05 maggio 2021

Ancora sulla pena per le contravvenzioni definite con abbreviato: la diminuente per il rito impone la devoluzione? (Cass. pen. Sez. IV 27.01.2021 n. 6510)



Ci eravamo già occupati del tema della riduzione della pena per i reati contravvenzionali definiti nelle forme del giudizio abbreviato, dando notizia della decisione (informazione provvisoria) delle Sezioni Unite n. 7578 del 26.2.2021(al link).

Sul tema segnaliamo anche altra pronuncia (Cass. pen. Sez. IV 27.01.2021 n. 6510) con cui la Corte regolatrice ha affermato il seguente principio di diritto:

"la riduzione per il rito abbreviato operata in misura di un terzo e non della metà in relazione ad un reato contravvenzionale trova applicazione anche in relazione ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore della L. n. 103 del 2017 che l'ha introdotta. Tuttavia, se nel giudizio di appello, celebrato nella vigenza della nuova legge, l'applicazione della più favorevole riduzione non sia stata chiesta nè con i motivi di appello e nemmeno in sede di conclusioni dinanzi a quel giudice, la stessa non potrà essere fatta valere con il successivo ricorso per cassazione non trattandosi di pena illegale, bensì di errata applicazione di una legge processuale".

La prima parte del principio reso dai Giudici di legittimità dà continuità all’arresto secondo cui la riforma dell’art. 442 c.p.p. si applica anche ai reati commessi anteriormente all’entrata in vigore della novella, in quanto la norma, pur essendo di carattere processuale, ha effetti sostanziali, comportando un trattamento sanzionatorio più favorevole, seppure collegato alla scelta del rito (cfr. Sez. 1, n. 39087 del 24/05/2019, Mersini, Rv. 276869; Sez. 4, n. 5034 del 15/01/2019, Lazzara, Rv. 275218; Sez. 4, n. 832 del 15/12/2017, dep. 2018, Del Prete, Rv. 271752; Sez. 1, n. 6300 del 21/12/2018, dep. 2019, Farina, n. m.; Sez. 1, n. 50435 del 25/09/2018, Giorgio, n. m.).

Diversamente costituisce un novum l’asserzione conclusiva del principio di diritto espresso dalla Corte.

Al riguardo, per una migliore intelligibilità del caso concreto, giova precisare che la riforma dell’art. 442 era intervenuta dopo la sentenza di primo grado, ma antecedentemente alla proposizione dei motivi di appello.

Ciò posto, la Corte ha precisato che la determinazione della pena, operata sulla scorta di un criterio errato di riduzione, dà luogo non già ad una sanzione illegale, ma semplicemente illegittima, poiché non si versa in ipotesi di pena di specie diversa da quella applicabile o di entità differente da quella prevista. Dalla superiore qualificazione della pena errata, consegue che l’unico strumento di emenda del vizio sia quello dell’impugnazione, non soccorrendo all’uopo né l’incidente di esecuzione, né il procedimento di correzione dell’errore materiale (cfr. Cassazione sez. I n. 22313 dell’08.07.2020).

Ciò posto, poiché nel caso di specie l’interessato non aveva invocato nel corso del secondo grado di giudizio l’applicazione del nuovo criterio di determinazione della pena, il suo ricorso era destinato all’inammissibilità, ai sensi dell’art. 606 III co., giacché volto a denunciare violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello.

La soluzione propugnata dai Giudici di legittimità non persuade.

Infatti, non convince la riduzione della pena illegale ai soli casi di pena di specie diversa da quella edittale o che ne violi i limiti. Al riguardo è d’uopo richiamare le locuzioni usate dalle Sezioni Unite del 2015, secondo cui <<l'ambito dell'illegalità della pena si riferisce anche ai classici casi di illegalità ab origine, costituiti, ad esempio, dalla determinazione in concreto di una pena diversa, per specie, da quella che la legge stabilisce per quel certo reato, ovvero inferiore o superiore, per quantità, ai relativi limiti edittali>> (Cassazione penale sez. un., 26/02/2015, ud. 26/02/2015, dep. 28/07/2015, n.33040). Peraltro tale esemplificazione della nozione di pena illegale non risulta del tutto condivisa neppure dalle Sezioni Unite citate in premessa (al link), secondo cui la categoria della illegalità della pena deve adoperarsi con riferimento esclusivo ai casi in cui la sanzione applicata dal giudice sia di specie più grave di quella prevista dalla norma incriminatrice o superiore ai limiti edittali indicati nella stessa.

Ma al di là di ciò, nel caso scrutinato dalla Corte, l’errata applicazione della legge processuale è stata compiuta per la prima volta dai Giudici di appello e non certamente da quello di primo grado, onde la difesa non poteva dirsi obbligata, a pena di inammissibilità ex art. 606, a denunciare con i motivi di appello la prima sentenza.

Soltanto suggestivamente si rileva non soltanto che il procuratore generale aveva chiesto l’accoglimento del motivo di censura, ma anche che il medesimo collegio nel corso del 2019, in un caso pressoché identico aveva rimodulato la pena, applicando in via retroattiva il novello beneficio dell’art. 442 c.p.p., senza minimamente dare atto se il ricorrente avesse o meno invocato lo ius superveniens in occasione del giudizio di appello: eppure si tratta di un aspetto decisivo nell’economia della pronuncia che si annota (Cassazione penale, sez. IV, ud. 13.02.2019-dep. 25.03.2019 n. 12881).

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