08 giugno 2021

La Riforma del Processo penale - 11.3 la riforma dei termini - Le risposte dell'avvocato, Ottavia Murro (*)

Per la rubrica "La Riforma del Processo Penale", pubblichiamo l'intervento dell'avvocato, Ottavia Murro relativo alla sezione "Termini e processo" della riforma.
La nuova rubrica sottopone alcune domande a un giudice, un pubblico ministero, un avvocato e ad un docente universitario.
Il piano completo dell'opera è consultabile sulla pagina dedicata di questo blog (link).
Il progetto di legge per la “DELEGA AL GOVERNO PER LA MODIFICA DEL CODICE DI PROCEDURA PENALE, DEL CODICE PENALE E DELLA COLLEGATA LEGISLAZIONE SPECIALE E PER LA REVISIONE DEL REGIME SANZIONATORIO DELLE CONTRAVVENZIONI”, è all’esame, in sede referente, della Commissione Giustizia della Camera dei deputati, che ha anche svolto numerose audizioni inerenti il testo della riforma.






1- Il legislatore intende delegare ai magistrati, nell’esercizio delle rispettive funzioni, l’adozione di misure organizzative volte ad assicurare la definizione dei processi penali nei termini indicati dall’art. 12, condivide tale intendimento e se si quali sarebbero, a suo giudizio, le concrete misure organizzative che il singolo magistrato potrebbe adottare?
Prima rispondere alla domanda credo che vadano fatte delle considerazioni preliminari. Il problema non è solo la durata del processo penale ma anche (e soprattutto) la sua qualità, ovvero il concreto rispetto dei principi che governano il nostro rito, ossia contradittorio, oralità, immediatezza e non colpevolezza. Quello che preoccupa è l’erosione constante di tali principi non solo nelle aule dei tribunali, ma anche nell’immagine che attraverso i media si vuol dare del processo penale (e forse tale ultimo aspetto rischia di diventare quello più preoccupante). Un processo che rispetti rigorosamente tutte le regole e i principi che lo governano può essere assoggettato anche a termini di celebrazione molto brevi. Altra premessa, che credo sia doverosa, è strettamente connessa alla concreta applicabilità di una norma astrattamente prevista. L’attuale carico giudiziario non consente di rispettare i termini di cui all’art. 12; pertanto, sarebbe opportuno e doveroso iniziare a ragionare in termini di “diritto penale minimo”, archiviazione condizionata, di mediazione penale in fase di indagine, di accessibilità a tutti i riti premiali in fase di indagine, ivi comprese le condotte riparatorie (ampliando chiaramente i benefici in caso di richiesta di rito in fase di indagine); al fine di avere un contenzioso ridotto.
Premesso ciò, è auspicabile e necessario adottare una cadenza dei tempi processuali al fine di conferire una maggiore celerità al processo stesso. Invero, nella prassi, molti processi vengono calendarizzati, proprio per consentire alle parti una migliore organizzazione e gestione del processo stesso. Non credo, tuttavia, che delegare ai soli magistrati “l’adozione di misure organizzative” sia la soluzione preferibile. L’organizzazione del processo andrebbe decisa nel contradditorio delle parti, subito dopo l’ordinanza di ammissione delle prove, valutando insieme all’organo giudicante l’attività istruttoria da svolgere e i tempi necessari per acquisire – nel rispetto dei principi di cui sopra – le prove. 

2- A mente dell’art. 12 il dirigente dell’Ufficio è tenuto “a segnalare all’organo titolare dell’azione disciplinare la mancata adozione delle misure organizzative, quando sia imputabile a negligenza inescusabile”, quale il Suo giudizio al riguardo?
Ritengo tale previsione del tutto inefficace. Non credo che la negligenza inescusabile possa mai avere – vista la labilità ed incertezza della sua interpretazione – delle conseguenze di qualche tipo. Invero, se bisogna prevedere dei termini processuali questi vanno previsti in modo perentorio, introducendo una prescrizione processuale. Altrimenti avremmo l’ennesima norma di stile, ben lontana dalla realtà delle aule processuali e pertanto mai applicabile.

3- I termini indicati dall’art. 12 per la definizione dai vari gradi di giudizio le sembrano congrui? 
Possono essere pienamente congrui se si avrà un contenzioso estremamente ridotto. I termini di celebrazione di un processo (lo vediamo ad esempio quando sono applicate le misure cautelari) possono (e forse devono) essere contenuti, ma è necessario che si dimezzi il numero delle azioni penali. Invero, non credo che possiamo più assistere a prime fasi di giudizio che terminano dopo lustri dall’esercizio dell’azione penale (e questo lo vediamo anche per reati di competenza del tribunale in composizione monocratica). Non dimentichiamo che la durata del dibattimento è già indicata dall’art. 477 c.p.p., norma mai applicata ai casi concreti. La fluidità del processo, la qualità dell’attività istruttoria e della decisione dipendono anche dal tempo che intercorre (e che deve essere necessariamente breve) tra l’inizio e la fine di un processo. Le parti e il giudice devono avere vivido il ricordo delle prove assunte durante l’istruttoria.
Tuttavia, non condivido il termine di due anni per il giudizio di appello. Credo che un anno sia più che sufficiente, quantomeno nei procedimenti per i reati di cui all’articolo 33-ter del codice di procedura penale, per i quali l’art. 12 prevede un anno per la celebrazione del primo grado.


4- Nello specifico, con riguardo ai giudizi di impugnazione quale dovrebbe essere il dies a quo dal quale computare il termine per definire il giudizio? (es. dal momento della proposizione gravame, dal giorno in cui esso perviene nella cancelleria del giudice ad quem, dal decreto di fissazione udienza, dall’udienza …).
Dal momento in cui viene depositato il gravame. Ma ribadisco che tali termini – per essere efficaci – devono essere perentori, determinando in caso di non osservanza la prescrizione processuale.

5- Si vuole riconoscere al Consiglio superiore della magistratura la facoltà di stabilire, con cadenza biennale, i termini previsti dall’art. 12 in maniera diversa per ciascun ufficio, non le pare si rischi una frammentazione localistica? 
Credo che sia oltremodo insensato prevedere che sia il CSM a stabilire i termini di cui all’art. 12. Il rischio è quello di una frammentazione e di una disomogeneità sul territorio che non penso sia compatibile né con le richieste che arrivano dall’Europa, né con l’urgenza – interna - di restituire credibilità ed efficacia al processo penale.

6- L’art. 13 prevede, per i giudizi di impugnazione delle sentenze di condanna, che se non vengono rispettati i termini di cui all’art. 12, le parti e i loro difensori possano presentare istanza di definizione del processo entro sei mesi. La previsione è assistita dalla previsione di una sanzione disciplinare per il caso di mancata adozione di misure organizzative idonee ad assicurare la definizione entro il detto semestre. Non le pare che il combinato disposto degli artt. 12 e 13 manifesti in realtà l’incapacità ad affrontare il problema della durata del processo, scaricandolo sugli operatori del diritto? 
Sicuramente sì. Credo sia molto più onesto e proceduralmente corretto introdurre con l’art.12 una nuova prescrizione processuale.


(*) Ottavia Murro,
Avvocato del Foro di Potenza, Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Potenza, Dottore di Ricerca di Diritto e Procedura Penale Università di Roma La Sapienza.
Componente del Comitato Scientifico della Scuola Territoriale della Camera Penale di Basilicata, Componete del Coordinamento Redazionale della rivista giuridica online Penale Diritto e Procedura. Autrice di numerose pubblicazioni tra cui la monografia “Riparazione del danno ed estinzione del reato” Wolters Kluwer- Cedam 2016.

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