IN RICORDO DI MIO PADRE - di Domenico Battista (*)
(in foto l'Avvocato Vittorio Battista)
Torna alla ribalta proprio in questi giorni il tema della difesa di ufficio. Ma, purtroppo, torna ad essere messa in discussione, a causa dello svilimento della professione forense e con una parte dell'Avvocatura intenta più a curare gli "interessi di categoria" di natura sindacale che non a battersi per l'affermazione dei principi del "giusto processo", l'esigenza primaria per gli Avvocati di assicurare l'effettività della difesa e, quindi, di assolvere lo speculare dovere di difesa.
Venticinque anni fa (un quarto di secolo, ma mi sembra ieri!), il 12 giugno 1990, è scomparso mio padre.
Pur vivendo con lui la metà della giornata, e talvolta di più, ignoravo, come lo ignoravano i miei familiari, che conservasse in un cassetto un "diario" nel quale erano annotate considerazioni personali, familiari, politiche; e non potevano mancare, per chi aveva dedicato una vista alle istituzioni ed associazioni forensi (compresa la Camera penale di Roma e l'Unione delle Camere Penali Italiane) annotazioni sull'avvocatura e sul ruolo e la funzione del difensore nel processo penale.
Nel 1979 non esisteva ancora la nuova normativa sulla difesa di ufficio del 2001 (della quale, a suo tempo, mi sono personalmente occupato, facendo uso prezioso delle sue carte, dei suoi appunti e dei suoi scritti); né esisteva la recentissima, per certi versi positivamente rivoluzionaria, normativa del 2015 (ma, posso azzardare, che Papà sarebbe stato ben lieto di leggere le considerazioni sul "dovere di difesa" raccolte in recente documento dello specifico Osservatorio UCPI).
Ma esisteva il problema (che ebbe risvolti drammatici con il vile assassinio dell'Avvocato Fulvio Croce, Presidente del COA di Torino) delle revoche in processi per reati di terrorismo dei difensori di fiducia e la conseguente nomina di difensori di ufficio.
Non erano momenti facili. Sarebbe stato agevole, tra l'altro in tempi di processo inquisitorio, limitarsi ad un rituale "minimo della pena". Alcuni lo fecero. Altri si sottrassero con mille scuse. Ma in molti Avvocati prevalse il "dovere" di assicurare comunque la difesa tecnica, pur senza contrastare il legittimo diritto degli imputati di affermare la propria "identità politica" finanche rivendicando dalle "gabbie" la "bontà" delle scelte delittuose.
Trascrivo una parte degli appunti di quei giorni. E penso non vi sia necessità di commenti. Parole e condotte che a me hanno insegnato molto. E che rendo pubbliche perché, lo spero, potrebbero ancora rafforzare chi, per sua fortuna, non ha vissuto quell'epoca storica, ma che oggi vive nelle aule giudiziarie la consapevolezza dell'esigenza di un ruolo e di una funzione da difensore effettivo e non da conivitato di pietra o, peggio, da "sopportato processuale".
DAL DIARIO DELL'AVV.VITTORIO BATTISTA
(25 ottobre 1922/12 giugno 1990)
(9 maggio 1979, Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma e Corte di Assise di Roma, processo contro V.)
“Puntualmente, come del resto era prevedibile, Corte di Assise di Roma, sezione prima, aula bunker del Foro Italico, sette nappisti revocano il mandato ai loro difensori di fiducia. Come era mio dovere avevo indicato alla segreteria dell’Ordine ove ero raggiungibile (…)
Mi presento al Presidente Santiapichi. L’udienza riprende, si assegnano i difensori di ufficio; a me compete, ancora una volta, difendere la V. Chiedo la parola per i termini a difesa. Mi interrompe e mi minaccia un imputato (mi dicono che si chiama D.V); il Presidente lo fa espellere.
Riprendo a parlare con calma perché sento in me molta calma ed una serenità quale di rado capita.
Dico che vogliamo esercitare nella pienezza delle nostre funzioni, avvertendo la responsabilità tutta quanta del compito. Il termine deve essere adeguato e congruo. Mi ascoltano tutti – anche gli imputati – in silenzio. (….)
Anche questa volta mi trovo impegnato in prima linea; più esposto che mai. Gli “altri” non scherzano. Sarebbe sciocco pensare o illudersi di non aver timore. Io l’avverto, perché negarlo ?
Ma la funzione di Consigliere dell’Ordine e la mia ideologia professionale mi impongono di superarlo. Io la penso così e, di solito, sono coerente fra il mio pensiero e la mia azione. Non mi sono mai sottratto, mai, a questa logica onesta, anche se scomoda. L’ho collaudata da giovane ai tempi calamitosi: ho subito, ho pagato di persona, ma di fronte a me stesso, alla mia coscienza, mi sono sentito pulito. Torno, dopo alcuni decenni (chi l’avrebbe immaginato?) a rischiare la vita: è bene non nasconderselo. (….)
Una sola grande soddisfazione : Domenico mi ha chiesto di partecipare con me al processo e quindi al rischio. Caro figliuolo, sono fiero di te, ma non posso consentirti di rischiare; hai dinanzi a te una vita, tuo figlio soprattutto. Lasciami solo con la squallida viltà altrui” (….)
(26 settembre 1979, Corte di Assise di Roma, processo contro V.)
“Corte di Assise di Roma, aula bunker del Foro Italico. E’ il giorno della mia discussione, in difesa della V. (…) Solo? No! Pierluigi viene con me, con due suoi amici: vuol essermi vicino. Domenico sarebbe venuto egualmente, ma ho dovuto mandarlo a Messina per un delicato processo in cui sono stato associato; tornerà nel pomeriggio. (…)
Quando mi alzo a parlare, inizia la commedia: ingiurie, derisioni, minacce ! Ne hanno parlato i giornali. Ma io ho fatto tutto intero il mio dovere, egualmente. Ho detto alla Corte che, nel momento in cui prendevo la parola non obbedivo allo Stato di cui non sono servo, ma alla mia coscienza ed alla Costituzione che esalta il diritto di difesa.
Ho detto che mi ispiravo al principio di legalità, perché la mia funzione era appunto di garante della legalità e che la Corte, con questo processo, scriveva una pagina da segnarsi all’attivo della nostra civiltà giuridica.
Ho parlato per oltre due ore, difendendo disperatamente che mi aveva ingiuriato e minacciato.
La mamma della V. mi ha ringraziato in lacrime; la sorella ha tenuto a dirmi che ero un uomo onesto e limpido e che se una speranza lievissima nutriva ancora verso la giustizia, questa speranza era la mia persona. Ho detto che questa dichiarazione era il miglior compenso per la mia fatica.
Molti si sono rallegrati con me, specie gli avversari.
Sono lieto per non aver avuto paura di avere coraggio; sono soprattutto vinto dalla serenità di essere riuscito a compiere il mio dovere”.