07 giugno 2021

La riforma del Processo Penale. 1. La riforma dell'udienza preliminare: tutte le risposte



Da qualche mese ci stiamo occupando della riforma del processo penale esaminato dalla commissione c.d. Cartabia e prossimamente all'attenzione del Parlamento.

Lo stiamo facendo per sezioni e con il metodo dell'intervista, con poche domande rivolte a un giudice, un pubblico ministero, un avvocato e un docente universitario.

Abbiamo pubblicato i contributi secondo l'ordine di ricezione, in maniera casuale. Il piano completo dell'opera è consultabile al → link.

Terminate le varie sezioni pubblicheremo le risposte di tutti i professionisti del processo in un unico contributo.

Proseguiamo oggi con la sezione La riforma della prescrizione, per il quale abbiamo rivolto le nostre domande a Simone Alecci (giudice), Francesca Urbani (pm), Fabio Vanella (avvocato) e Daniela Chinnici (docente).



1- Ritiene opportuna e davvero praticabile una tale modifica della regola di giudizio ex art. 425 c.p.p. così come prospettata nel disegno di legge?  


La risposta del giudiceLa prospettiva di una rivisitazione lessicale nonché semantica del canone di giudizio pulsante nell’art. 425, terzo comma, della trama codicistica processuale si rivela indubbiamente suggestiva, se non altro nella misura in cui si propone di porre rimedio alla (statisticamente inconfutabile, avuto altresì riguardo a quanto rammentato dal Primo Presidente della Corte di Cassazione nell’alveo della “Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2019”) timida funzione di filtro dell’udienza preliminare. Pare proprio, detto altrimenti, che il diritto vivente non abbia ancora compiutamente metabolizzato le coordinate ermeneutiche recentemente sancite dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (16 luglio 2020, n. 37207), che hanno ancora una volta riconosciuto all’udienza preliminare le vesti di una dimensione processuale completa e di un momento di cognizione piena. Tuttavia, come correttamente osservato dalla dottrina, è davvero improbabile che la rivisitazione lessicale di un criterio decisorio in chiave prognostica riesca effettivamente a scardinare l’attuale stato dell’arte. Semmai, potrebbe al più trattarsi della positivizzazione di un’esortazione a disporre il giudizio solo allorquando affiori dagli atti un orizzonte probatorio connotato, in quel preciso momento, da un coefficiente di serietà e solidità (il che indurrebbe l’interprete ad abbandonare la regola di giudizio prognostica in luogo di quella diagnostica, che valorizza icasticamente – anche in questo stadio procedimentale - il principio in dubio pro reo). Così stando le cose e preso atto della scarsa efficacia filtrante dell’udienza preliminare nel diritto vivente, è forse opportuno domandarsi se la provocazione dottrinale (brillantemente propugnata, ad esempio, dal professore Marcello Daniele e, ancor più recentemente, da Jacopo Della Torre, i quali giustamente rimarcano che nessuna disposizione di rango costituzionale sarebbe a ciò ostativa) che predica l’abolizione di questo momento procedimentale conservi il suo mordente operativo (ancor prima che ideologico). In altre parole, sarebbe il caso di comprendere in chiave legislativa se una generalizzazione della citazione diretta assicurerebbe o meno quel significativo risparmio di risorse che potrebbero essere impiegate per velocizzare le altre fasi procedimentali.


La risposta del pmIl progetto di riforma che si propone di rivedere il criterio di giudizio dell’udienza preliminare e dei presupposti per l’adozione di una sentenza di non luogo a procedere, se da un lato è apprezzabile nella misura in cui se ne comprende la ratio, considerata l’irrisoria percentuale di sentenze ex art 425 c.p.p. pronunciate, dall’altro lato - a parere della Scrivente - non è idonea a incidere concretamente sull’istituto. E infatti, l’art. 3 della Delega al Governo deve essere letto alla luce della riforma che già in passato, con la L. 08 aprile 1993, n. 105, espungendo l'aggettivo “evidente” dalla lettera dell'art. 425 c.p.p., aveva cercato di ampliare l’ambito applicativo dell’istituto riproponendo di fatto il criterio di giudizio previsto dall’art. 125 disp. Att. c.p.p.: in questo modo alla sentenza di non luogo a procedere era sotteso un vaglio di "utilità" del giudizio, verificando che il compendio probatorio fosse idoneo a sorreggere l'accusa. In questo contesto, e analogamente a quanto si vorrebbe fare con la riforma attuale, si cercò di verificare se tale vaglio consistesse in una prognosi favorevole del giudizio, tenendo anche conto di eventuali contraddittorietà probatorie (equiparando il giudizio per la sentenza di non luogo a procedere a quello di cui all’art. 530 co. 2 c.p.p., cfr. C., Sez. III, 22.1.1997), o se invece, anche alla luce delle indicazioni della Corte costituzionale l'udienza de qua fosse caratterizzata da una struttura "processuale" in senso stretto, avendo ad oggetto esclusivo la sostenibilità della domanda d'accusa (si veda tra le altre, Corte Cost. 11.4.1997, n. 97; C. Cost. 7.3.1996, n. 71). In quest’ottica la giurisprudenza di legittimità si è attestata su un’interpretazione che ritiene che debba essere disposto il rinvio a giudizio ogni qual volta – anche in coerenza con il sistema accusatorio previsto dal nostro codice di procedura – il dibattimento possa o meno apportare utili elementi di prova anche in presenza di elementi allo stato contraddittori o insufficienti, che proprio nel contraddittorio potrebbero essere risolti (tra le altre, Cass., Sez. III, 8.11.1996, Tani; C., Sez. VI, 9.10.1995, La Penna). Tale evoluzione giurisprudenziale è stata inevitabile al fine di rendere l’istituto compatibile con il sistema accusatorio che si fonda sul principio per cui la prova si forma in giudizio in contraddittorio tra le parti. E se questo è stato vero – a prescindere dalla modifica apparente del tenore letterale della norma (già del 1993, poi nel 1999) non vedo come, una timida modifica della lettera della norma possa portare a un reale cambiamento dell’istituto in parola. 


La risposta dell'avvocatoIl proposito di rinvigorire l’udienza preliminare, assoggettando l'ipotesi accusatoria ad una prova di resistenza più pregnante di quella che finora è stata, mi pare condivisibile.E’ sotto gli occhi di tutti la sostanziale inutilità dell’attuale schema dell’udienza preliminare, relegata da tempo a luogo di mero smistamento dei fascicoli al dibattimento. Al netto di alcune sporadiche aperture verso il riconoscimento di una più estesa cognizione del giudice dell’udienza preliminare (da ultimo SS.UU. 37207/2020), nel diritto vivente è radicato il convincimento per cui è precluso il non luogo a procedere tutte le volte in cui “le fonti di prova si prestino ad interpretazioni aperte o alternative, o comunque ad una nuova valutazione all'esito della verifica dibattimentale". A ciò fa eco il più inteso obbligo motivazionale del Gup, sul quale grava l’onere di dimostrare che il proprio apprezzamento “in ordine alla prova positiva dell'innocenza o alla mancanza di prova della colpevolezza dell'imputato è in grado di resistere ad un approfondimento nel contraddittorio dibattimentale..." (ex plurimis, Cass. Pen., Sez. III, 27.05.2015, n. 1367). Al cospetto di parametri così stringenti, non sorprende che il rinvio a giudizio abbia rappresentato, fino ad oggi, lo sbocco “fisiologico” dell’udienza preliminare. Con buona pace per i ferventi (e, a dire il vero, sempre meno numerosi) avvocati che, novelli Don Chisciotte, continuano a perorare un proscioglimento preliminare, ignari della cedevolezza dei loro argomenti dinanzi alla confidente formula dello “insisto sulla richiesta” di parte pubblica.  Ben venga, allora, un tentativo di riforma orientato a segnare una discontinuità rispetto allo status quoL’impalcato normativo al vaglio della Commissione Giustizia, a mio avviso, individua un rinnovato punto di equilibrio tra le istanze di una maggiore deflazione del dibattimento e l’esigenza, parimenti meritevole, di non snaturare il vaglio “processuale” del Gup. La cognizione di quest’ultimo, per quanto estesa, non potrà mai surrogarsi a quella del giudice del merito. Pena la trasformazione del rinvio a giudizio in un marchio di presunta colpevolezza. Il compromesso è stato raggiunto concedendo al Gup di ricusare il rinvio a giudizio tutte le volte in cui, in proiezione futura, non sia “ragionevole” prevedere “l’accoglimento della prospettazione accusatoria”. Non è un passaggio di poco momento. Se nell’attuale assetto – si è già detto – il non luogo a procedere ha trovato un ostacolo invalicabile nella mera possibilità di successo dell’accusa in giudizio, in base al progetto riformatore, la tenuta dell'impianto accusatorio dovrà essere valutata dal Gup come epilogo probabile, ragionevolmente prevedibile dello sviluppo dibattimentale. Una prognosi qualificata, dunque, che, almeno in potenza, dovrebbe attrarre nell’area dell’improcedibilità le imputazioni per le quali lo scenario dibattimentale lasci intravedere più ombre che luci. Come sempre, al di là delle apprezzabili intenzioni del Riformatore, saranno gli operatori del diritto a stabilire se siamo alle porte di una innovazione dalla reale efficacia deflattiva o di una modifica di stile dallo scarso impatto pratico.


La risposta del docente: Come noto, l’originaria morfologia dell’udienza preliminare - “filtro delle imputazioni azzardate” - in cui la sostenibilità o meno della piattaforma accusatoria, sulla base dello stato degli atti, era il solo discrimen su cui il giudice doveva calibrare la sua actioviene modificata con la ‘riforma Carotti’, atteso il totale fallimento della funzione di screeningIl giudice è stato cosìdotato di mezzi di intervento, attraverso l’interpolazione dell’art. 421bis e la riformulazione dell’art. 422 c.p.p., sotto la veste, rispettivamente, di sollecitazione al pubblico ministero di integrazione delle indagini e, direttamente, di assunzione di prove, seppure se ex ante orientate nella direzione dell’evidenza del proscioglimento. L’udienza è stata, quindi, trasformata da decisione di rito allo stato degli atti a giudizio di merito ‘in miniatura’ vero e proprio, come sottolineato in senso critico da larga parte della dottrina e, di contro, favorevolmente dalla giurisprudenza e dalla Corte costituzionale (per prima cfr. Corte cost., n. 224 del 2001), peraltro con una possibile dilatazione dei tempi investigativi, oltre che della durata in assoluto del processo, come logico corollario di tali innestate attività. E indubbio come la regressione dell’attività istruttoria dalla sede dibattimentalefisiologica, alla fase originariamente deputata al controllo si pone in contrasto con l’art. 111 Cost., che eleva il contraddittorio delle parti a metodo epistemico da osservare, oltre che - ma è la seconda faccia della stessa medaglia - a diritto dell’imputato inderogabile (tranne i casi eccettuati, di cui al comma 5 del medesimo disposto). Nonostante le modifiche dalla cifra istruttoria, le aspettative sottese alla riforma del 1999 sono andate deluse. L’udienza è rimasta, infatti, una fase sostanzialmente impotente alla funzione di filtro, con un passaggio massiccio a dibattimento delle imputazioni verificate, ritenendosi ostative al proscioglimento, nella lettura confermatapure di recente, dalle sezioni unite, tutte le situazioni in cui gli elementi probatori consentano letture aperte, non univoche ovvero indirizzate verso una diversa valutazione al termine dell’itinerario cognitivo dibattimentaleSempre nell’ottica del potenziamento della funzione di filtro, nell’oramai mutato ‘orizzonte di senso’ dell’udienza preliminare, si incastona la modifica della regola di giudizio proscioglitiva, di cui all’art. 425, comma 3, c.p.p., del d.d.l. in questione, che aggiunge ai casi previsti quelli che “non consentono una ragionevole previsione di accoglimento della prospettazione accusatoria nel giudizio. Invero, la formula aggiunta appare più uno slogan, una sorta di ‘raccomandazione’ alla massima ponderazione valutativa degli atti, più che un nuovo effettivo criterio valutativo, quindi dalla portata operativa verosimilmente vuota, se non in casi di eccezionale evidenza, atteso che dall’espressione non si intravede alcun quid pluris rispetto al criterio decisorio già scandito nella formulazione vigente. Peraltro, al di là del verosimilmente mancato impatto innovativo, dal punto di vista dell’ortodossia del sistema, la formulazione non è un segnale favorevolein quanto accentua la connotazione dell’udienza pregiudiziale quale vero e proprio giudizio nel merito, con la conseguenza di avallare sempre più il favor per l’anticipazione della cognizione in una fase che si declina sugli elementi raccolti nelle fasi delle indagini preliminari e della udienza medesima, ex artt. 421bis e 422 c.p.p., piuttosto che nel contraddittorio dibattimentale, come impone la doverosa lettura del ‘giusto processo’, di cui all’art 111 CostNon ultimo, se il canone divenisse realmente operativo, il rischio sarebbe quello di conferire alla decisione del giudice dell’udienza preliminare una sorta di imprimatur nel senso della colpevolezza, con sicuri riverberi, in senso contrario al canone del favor rei, nella successiva valutazione del giudice dibattimentale, inquinando la necessaria virgin mind.


2-Le pare un buon rimedio per scongiurare l’elusione delle regole del codice sui termini per le indagini?

La risposta del giudiceLe coordinate ermeneutiche che valorizzano (almeno astrattamente) il momento di cognizione piena dell’udienza preliminare rendono persuasivo l’intento del legislatore volto ad innestare in questa capsula procedimentale il controllo giudiziale sulle regole inerenti ai termini per le indagini preliminari. Ciò, a ben vedere, risponde all’esigenza di evitare di continuare a considerare come insindacabile le scelte dell’ufficio di Procura sul versante dell’iscrizione della notizia di reato (che la dottrina etichetta da tempo alla stregua di santuario incomprensibilmente inviolabile).

La risposta del pmAnche in questo caso non ritengo che si debba apportare questa modifica al codice di procedura, ritenendo condivisibile la giurisprudenza consolidata che ritiene che il momento dell’iscrizione non sia sindacabile, soprattutto nella misura in cui tale scelta derivi da una valutazione del pubblico ministero che, sulla base degli atti, decida quando vi siano i presupposti per l’iscrizione ex art 335 c.p.p. Si pensi alle c.n.r. nelle quali vengono deferiti da parte della p.g. soggetti su cui non sussistono i presupposti per l’iscrizione e che potrebbero essere oggetto di allegazione da parte della difesa come elemento per sostenere l’onere dell’iscrizione, laddove quest’ultima in realtà dovrebbe seguire ad ulteriori approfondimenti investigativi. Inoltre, si tratterebbe di una sorta di sindacato al buio dal momento che il provvedimento di iscrizioni, pur richiamando gli atti dai quali si evincono i presupposti per l’iscrizione, non deve essere autonomamente motivato, sicché sarebbe difficile un controllo di merito incompatibile con la ripartizione dei poteri previsti dal codice. In ogni caso non ritengo che la sede di un eventuale sindacato di questo tipo debba essere l’udienza preliminare.

La risposta dell'avvocatoCome opportunamente osservato dal Dott. Alecci nel suo commento alla proposta di riforma (link), un più intenso sindacato del Gup sulla legalità dell’attività d’indagine sarebbe in linea con il tendenziale rafforzamento della cognizione preliminare. Stento a concepire un analogo controllo da parte del giudice del dibattimento, nei procedimenti ove manchi l’udienza preliminare. L’individuazione del momento in cui la notizia di reato avrebbe dovuto iscriversi è attività che implica uno scandaglio, spesso approfondito, del compendio investigativo. Sono scettico all’idea che una sì estesa verifica possa affidarsi ad un giudice cui è tendenzialmente inibito l’accesso al fascicolo delle indagini. Mi chiedo se non sarebbe stato meglio attribuire detta funzione di stralcio al Gip, anticipandone l'attivazione al momento della conclusione delle indagini preliminari, sulla falsariga di quanto stabilito dall’art. 415 bis, c. 2 bis, c.p.p., in materia di intercettazioni riformate.

La risposta del docenteL’intento teoricamente è apprezzabile, per contenere la dilatazione dei termini delle indagini, vista la già prevista estensione del tempo per le investigazioni - giustificata dal principio di completezza delle stesse, quale esplicazione del canone dell’obbligatorietà dell’azione penale - se si considera anche l’ulteriore tempo successivo alla scadenza dei termini di durata massima, utilizzato dal pubblico ministero per l’analisi degli elementi investigativi al fine delle sue determinazioni. Il primo passo, quanto al contenimento della durata di indagine, come noto, è stato previsto dalla c.d. riforma Orlando, con la rimodulazione dei termini in tre diverse scansioni, a seconda delle tipologie di reati, con l’interpolazione del comma 3bis nell’art. 407 c.p.p. (tre mesi, tre mesi prorogabili di altri tre e quindici mesi) e la connessa modifica della avocazionetramite la modifica dell’art. 412, comma 1, c.p.p, in caso di mancata determinazione del titolare delle indagini nel termini prescritti. Il nuovo congegno previsto dal d.d.l. Bonafede si inserisce nello stesso contesto, con lo scopo di limitare i tempi investigativi, evitando empasse nell’attività di indagine o dilazioni insindacabili, alla luce del pervicace orientamento giurisprudenziale che ritiene appannaggio esclusivo del pubblico ministero l’adempimento dell’iscrizione della notitia criminis nel registro apposito, senza possibilità alcuna di un sindacato giudiziale. Si è, così, previsto che l’interessato possa chiedere l’accertamento del dies a quo delle indagini al giudice, ossia della data di iscrizione della notizia di reato, debitamente motivando in fatto e in diritto la richiesta, essendo tonificati con l’inutilizzabilità gli atti compiuti oltre terminePur dovendo aspettare la ‘prova di resistenza’ della modifica nella prassi applicativa, non sembra che questa facoltà possa sortire ricadute concrete sul rispetto dei termini per le indagini, innanzitutto perché non è stato previstonel quomodo, il controllo sul contenimento delle indagini, nel corso dello stesso itinerario investigativoviste le proroghe possibili basate sulle motivazione, necessariamente unilaterali, del titolare dell’accusa, e, in secondo luogo, perché continuano ad essere possibili elusioni dell’adempimento di cui all’art. 330 c.p.p., tramite iscrizioni tardive o nuove iscrizioni. Peraltro, il congegno è indebolito dalla subordinazione alla richiesta motivata dell’imputato, che pare evenienza assai improbabile e, in ogni caso, la valutazione importerebbe necessariamente una invasione giudiziale in ambiti investigativi, segno di un’ulteriore “nostalgia inquisitoria” del giudice istruttore del c.p.p. 1930. 


3-Il controllo del GUP sulla durata delle indagini attribuisce alGiudice nuove “competenze di giudizio”: sono compatibili con la valutazione cui è finalizzata l’udienza preliminare? 


La risposta del giudiceLa morfologia (ribadita dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione) dell’udienza preliminare come momento di cognizione piena rende del tutto ammissibili, anche in prospettiva dogmatica, l’innesto di nuove competenze di giudizio nella sfera del giudice dell’udienza preliminare. Il GUP deve continuare ad esser considerato come organo giurisdizionale poliedrico e non certo esser degradato alle vesti di visconte dimezzato.

La risposta del pmCon riferimento alla possibilità di rivedere le competenze del giudice dell’udienza preliminare, al fine di estenderne i poteri e la relativa cognizione, ritengo che tale prospettiva possa essere auspicabile da un latoma dall’altro imponga di ripensare e coordinare anche altri istituti connessi. Si pensi, a titolo esemplificativo, ai termini cautelari che si interrompono solo con il decreto che dispone il giudizio. Nel caso in cui si dovesse decidere di istituire un’udienza preliminare più approfondita e di reale cognizione, si dovrebbe necessariamente prevedere un sistema di sospensione e/o retrodatazione dell’interruzione al momento della fissazione dell’udienza preliminare. Aggiungo inoltre che, in un’ottica di snellimento del processo ampliare i poteri del GUP deve tuttavia determinare uno snellimento necessario degli altri momenti processuali, pena lo svilimento della ratio di semplificazione e celerità del processo. Il codice di procedura penale, d’altronde richiede una lettura unitaria degli istituti non potendosi procedere a una revisione di alcuni, senza tener presente le conseguenze sugli altri.

La risposta dell'avvocatoIl pronostico del Gup sui possibili sviluppi dibattimentali dell’accusa non può prescindere dalla preventiva perimetrazione della base cognitiva utilizzabile nel giudizio. Negli ultimi anni si è radicata l'opinione secondo cui, in sede di udienza preliminare, il giudice non è tenuto a decidere anticipatamente le questioni sull’utilizzabilità degli atti, neppure al fine di consentire all'imputato di valutare l'opportunità di accedere al rito abbreviato, nella piena conoscenza delle prove utilizzabili, non essendo un obbligo in tal senso contemplato dalle disposizioni processuali (si veda, tra le altre, Cassazione penale sez. IV, 20/04/2016, n. 29644). Questa astenia decisionale non ha giovato di certo alla concreta utilità dell'udienza preliminare. La scrematura del materiale utilizzabile e la definizione anticipata della piattaforma probatoria, per converso, avrebbero l'indubbio pregio di mettere l’imputato nelle condizioni di meglio ponderare le sue strategie difensive, evitando, al contempo, che le istruttorie dibattimentali siano castrate sul nascere dal tardivo accoglimento di eccezioni di inutilizzabilità che ben avrebbero potuto decidersi a cura del Gup. Su questo versante, pertanto, l’ampliamento delle competenze del Gup potrebbe rivelarsi un volano per l’efficientamento del giudizio.

La risposta del docenteCome detto, non può non sottolinearsi che il controllo sui tempi di indagine influisce in punto di nuovi ambiti cognitivi del giudice dell’udienza preliminare, che, del resto, si inseriscono appieno nella oramai avallata lettura eterodossa della funzione del gip quale giudice del merito, e non, come avrebbe dovuto rimanere, seppur con modifiche necessarie quanto a efficacia, del controllo della fondatezza dell’imputazione. Se è vero che i poteri di screening non hanno funzionato, perché assestati sul materiale fornito sostanzialmente dal pubblico ministero, cui è di fatto inopponibile una visione della parte privata, consentire il controllo dei tempi delle investigazioni importerà una invasione di campo per la conoscenza dei materiali investigativi ai fini della relativa decisionecon la conseguenza di rafforzare la funzione del giudice pregiudizialquale organo della cognizione anticipata. Come ultima ricaduta non potranno che compromettersi, ancor più delle attuali evenienze, le eventuali valutazioni del giudice dibattimentalein caso di passaggio alla fase ordinariache, dalle ingerenze valutative del gup, necessariamente orientate nel senso della colpevolezza (in caso di decisione favorevole alla proroga, attesa una conoscenza almeno parziale degli atti del fascicolo del pubblico ministero) non potranno non essere influenzate.



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