lavoro della Commissione Lattanzi sia stato in qualche modo “autorizzato” ed accompagnato dalla Ministra. Certo è però che nel momento nel quale i lavori della Commissione sono stati resi pubblici si è avuta una levata di scudi da parte alcune forze politiche e qui desta preoccupazione la circostanza che la Ministra Cartabia abbia subito messo le mani avanti, specificando di dovere attentamente riflettere su quanto sottopostole dalla Commissione incaricata. Occorrerà, allora, verificare cosa si salverà e cosa invece sarà cestinato.


4. Vediamo, dunque, in sintesi e per punti fondamentali, cosa ha prodotto la Commissione Lattanzi.

Dal punto di vista del diritto penale sostanziale voglio segnalare alcuni aspetti che mi sembrano particolarmente importanti e che potrebbero essere dei punti strategici ove attivamente seguiti da una approvazione puntuale e da una disciplina conseguente.

Tutto è, comprensibilmente, nell’ottica della diminuzione del carico penale. Certo, si poteva immaginare di procedere con una azione di depenalizzazione particolarmente robusta: ma questo, da un lato, non era nel mandato che la Commissione aveva ricevuto e, dall’altro, rappresenta un tema particolarmente delicato dal punto di vista politico, perché la vulgata generale ritiene che, diminuendo il numero di reati, si favorisca la criminalità; e quindi bisogna avere grande coraggio per fare un’opera di depenalizzazione seria. Allora, si comprende che la Commissione abbia operato lavorando un po’ ai fianchi la questione che stiamo affrontando: cioè, da un lato, ha cercato di deflazionare e di ridurre il carico dal punto di vista delle misure processualpenalistiche; dall’altro, si è servita di misure di diritto penale sostanziale.

Ne voglio segnalare alcune che mi sembrano interessanti. La prima è quella della estinzione delle contravvenzioni per adempimento di una prestazione determinata. Si tratta di una misura in parte innovativa e certamente di portata deflattiva che cerca di attaccare il profilo tendenzialmente ritenuto più basso del contrasto al crimine, e cioè le contravvenzioni.

Il secondo punto che affronta la Commissione Lattanzi è l’ampliamento del ricorso alla querela. È evidente la ratio: ampliando la procedibilità a querela si pensa che una parte delle querele non vengano presentate o che, una volta presentate, raggiunto lo scopo spesso sotteso alla presentazione di una querela - cioè il risarcimento del danno - le querele possano in qualche modo scomparire. Anche questa è una misura che si può prevedere e che ha una sua logica.

Ulteriori misure tese al perseguimento della medesima finalità possono considerarsi l’ampliamento dei margini della tenuità del fatto ed il tentativo di allargare le maglie dalla sospensione del procedimento con messa alla prova. Si tratta di istituti che già conosciamo - e pertanto per ragioni di sintesi non mi soffermerò - i quali, tuttavia, non sempre hanno brillato per risultati e coerenza.


5. Più interessanti sono altri due profili, solo in parte innovativi, i quali però mostrano una sicura consapevolezza della materia. Naturalmente, si tratta di aspetti sui quali immagino il dibattito si aprirà e le polemiche, soprattutto su un versante, potranno essere particolarmente delicate: le pene pecuniarie e la giustizia riparativa.

Sotto il primo profilo, la Commissione opportunamente riflette sul ruolo e sull’efficacia della pena pecuniaria, questione nota ai professori di diritto penale in particolare, ma anche ad avvocati e magistrati. Ora, la pena pecuniaria è una delle sanzioni più problematiche tra quelle presenti nel nostro ordinamento penale. Ci sono Paesi nei quali le pene pecuniarie rappresentano la gran parte della risposta al crimine (88% circa in Germania); ed in molti paesi del nord Europa le sanzioni pecuniarie costituiscono la spina dorsale sulla quale si muove il diritto penale. Perché il diritto penale, ovviamente, non è - né potrebbe essere – soltanto carcere o soltanto pena detentiva. La pena pecuniaria rappresenta un’alternativa seria, ove però la pena pecuniaria sia una pena correttamente inflitta e conseguentemente eseguita. Ora, in Italia abbiamo storicamente almeno due problemi. Il primo problema è l’effettiva esecuzione della pena pecuniaria. Al carcere, alla pena detentiva difficilmente ci si può sottrarre; naturalmente ci possono essere casi isolati, ma come tutti noi sappiamo è molto difficile che ciò avvenga, perché il bene da prendere, la libertà personale, vive sulla persona che la porta non sé: quindi, basta catturare la persona e la libertà personale viene compressa. La pena pecuniaria è invece difficilmente eseguibile, perché bisogna andare a trovare delle somme, poi da versare nelle pubbliche casse; e tali somme - lo sappiamo con certezza – difficilmente nel nostro Paese vengono efficacemente cercate e successivamente versate. Con brutale franchezza può affermarsi, infatti, che in Italia quasi nessuno subisce realmente le pene pecuniarie: questo è un problema enorme che bisognerebbe approfondire e sul quale la Commissione Lattanzi non ha potuto ragionare fino in fondo, anche per questioni temporali.

Ma c’è un’altra questione che razionalmente precede la fase dell’esecuzione della pena, e cioè il momento di commisurazione della pena: è questo un altro aspetto di particolare e straordinaria delicatezza. Mi spiego sinteticamente: la pena detentiva tendenzialmente incide in modo uguale su tutte le persone che ne sono colpite: 5 anni di carcere sono 5 anni di carcere per tutti. Naturalmente, la mia è una semplificazione generalizzante, perché è chiaro che 5 anni di carcere per una persona giovane sono una parentesi che si conclude, mentre 5 anni di carcere per una persona in età avanzata sono una sorta di pena finale.

Invece, per la pena pecuniaria la questione è diversa, perché il peso della pena pecuniaria riguarda ciascuno di noi in ragione delle nostre capacità economiche. Una pena pecuniaria di 5 mila euro per una persona minimamente benestante non cambia di fatto nulla: sarà una sopportabile conseguenza negativa della condanna; 5 mila euro per un nullatenente sono una invece una somma altissima; e la stessa cifra, 5 mila euro, per un ricco imprenditore rappresenta un semplice fastidio connesso all’ordine di versamento, ma nulla di più. Quindi, la pena pecuniaria non è una pena uguale per tutti e questo è molto importante averlo presente, perché nel nostro Paese, ai sensi degli articoli 133-bis e 133-ter del codice penale la pena pecuniaria non distingue le diverse capacità economiche, se non per una minima misura e con la possibilità di rateizzazione: ma sono piccolezze, dettagli, sfumature.

Nell’Europa del nord, invece, la situazione è molto diversa e noi italiani sappiamo che esiste un modo diverso di commisurare la pena pecuniaria perché lo abbiamo “importato” con il decreto legislativo n. 231 del 2001, ma solo in materia di responsabilità amministrativa degli enti da reato: il sistema dei tassi giornalieri. Ora la Commissione Lattanzi immagina di introdurre, in generale, per le pene pecuniarie questo sistema: è una riforma coraggiosa, ma forse anche rischiosa. Perché, come funziona il sistema dei tassi giornalieri? Lo dico in pillole. C’è un numero di tassi giornalieri tendenzialmente uguale per tutti i soggetti condannati, ma c’è un valore che cambia in relazione alle capacità economiche del condannato. Quindi, a parità di numero di quote, la pena finale sarà differente. Se si moltiplica 5×1.000 si ottiene 5.000; ma se si moltiplica 5×10.000, la somma ottenuta è di 50.000 euro. Quindi bisogna capire se questo sistema a regime funzionerà. Naturalmente, il problema di questo sistema non è nella sua astratta correttezza e giustizia, perché questo non lo possiamo certamente negare, ma è nella ricostruzione corretta del patrimonio o del reddito del singolo. Intendo: in un Paese segnato da una fortissima evasione fiscale e da una altrettanto elevata elusione fiscale c’è il rischio che l’evasore o l’elusore la faccia franca due volte. La prima perché non paga le imposte; la seconda perché, quando condannato a una pena pecuniaria basata sul sistema di tassi giornalieri, se la caverà a modico prezzo, rispetto a quanto noto al fisco. Quindi il ricorso al sistema dei tassi giornalieri rappresenta una ipotesi coraggiosa, ma che va forse sostenuta da un quadro più ampio di riflessione.


6. Un ulteriore profilo particolarmente interessante è quello rappresentato dalla giustizia riparativa. Questo è un argomento di particolare importanza e delicatezza che noi studiosi conosciamo perché fa un lungo percorso, dal modello statunitense a quello anglosassone, per arrivare via via a passi brevi nel nostro ordinamento. Il sistema di giustizia riparativa è quello che sostanzialmente rende nuovamente protagonista la vittima del reato e rende l’autore del reato compartecipe della sofferenza della vittima, in qualche modo rispolverando in chiave moderna quell’antica origine del diritto penale che era ne cives ad arma veniant; e cioè una giustizia che - sia pur oggi modernamente con l’intervento dello Stato - cerca di restituire alla vittima ciò che l’autore le ha tolto. E questo è un aspetto positivo, perché nel quadro generale che noi stiamo percorrendo insieme innesta un percorso virtuoso nel quale ancora una volta il diritto penale sanzionatorio - con lo schiaffo pesante del carcere o quello schiaffo oggi inefficace ed inattuato della pena pecuniaria - non è l’unico esito percorribile. Ci sono strade alternative ed una di queste è la giustizia riparativa alla quale, a mio modo di vedere, opportunamente la Commissione apre, introducendola nel dibattito collettivo.


7. Un fulmineo cenno merita la prescrizione, che rappresenta l’aspetto più delicato di tutti, perché è l’aspetto sul quale la polemica politica si è incentrata. Sul punto la Commissione Lattanzi dimostra di avere avuto una grande difficoltà a ritrovare una visione unitaria ed è l’unico caso, tra tutte le proposte indicate, nel quale la Commissione prospetta due soluzioni alternative. Una in linea con il modello della riforma Orlando; l’altra ipotizza un sistema misto fra la prescrizione sostanziale e quella processuale.


8. Mi sia consentito però di concludere con una nota di pessimismo. È stato affidato alla Commissione Lattanzi il mandato, sia pur circoscritto, di migliorare il sistema della giustizia penale nel nostro Paese. Tra l’altro è la prima di una serie di commissioni: sono stati appena pubblicati la relazione e l’articolato della Commissione Luciani su un tema altrettanto delicato, e cioè quello della riforma dell’ordinamento giudiziario e del Consiglio Superiore della Magistratura. Poi, però, abbiamo legato queste commissioni ad un vaglio ministeriale e subordinato i risultati a ulteriori interlocuzioni con le varie forze politiche, con l’idea di presentare emendamenti a testi preesistenti: ci aspetta, allora, un percorso già lungo e complesso che ovviamente ha una sua conclusione naturale con la fine della legislatura. Allora mi chiedo: se ci fossero delle riforme condivise e giuste, non sarebbe bene forse levarle da questo “minestrone” generale e approvarle immediatamente, dimenticando il vecchio disegno di legge Bonafede e superando la frenante “galanteria” istituzionale, prendendo qualche cosa sulla quale siamo tutti d’accordo e approvandola nei modi che la politica, se vuole, trova? Altrimenti, temo che discuteremo per alcuni mesi e poi ci sarà l’elezione del Presidente della Repubblica: com’è noto, due dei candidati più in vista sono proprio l’attuale presidente del Consiglio e l’attuale ministro della giustizia. Se venisse eletto uno di loro immagino che il processo riformatore rallenterebbe ulteriormente: ecco, non vorrei che tutto finisca in politichese e che tutto finisca in una melina istituzionale per la quale si lasciano gli accademici a ragionare, ed i giuristi d’azione, gli avvocati, i magistrati, ed in parte anche gli imputati e le vittime, a soffocare per mancanza di ossigeno nelle aule, finendo per mantenere il quadro attuale. Questa, in conclusione, è la mia più grande preoccupazione.



(*) Bartolomeo Romano:
 
È professore ordinario di diritto penale nell'Università di Palermo e Avvocato Cassazionista. Dal luglio 2008 al giugno 2010 è stato Consigliere giuridico del Ministro della Giustizia. Nel luglio 2010 è stato eletto dal Parlamento in seduta comune Componente del Consiglio Superiore della Magistratura per il quadriennio 2010-2014. È stato Direttore dell'Ufficio Studi e Documentazione del CSM dal 2011 al 2013.Già Presidente del Corso di laurea in Scienze giuridiche, con sede in Trapani, è stato Consigliere di amministrazione del Consorzio Universitario della Provincia di Trapani. Dal settembre 2006 al febbraio 2009 è stato Presidente del Polo Universitario della Provincia di Agrigento (CUPA). Dal 2008 insegna Diritto penale a Palermo. Autore di oltre un centinaio di pubblicazioni, tra le quali è opportuno menzionare soprattutto tre monografie pubblicate nella prestigiosa collana degli Studi di Diritto penale edita da Giuffrè: La subornazione. Tra istigazione, corruzione e processo, Milano, 1993; Il rapporto tra norme penali. Intertemporalità, spazialità, coesistenza, Milano, 1996; La tutela penale della sfera sessuale. Indagine alla luce delle recenti norme contro la violenza sessuale e contro la pedofilia, Milano, 2000. Più recentemente, ha pubblicato tre ulteriori volumi dei quali è stato necessario predisporre ulteriori edizioni, rinnovate ed ampliate: Diritto penale, parte generale, 4ª ed., Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2020; Delitti contro l'amministrazione della giustizia, 6ª ed., Giuffrè, Milano, 2016; Delitti contro la sfera sessuale della persona, 6ª ed., Giuffrè, Milano, 2016. È inoltre autore o coautore di altri volumi, per le Case editrici Cedam, Utet e Pacini Giuridica, nonché di numerosi articoli pubblicati nelle più importanti riviste giuridiche italiane ed estere.

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