1- Ritiene opportuna e davvero praticabile una tale modifica della regola di giudizio ex art. 425 c.p.p. ?
Come noto, l’originaria morfologia dell’udienza preliminare - “filtro delle imputazioni azzardate” - in cui la sostenibilità o meno della piattaforma accusatoria, sulla base dello stato degli atti, era il solo discrimen su cui il giudice doveva calibrare la sua actio, viene modificata con la ‘riforma Carotti’, atteso il totale fallimento della funzione di screening. Il giudice è stato cosìdotato di mezzi di intervento, attraverso l’interpolazione dell’art. 421bis e la riformulazione dell’art. 422 c.p.p., sotto la veste, rispettivamente, di sollecitazione al pubblico ministero di integrazione delle indagini e, direttamente, di assunzione di prove, seppure se ex ante orientate nella direzione dell’evidenza del proscioglimento. L’udienza è stata, quindi, trasformata da decisione di rito allo stato degli atti a giudizio di merito ‘in miniatura’ vero e proprio, come sottolineato in senso critico da larga parte della dottrina e, di contro, favorevolmente dalla giurisprudenza e dalla Corte costituzionale (per prima cfr. Corte cost., n. 224 del 2001), peraltro con una possibile dilatazione dei tempi investigativi, oltre che della durata in assoluto del processo, come logico corollario di tali innestate attività. E’ indubbio come la regressione dell’attività istruttoria dalla sede dibattimentale, fisiologica, alla fase originariamente deputata al controllo si pone in contrasto con l’art. 111 Cost., che eleva il contraddittorio delle parti a metodo epistemico da osservare, oltre che - ma è la seconda faccia della stessa medaglia - a diritto dell’imputato inderogabile (tranne i casi eccettuati, di cui al comma 5 del medesimo disposto).
Nonostante le modifiche dalla ‘cifra’ istruttoria, le aspettative sottese alla riforma del 1999 sono andate deluse. L’udienza è rimasta, infatti, una fase sostanzialmente impotente alla funzione di filtro, con un passaggio massiccio a dibattimento delle imputazioni verificate, ritenendosi ostative al proscioglimento, nella lettura confermata, pure di recente, dalle sezioni unite, tutte le situazioni in cui gli elementi probatori consentano letture ‘aperte’, non univoche ovvero indirizzate verso una diversa valutazione al termine dell’itinerario cognitivo dibattimentale.
Sempre nell’ottica del potenziamento della funzione di filtro, nell’oramai mutato ‘orizzonte di senso’ dell’udienza preliminare, si incastona la modifica della regola di giudizio proscioglitiva, di cui all’art. 425, comma 3, c.p.p., del d.d.l. in questione, che aggiunge ai casi previsti quelli che “non consentono una ragionevole previsione di accoglimento della prospettazione accusatoria nel giudizio”. Invero, la formula aggiunta appare più uno slogan, una sorta di ‘raccomandazione’ alla massima ponderazione valutativa degli atti, più che un nuovo effettivo criterio valutativo, quindi dalla portata operativa verosimilmente vuota, se non in casi di eccezionale evidenza, atteso che dall’espressione non si intravede alcun quid pluris rispetto al criterio decisorio già scandito nella formulazione vigente. Peraltro, al di là del verosimilmente mancato impatto innovativo, dal punto di vista dell’ortodossia del sistema, la formulazione non è un segnale favorevole, in quanto accentua la connotazione dell’udienza ‘pregiudiziale’ quale vero e proprio giudizio nel merito, con la conseguenza di avallare sempre più il favor per l’anticipazione della cognizione in una fase che si declina sugli elementi raccolti nelle fasi delle indagini preliminari e della udienza medesima, ex artt. 421bis e 422 c.p.p., piuttosto che nel contraddittorio dibattimentale, come impone la doverosa lettura del ‘giusto processo’, di cui all’art 111 Cost. Non ultimo, se il canone divenisse realmente operativo, il rischio sarebbe quello di conferire alla decisione del giudice dell’udienza preliminare una sorta di imprimatur nel senso della colpevolezza, con sicuri riverberi, in senso contrario al canone del favor rei, nella successiva valutazione del giudice dibattimentale, inquinando la necessaria virgin mind.
2-Le pare un buon rimedio per scongiurare l’elusione delle regole del codice sui termini per le indagini?
L’intento teoricamente è apprezzabile, per contenere la dilatazione dei termini delle indagini, vista la già prevista estensione del tempo per le investigazioni - giustificata dal principio di completezza delle stesse, quale esplicazione del canone dell’obbligatorietà dell’azione penale - se si considera anche l’ulteriore tempo successivo alla scadenza dei termini di durata massima, utilizzato dal pubblico ministero per l’analisi degli elementi investigativi al fine delle sue determinazioni. Il primo passo, quanto al contenimento della durata di indagine, come noto, è stato previsto dalla c.d. riforma Orlando, con la rimodulazione dei termini in tre diverse scansioni, a seconda delle tipologie di reati, con l’interpolazione del comma 3bis nell’art. 407 c.p.p. (tre mesi, tre mesi prorogabili di altri tre e quindici mesi) e la connessa modifica della avocazione, tramite la modifica dell’art. 412, comma 1, c.p.p, in caso di mancata determinazione del titolare delle indagini nel termini prescritti.
Il nuovo congegno previsto dal d.d.l. Bonafede si inserisce nello stesso contesto, con lo scopo di limitare i tempi investigativi, evitando empasse nell’attività di indagine o dilazioni insindacabili, alla luce del pervicace orientamento giurisprudenziale che ritiene appannaggio esclusivo del pubblico ministero l’adempimento dell’iscrizione della notitia criminis nel registro apposito, senza possibilità alcuna di un sindacato giudiziale. Si è, così, previsto che l’interessato possa chiedere l’accertamento del dies a quo delle indagini al giudice, ossia della data di iscrizione della notizia di reato, debitamente motivando in fatto e in diritto la richiesta, essendo tonificati con l’inutilizzabilità gli atti compiuti oltre termine. Pur dovendo aspettare la ‘prova di resistenza’ della modifica nella prassi applicativa, non sembra che questa facoltà possa sortire ricadute concrete sul rispetto dei termini per le indagini, innanzitutto perché non è stato previsto, nel quomodo, il controllo sul contenimento delle indagini, nel corso dello stesso itinerario investigativo, viste le proroghe possibili basate sulle motivazione, necessariamente unilaterali, del titolare dell’accusa, e, in secondo luogo, perché continuano ad essere possibili elusioni dell’adempimento di cui all’art. 330 c.p.p., tramite iscrizioni tardive o nuove iscrizioni. Peraltro, il congegno è indebolito dalla subordinazione alla richiesta motivata dell’imputato, che pare evenienza assai improbabile e, in ogni caso, la valutazione importerebbe necessariamente una invasione giudiziale in ambiti investigativi, segno di un’ulteriore “nostalgia inquisitoria” del giudice istruttore del c.p.p. 1930.
3-Il controllo del GUP sulla durata delle indagini attribuisce alGiudice nuove “competenze di giudizio”: sono compatibili con la valutazione cui è finalizzata l’udienza preliminare?
Come detto, non può non sottolinearsi che il controllo sui tempi di indagine influisce in punto di nuovi ambiti cognitivi del giudice dell’udienza preliminare, che, del resto, si inseriscono appieno nella oramai avallata lettura eterodossa della funzione del gip quale giudice del merito, e non, come avrebbe dovuto rimanere, seppur con modifiche necessarie quanto a efficacia, del controllo della fondatezza dell’imputazione.
Se è vero che i poteri di screening non hanno funzionato, perché assestati sul materiale fornito sostanzialmente dal pubblico ministero, cui è di fatto inopponibile una visione della parte privata, consentire il controllo dei tempi delle investigazioni importerà una invasione di campo per la conoscenza dei materiali investigativi ai fini della relativa decisione, con la conseguenza di rafforzare la funzione del giudice pregiudiziale quale organo della cognizione anticipata. Come ultima ricaduta non potranno che compromettersi, ancor più delle attuali evenienze, le eventuali valutazioni del giudice dibattimentale, in caso di passaggio alla fase ordinaria, che, dalle ingerenze valutative del gup, necessariamente orientate nel senso della colpevolezza (in caso di decisione favorevole alla proroga, attesa una conoscenza almeno parziale degli atti del fascicolo del pubblico ministero) non potranno essere influenzate.