26 maggio 2021

La Riforma del Processo penale - 8.2 la riforma della prescrizione - Le risposte del pubblico ministero, Giulia Amodeo (*)

Per la rubrica "La Riforma del Processo Penale", pubblichiamo l'intervento del PM, Giulia Amodeo relativo alla sezione "Prescrizione" della riforma.

La nuova rubrica sottopone alcune domande a un giudice, un pubblico ministero, un avvocato e ad un docente universitario.
Il piano completo dell'opera è consultabile sulla pagina dedicata di questo blog (link).
Il progetto di legge per la “DELEGA AL GOVERNO PER LA MODIFICA DEL CODICE DI PROCEDURA PENALE, DEL CODICE PENALE E DELLA COLLEGATA LEGISLAZIONE SPECIALE E PER LA REVISIONE DEL REGIME SANZIONATORIO DELLE CONTRAVVENZIONI”, è all’esame, in sede referente, della Commissione Giustizia della Camera dei deputati, che ha anche svolto numerose audizioni inerenti il testo della riforma.


1. Il legislatore intende riformare per la terza volta, dal 2017, l’art. 159 c.p.p.: non era meglio riformare l’istituto della prescrizione nel suo complesso? 

Assolutamente sì.

Più in generale, ritengo che un (ennesimo) circoscritto -seppur assai “impattante”- intervento in materia diprescrizione evidenzi ancora una volta un’occasione persa rispetto a ben più pressanti esigenze di riforma, invocate da decenni: infatti in un sistema che prevede – costituzionalmente – il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, gli obiettivi del giusto processo e della corretta e tempestiva risposta punitiva dello Stato dovrebbero essere perseguiti non tanto allungando il tempo necessario a prescrivere, ma soprattutto adottando serie e precise scelte deflattive, in ottica squisitamente di politica del diritto, e di rinuncia al ricorso alla risposta punitiva (quantomeno di tipo prettamente penale) per tutta una serie di illeciti di scarso allarme sociale (le note fattispecie bagatellari, che pure, per quanto noto, intasano i ruoli dei pubblici ministeri e quelli di udienza). 

Si pensi ad esempio al notevole impatto che potrebbe avere la previsione del regime di procedibilità a querela per tutta una serie di illeciti (ad esempio l’art. 610 c.p.: perchè una fattispecie, il più delle volte odiosa e potenzialmente pericolosa, come lo stalking, è procedibile a querela, e non deve esserlo un reato istantaneo come la violenza privata?) di scarso allarme e, di riflesso, il benefico impatto sul sistema giustizia, che potrebbe così veder concentrati gli sforzi e le – ancora scarse – risorse su vicende meritevoli di una attenzione e di uno studio più intensi di quello che allo stato può essere dedicato.

Aggiungo che anche per illeciti di natura contravvenzionale, spesso comunque sintomi di malfunzionamento sistematico di un determinato settore (ad esempio le contravvenzioni del datore di lavoro) risulterebbe assai più efficace la previsione diretta di sanzioni amministrative di natura pecuniaria e/o interdittiva piuttosto che l’attivazione di un procedimento penale che, nel caso in cui non si opti, ove possibile, per l’ottemperanza alle prescrizioni volte alla estinzione del reato, è destinato – salvo il caso di emissione del decreto penale, comunque sempre opponibile – a concludersi dopo i 5 anni e dunque con una dichiarazione di avvenuta estinzione del reato per prescrizione; nella prassi risulta infatti del tutto inattuata la previsione della sospensione del procedimento penale nelle more dell’adempimento delle prescrizioni imposte dall’organo di vigilanza.


2. Nel merito della riforma è stato osservato che la novella introdurrebbe una distinzione tra condannato e assolto, all’esito del primo grado di giudizio, lesiva della presunzione di innocenza, quale il suo giudizio al riguardo?

Senza timore di apparire eccessivamente “giustizialista”, ritengo che l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato, ancorché in primo grado, costituisca un avvenimento – fatto storico e giudiziario (seppure suscettibile di revisione nell’ottica fondamentale del principio, costituzionalmente garantito, del doppio grado di giudizio, per divenire cosa giudicata) - da non considerarsi neutro; in altre parole non mi sembra che, almeno in astratto, la novella in riferimento contenga una soluzione lesiva di diritti fondamentali, ma piuttosto un apprezzabile tentativo volto ad evitare che il dibattimento, lungi dall’essere opzionato (in alternativa ai riti speciali) e svolto per l’accertamento della verità nel contraddittorio delle parti, si riduca, come ancora nella prassi troppo spesso avviene, a parentesi vuota di tempo, spese ed energie, finalizzata ad ottenere la prescrizione (nei successivi gradi di giudizio). In altre parole il diritto dell’individuo di essere considerato innocente sino alla sentenza definitiva non è di per sé incompatibile con il diritto dello Stato a giungere ad una pronuncia definitiva senza incappare nella scure della prescrizione; ovviamente limite ultimo di tale concezione è pur sempre rappresentato dal principio della giusta e ragionevole durata del processo, con tutto ciò che ne consegue, o ne conseguirebbe, in termini di obblighi – questi sì, gravanti istituzionalmente solo in capo allo Stato – di investimento nello sviluppo di nuove risorse, umane e strutturali, nel sistema Giustizia. Per questo motivo la novella singolarmente intesa, non affiancata da scelte di depenalizzazione ispirate dal principio della extremaratio, di cui sopra, rischia di rivelarsi insufficiente ovvero controproducente.

 

In quest’ottica una proposta alternativa nella medesima direzione di ridurre le impugnazioni strumentali – sul presupposto che non tutte lo sono -  sarebbe a mio sommesso avviso rappresentato dalla eliminazione del divieto di reformatio in pejus, che la nostra Costituzione non i impone.

 

 

3. L’art. 14 del progetto di legge prevede la sospensione del corso della prescrizione ove venga appellata la sentenza di assoluzione, se almeno uno dei reati per cui è proposto il gravame si prescriva entro un anno dal termine di cui all’ art. 544 c.p.p.. Non era più corretto prevedere la sospensione soltanto per il reato prossimo a prescriversi?  

Come prima impressione direi logicamente di sì. La prospettata soluzione differenziale consentirebbe almeno su un piano astratto – tralasciando i potenziali impatti pratici che fatico a prevedere – di garantire il rispetto del principio di parità delle parti (imputato e pubblica accusa), che, se correttamente inteso, deve pur sempre fare i conti con la circostanza che il P.M., concluse le indagini, assume la responsabilità di richiedere il rinvio a giudizio, nella convinzione di avere raccolto elementi sufficienti a provare nel dibattimento la penale responsabilità dell’imputato; conseguentemente mi sembra ragionevole che, dopo un primo grado assolutorio, l’imputato non si veda costretto a soggiacere ad una sospensione della prescrizione indifferenziata per tutti i reati in ordine ai quali la pubblica accusa non è riuscita a provare la sua penale responsabilità

 

 

 

(*) Giulia Amodeo, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, nata a Messina nel 1989, laureata presso l’Università degli Studi di Verona nel 2014; ha svolto attività di tirocinio in materia penale e civile presso il Tribunale di Verona dal maggio 2014 al novembre 2015; magistrato ordinario dal 7.02.2018 (svolgendo il tirocinio generico e mirato presso il Tribunale e la Procura di Venezia sino al 4 aprile 2019).    

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